Nell’immenso e vasto territorio dell’arte contemporanea il pittore è un viaggiatore solitario che insegue con ostinazione i suoi percorsi tra arrivi e partenze, nel tentativo di catturare e fissare la sua dimensione creativa invisibile e sfuggente che unisce l’idea di ciò che non potrebbe essere altrimenti (Necessità) e lo spazio fisico, il presente e l’atto illusorio della raffigurazione.
Egli è una specie di solitario, schiavo di un’ immediata esigenza interiore pronta a dare forma e architettura al suo sentire e che vive per la sua ispirazione. L’artista, in genere, è un essere non riconosciuto, geometricamente irregolare, che convive immerso nel lento tempo del raccoglimento e del pensiero ponderato.
Difende l’originalità, la perfezione e la qualità, prima di dare un risvolto commerciale alla sua arte. Spesso si pone interrogativi sul presente e mentre lega tradizione ed invenzione con il filo dei colori, schizza il presente con le emozioni insolute del passato che colano, proiettate nel futuro. Così, il tempo, le luci, le ombre e la memoria, armature sostegno dell’opera dipinta, spostati dal loro contesto ordinario, sono trasferiti in un altrove collocato in una sospensione alienata e trascendente. La realtà sorprende quando meno te lo aspetti, specialmente se si ha una particolare predisposizione a captare quello che solitamente non si vede.
In questo modo e da una circostanza apparentemente banale i miei occhi intercettano le opere pittoriche di Pierpaolo Catini, diplomato all’Istituto D’arte Ceramica ‘F.Grue’ di Castelli in provincia di Teramo, che dipinge sin dall’infanzia insieme al padre, Fernando Catini, noto paesaggista. Nella sua Gallery leggo: ‘Il continuo movimento di segni, forme e colori, apre nuove vie comunicative con tocchi cromatici vivi e texture innovative.’
Ordinatamente in fila sono disposte le seguenti opere pittoriche: ‘Campo di Grano, omaggio a Van Gogh’, ‘Red Oak’, ‘La Via dei Ricordi’, ‘Barche’, ‘Primavera’, ‘Rosa d’Inverno’, ‘Stagno’, ‘Villaggio Norvegese, omaggio a Frits Thaulow’, ‘Autunno’, ‘Sguardi’, ‘L’ora del Caffè’, ‘Innatural’, ‘Cavallo di Battaglia’, ‘Tormento’. Non s’intuisce all’istante la direzione su cui poggiare lo sguardo tra l’intensità dei colori, ma si arriva a perdersi tra il ‘ Campo di Grano ’ e la ‘Quercia Rossa’ (Red Oak), prima del punto in cui s’immaginava ci fosse il cielo. Tra le tecniche tradizionali e quelle inusuali, tra le stagioni e la strada dei ricordi che arriva sull’uscio di una casa, Pierpaolo Catini ferma su tela il paesaggio personalizzato che ricorda la ceramica della sua terra, evoca stati d’animo con i rossi del ‘Tormento’ per concludere con l’Action Painting’ (pittura d’azione) nel gesto creativo con cui proietta se stesso sperimentando il ‘Dripping’, facendo cadere o gocciolare i colori dal tubo sulla tela, lasciando al caso la responsabilità di tracciare un segno.
Questa intervista da vita e forma al colore, lo fa parlare, contorcere, condensare, rapprendere, fino a fargli prendere vie inconsuete dentro un forno, sulla ceramica. Come diceva Jung: ‘In ultima analisi, noi contiamo qualcosa solo in virtù dell’essenza che incarniamo, e se non la realizziamo, la vita è sprecata.’
C.S.: Il suo percorso artistico nasce da una collaborazione tra padre e figlio. Può raccontare ai nostri lettori di questo binomio così affascinante che vede coinvolta l’arte tramandata?
Pierpaolo Catini: Fin da piccolo ho ‘aiutato’ mio padre nel suo lavoro giocando con colori, pennelli, acqua, spugnette e quant’altro si possa trovare in un laboratorio d’arte ceramica. Non so quanto i miei occhi siano stati influenzati dalle migliaia di pennellate e dai più disparati oggetti decorati dai fratelli Catini (Fernando, mio padre e Gabriele, suo fratello), ma ricordo che all’età di sei o sette anni alle cinque del mattino ero in piedi a disegnare. Dagli occhi, e poi dall’anima, qualcosa si è sempre mosso dentro me spingendomi a tirare fuori la creatività. All’età di sedici anni dipingevo con mio padre nella sua bottega. Ricordo benissimo i primi approcci con la ceramica, il pennello troppo bagnato o troppo asciutto sullo smalto. In breve mio padre, insegnante bravissimo e paziente si stupì e mi lasciò libero, come solo il mio spirito può essere. Dipinsi paesaggi di Roma Sparita (acquerelli di Roesler Franz) e la verità è che non c’è stato nessun vero insegnamento in questo. Cercavo di riprodurre fedelmente i colori, non sapendo bene come mischiarli e non avendo ancora studiato arte, ma, in qualche modo, il quadro usciva fuori. Ed effettivamente era romantico il nostro binomio: quello di un ragazzo all’epoca punk completamente immerso nel classico, ed un uomo paziente, a volte duro e burbero che tramandava tutto il suo sapere, i segreti dei suoi colori e i passaggi del suo famoso paesaggio, a questo ragazzo che in breve stravolse il percorso artistico classico senza mai rinnegarlo. Non so come esprimere la bellezza di quei momenti spesso non capiti in adolescenza. Posso solo dire che mi hanno insegnato quasi tutto quello che so della vita, se si sa leggere tra le righe, lasciandomi nel cuore la sicurezza che l’artigianato è un turbinio di emozioni e creazioni vive, che coinvolgono corpo e mente in un processo lungo che non si conclude con la sola pittura. Ed il calore del forno era piacevole solo in inverno… se posso soffermarmi sul lato affascinante, dato che me lo ha chiesto, senza dubbio mi lasciavo incantare dai racconti dei vari artigiani del passato, da quelle storia di un tempo raccontate in modo superbo da mio padre, da questa discendenza e appunto questa arte tramandata. In qualche modo a Castelli siamo quasi tutti legati, certo questo succede in tutti i piccoli paesi ma la nostra caratteristica è essere legati nell’arte e non voglio essere esageratamente poetico in questa sede ma respirare l’aria del museo di Castelli dove vi sono capolavori assoluti e sentirsi parte, in qualche modo, senza sentire per forza il bisogno di sapere come precisamente, senza andare a sbirciare nell’albero genealogico del tutto, di un insieme astratto e passato di colori, di paziente ricerca della perfezione sia nella foggiatura che nella decorazione… è emozionante e coinvolge arte, storia, geografia, filosofia, antropologia.
C.S.: L’arte, per lei, non è solo pittura ma anche scultura, argilla, scrittura e musica. In che modo riesce a conciliare e a far convivere tutte queste arti in una persona sola?
Pierpaolo Catini: L’approccio con l’argilla è stato nei primi anni di vita. Quando in bottega i miei genitori, in particolare credo mia madre, che ha sempre collaborato, faceva dei divertenti animaletti per farmi giocare. Io in qualche modo mi sono sempre divertito, come un gioco avendo la fortuna di averlo sempre a disposizione, ma imparando qualcosa negli anni in cui ho frequentato l’istituto d’arte ceramica fa grue. Non mi è mai interessata più di tanto la foggiatura, la forma tonda e liscia, la perfezione in quel senso. Anzi. Al contrario ho sempre cercato texture innovative, come in tutti i campi, anche in pittura. Cercavo la forma riccia, o creavo sculture sperando in un’essiccazione adeguata, di aver alleggerito bene l’interno, se necessario. Mi sono sempre spinto al limite per non passare personalmente per cose già viste o già fatte. La riuscita non mi è mai interessata più di tanto. E la sperimentazione che mi porta a superare questo limite e mi porta davvero a godere del piacere della riuscita quando creo qualcosa senza saperne bene le basi. E nei concorsi a cui partecipavo con la scuola è sempre andata molto bene. Con ‘Scheletro di un albero Ossidato’ scultura credo ancora esposta in una scuola superiore a Roseto appunto, tornado alla nostra domanda, le passioni si intrecciano. È una scultura di argilla, con colori che ricordano un albero tutto, quindi, come se fosse in qualche modo di metallo, ma è allo stesso tempo la spina dorsale di un uomo, della terra, del suo lamento. Con la scultura mandai uno scritto, una didascalia, una spiegazione e per me rimane ovvio che in qualche modo, non per tutte le arti con lo stesso equilibrio, le varie passioni si intreccino e portino più che altro a spiegare, con la scrittura quello che si è fatto e credo di non averlo mai fatto solo in modo tecnico e sterile, poiché non è tecnico e sterile il modo in cui sogno sulle mie opere. Scrivere ho sempre scritto fin da giovanissimo, appuntando le mie emozioni e raccogliendo il tutto in un libro di racconti e poesie. E la musica l’ho quasi sempre lasciata per l’anima, come mezzo per esprimermi, come forte ispirazione, anche se poi mi sono cimentato in molti strumenti, a modo mio, come per tutte le cose che faccio. Come si può non provare o avere voglia di sentire il brivido di suonare le percussioni? E sapendo che gli approcci ad ogni strumento sono molto differenti, ho dovuto provare la voglia fisica di suonare una batteria, concentrandomi di più poi su chitarra ed ora nel basso. Suonai il sax per un breve periodo e mi piace sperimentare col pc. Conciliare tutte queste cose dipendeva da quanto mi lasciassi andare ad esse, da quanto non mi obbligassi a farle contemporaneamente. Col tempo aspetto che l’impulso si faccia avanti da solo, senza sforzi, ed ora vengono da sole. Non c’è giornata in cui non faccia note e segni, anche per poco, perché non è nella quantità ma nella qualità di quello che sento. Un segno può portarmi ad una nuova serie. Mentre tutto il resto nella mia vita è ancora e comunque un “contorno”, una pausa riflessiva e creativa, i colori regnano sovrani. Mi sento in continua evoluzione e lascio che dentro me le cose accadono, perché verranno fuori al momento giusto e sicuramente diverse nel modo in cui le ho progettate e sognate. Lasciarsi stupire dalla creatività è quanto di più vivo possa avere. È ovvio che ci sono anni e sperimentazione e progettazione, tempo e malumori, gioie e materiali mischiati con insuccesso. Ma succede che il quadro lasciato per due anni in un angolo venga finito un giorno con una pennellata.
C.S.: Il colore denso è un’ ottima idea, da spruzzare liberamente su una base di colla e calce nei suoi due quadri: ‘Innatural’ e ‘Cavallo di Battaglia’. Ricordano il pittore espressionista astratto Jackson Pollok, famoso per i suoi grandi ‘Dripping’. In che modo arriva all’Action Painting e di conseguenza al Dripping?
Pierpaolo Catini: Per curiosità. La curiosità mi ha portato a sapere senz’altro più cose. In questo caso ci tengo a sottolineare che la gestualità è importante. Lanciare un secchio di vernice bianca su cenere di stufa a legno e guardarne il lento asciugare e mutare è sensazionale. Si, la mutazione è la cosa che mi affascina di più. Questo quadro, ‘Innatural’, non ha altro. Soprattutto non ha colla. La cenere si è asciugata ed essiccata al sole con la vernice da muri. Quel quadro che è una delle poche tavole di legno, tra l’altro, è stato un anno alle intemperie. L ‘ho lasciato sotto la pioggia, la neve, il vento e infine il sole che ha asciugato bene il tutto, dando piccoli ritocchi di tanto in tanto e aspettando la possibilità di alzarlo. Il rosso l’ho schizzato alla fine. Sono tutti materiali che avevo, non ho comprato nulla. Ho ricercato il senso di qualcosa di forte, usando bianco, nero e rosso. Da qui l’ispirazione per fare il secondo. Ho usato i colori del sangue e della violenza proprio per manifestare il contrario. Per ‘Cavallo di Battaglia’, il discorso è differente. Qui, ho usato la colla per attaccare il ferro di cavallo ed il pezzettino di zoccolo datomi in paese da un artigiano, ma la prima stratificazione è data da oli. Per creare un effetto materico, una parte rialzata, ho svuotato un posacenere pieno di cicche e versato sopra tutto il quadro molta colla. Questo quadro è contro la violenza sugli animali, in particolare vedendo un palio ho capito che proprio non è possibile e per me inconcepibile usare gli animali per i proprio scopi più inetti, quale il divertimento di una banalissima corsa. La vernice rossa sul ferro dovrebbe rendere quest’idea. Ho intenzione di continuare questa strada che mi ha dato molto, ma ultimamente mi sono concentrato su una linea più delicata, acquerelli e disegni coi pastelli. La spinta per tornare a farne però è attiva. Mi sto organizzando poiché per quello che ho in mente ho bisogno di spazio.
C.S.: Da dove trae l’ispirazione?
Pierpaolo Catini: L’ispirazione è in tutte le cose. I miei grandi maestri sono stati Van Gogh e gli impressionisti all’inizio. Quindi lo studio della storia dell’arte mi ha ampliato gli orizzonti da ragazzo. E portato a dipingere anche su cartoni quando non avevo le tele. I paesaggi e la natura hanno sempre influenzato il mio percorso. Ma non sto dicendo quello che avrei voluto dire da subito. Viene dagli occhi e dal cuore. Mi attende un viaggio a New York e sono certo che gli occhi si colmeranno di colori e grattacieli. Se mi conosco un po’ farò sicuramente i “miei” grattacieli rivisitati. Dipingo sempre ciò che mi circonda. Mi soffermo anche sulle piccole cose, foglie, oggetti, frutta. Di animali ne ho fatti molti, ma sempre o quasi astratti o più animali insieme. Spesso mi basta un ricordo che si vede a malapena della cosa che voglio ritrarre. Difficilmente ormai faccio figure realiste. Ma qualunque cosa è ispirazione in chi vuole guardare, scrutare, capire. È con occhio e punti di vista diversi che disegno le cose. È una cosa interna, un rumore, qualcosa che scalpita. Non è qualcosa che si trae, qualcosa che esce, che deve uscire.
C.S.: Tecnicamente, quando inizia un quadro, segue un metodo preciso?
Pierpaolo Catini: Sono un creativo. È l’unico termine che amo e credo mi rispecchi. Mi piace usare le mani per fare qualcosa che non c’è. Non ho uno stile unico e riconoscibile, non un percorso lineare che porta ad essere un pittore di una determinata cerchia. Ho fatto il mio “impressionismo”, il mio “espressionismo”, la mia Action Painting, i miei polimaterici, i miei acquerelli, le mie amate illustrazioni. Ho cercato di innovare nella tradizione. Lì dove mio padre, paesaggista di Castelli, mi insegnava lo stile classico, io ho tirato fuori paesaggi incompresi, “sbagliati”, come Red Oak, una quercia rossa totalmente in primo piano senza spazio per respirare. Ho buttato cenere su tavola lasciandola per mesi al sole vento e pioggia , con schizzi di vernice bianca e rossa, materiali che avevo, aspettando pazientemente che la tavola asciugasse. Cercando risultati con le mie vie differenti è nato ‘Innatural’, appunto un esempio di Action Painting, amando Pollock. Un omaggio a Van Gogh nasce da strati e stratificazioni infinite di olio su tela 50 x 100, come la dimensione del suo favoloso campo di grano con volo di corvi… trovando nella texture che ne esce (quadro da toccare e sentire) spunto per un altro progetto in fase di crescita, appunto “texture”. L’acquerello mi ha sempre intrigato per la sua delicatezza, ma come al solito mi sono dissociato subito dall’usarlo come si “deve”. Dalla carta sono passato a godere delle bollicine di acqua che l’acquerello lascia su tela. E sono nati molti quadri. Poi sono tornato alla carta creando il progetto ‘lines’, strisce di colore ad acquerello pastellato con pennellessa: sono A4 da fotografare insieme, più o meno tre strisce per foglio, sono un oggetto di design, possono essere quadri o installazioni, un insieme da costruire diversamente su una parete o dei veri e proprio elementi modulari e facendo delle varie foto ulteriori opere con luci differenti. Vivo di colore e so che devo creare in quanto bisogno fisico. Spesso senza una progettazione iniziale e con una confusione che mi brucia l’anima. Solo e senza parlare lo faccio. Forse per salvarmi e credo sia l’unica cosa che so fare. È uno sfogo intimo stando con me. Dove spesso le lacrime non arrivano più arriva il colore il getto, la linea, lo spunto il fuoco che ho dentro. Non mi incanalo e non sono riuscito a fare bei sorrisi a chi vive di arte e voleva anche aiutarmi. Io so solo che lo faccio senza pretese e ciò non vuol dire che non credo in me, ma io non cerco l’aggancio politico. Non sorrido al mondo quando non mi va e godo nel mio risorgimento. Ho creato il progetto ‘La Tua Storia in un Quadro’. Può sembrare un disegno semplice, senza collegamenti, poco fuso, invece è la storia della vita di una persona, cioè quanto di più profondo e importante possa esserci. Sto cercando di specializzarmi nel disegnare più significati insieme concatenandoli nelle linee, ma uscendo dal figurativo. Nella TSQ (chiamo così la tua storia in un quadro) io chiedo le passioni dell’interessato, una foto, le sue origini, tutto ciò che possa dirmi, usando una scheda, e in un foglio disegno la sua vita. Questa persona deve rivedersi subito nel quadro e credo che tutti vorrebbero la proprio storia in un quadro, disegnata. Il progetto, nel pieghevole, lo presento così ‘Non è solo un disegno ma la storia di una vita: nasce dalla voglia di racchiudere il vostro percorso e le vostre passioni, in un quadro speranzoso per il futuro e colmo di significati; i significati che voi avete creato per costruirvi il sogno e che io racchiudo, col mio punto di vista, nel migliore dei modi, in un piccolo foglio.’ Per quanto riguarda gli oli, mi sono sempre distaccato anche qui dalla maniera classica. Dal dovere aspettare che il colore asciughi. Io butto colpi di colore puro sulla tela. Curandomi solo dell’accostamento di colore che mi piace in quel momento… cercando solitamente quasi sempre cieli, alberi, natura, quella natura che salva da pace o temporali, fa freddo o scalda il cuore. Stamattina ho iniziato Scratches (Graffi), dei disegni dove i contorni sono dati da tratti di colore sovrapposto molto decisi, nervosi ma puliti, dei graffi per l’appunto. Da questa sperimentazione vorrei arrivare a disegnare l’intero oggetto solo coi tratti.
C.S.: Dei suoi quadri qual è il suo preferito?
Pierpaolo Catini: Il mio preferito è senza dubbio l’omaggio che ho fatto a Van Gogh. Sulla linea del Campo di grano con volo di corvi ho fatto il mio campo di grano con una texture di oli molto materica, da toccare con mano e sentire.
C.S.: Che tipo di musica ascolta?
Pierpaolo Catini: La musica è una grande passione. Ascolto molta musica e mi piace variare soprattutto quando dipingo, sia col rock, jazz, indie, reggae. Ascolto spesso i suoni della natura e mantra. Non ho un genere preferito. Ascolto tutta la musica, quella buona, degna di avere questo nome.
C.S.: Progetti per il futuro?
Pierpaolo Catini: Nell’immediato futuro c’è un viaggio a New York che mi attende. Vado a trovare la mia famiglia. E sono certo che anche tutti i miei progetti attuali saranno stravolti e rivisitati da questa esperienza e che me ne porterà di nuovi. Inoltre tornerò all’Action Painting ed al Dripping poiché i tempi sono maturi. Sento la necessità di gesti e colori nervosi, così come al contempo il progetto Lines e Scratches li riservo ai momenti di riflessione. Per ogni emozione un nuovo progetto. Tra l’altro non posso lasciare la matita acquerellabile che ultimamente mi ha dato molto e portato dove non credevo. Inoltre con il basso acustico, non vorrei parlare troppo, ma ho in mente buone cose e fotograferò tutto.
C.S.: Qual è il suo rapporto con la sua terra d’origine?
Pierpaolo Catini: Amore e odio ovviamente. Amo l’Abruzzo, la sua pace e i miei monti. Non so se esistano posti più belli. Sento le mie radici in questi luoghi senz’altro, ma allo stesso tempo non ci sono opportunità come in una grande città. Anche lo scambio culturale è scarso.
Pierpaolo Catini (Atri, 1979) vive e lavora a Teramo dedicandosi totalmente alla passione artistica; è diplomato all’Istituto D’arte Ceramic’ F.Grue’ di Castelli e dipinge su maiolica sin dall’infanzia insieme al padre pittore, Catini Fernando, noto paesaggista. Si laurea in Scienze della Comunicazione e matura la sua espressione ricercando nuove vie comunicative. Si dedica alle arti più varie, come la musica, la scultura in argilla e la scrittura pubblicando il libro ‘Marionetta’, antologia di racconti e poesie, nel 2009 con Tespi Editore. Vince il secondo Premio ‘Pasquale Celommi’ di Roseto con una scultura in argilla refrattaria decorata e partecipa a mostre collettive come: “Arte contro la violenza”, a Teramo.
Written by Carina Spurio
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