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Intervista di Claudia Leporatti all’attore Alessandro Haber

Creato il 02 giugno 2015 da Alessiamocci

Visitare una città come Budapest è una gioia, potrei anche viverci: la sento propositiva

Prossimo ai 50 anni di carriera, Alessandro Haber ha una reazione dirompente alla parola “arrivato”, fedele più che mai all’amore della sua vita, la recitazione.

Ospite del festival italo ungherese dei cortometraggi (Pázmány Film Festival) l’attore racconta una vita di passione e amicizie in cui l’arte è protagonista assoluta, in esclusiva su Oubliette Magazine. Buona lettura!

C.L.: Come ha influito l’ambiente di Tel Aviv, dove ha vissuto da piccolo, sulla sua vita?

Alessandro Haber: Ho iniziato lì a recitare. Osservavo quello che mi circondava e poi lo traducevo nelle mie recite, costringendo la famiglia a guardare me che mi esibivo, truccato e travestito. Ero molto vivace e lo sarei stato anche altrove, ma traevo grande ispirazione dall’ambiente colorato, allegro in cui ho trascorso la mia infanzia. 

C.L.: Al cinema si cala sempre in personaggi problematici: è stato lei stesso un ragazzo difficile? Come se la cavava a scuola?

Alessandro Haber: Ci ho messo sei anni per finire le medie, potrei dire solo questo… Avevo una condotta terribile e mi buttavano fuori da ogni istituto. Di stare sui libri non poteva importarmene di meno, ero convinto di voler fare l’attore e separavo nettamente lo studio dalla mia aspirazione. Più in là ho capito quanto la scoperta e la conoscenza siano importanti per l’arte recitativa e tuttora studio moltissimo, ma diciamo che ho capito quasi subito che la vera scuola è la vita, non servono banchi.

C.L.: Quando è diventato chiaro che sarebbe stato un attore di professione?

Alessandro Haber: Mio padre fu trasferito per lavoro a Verona, dove sono rimasto tra i 9 e i 17 anni e ho visto il primo spettacolo teatrale della mia vita. Era “Chi ha paura di Virginia Wolf” e mi è piaciuto enormemente. Mi sono sentito ancora di più travolto da un’energia che era una vera e propria necessità, quella di esibirmi. “Cosa vuoi fare da grande?”, mi chiedevano, e quando rispondevo “l’attore” il commento era “gli passerà”: invece non è mai passata.

C.L.: Esiste qualcosa che distrae Alessandro Haber dal cinema?

Alessandro Haber: Il teatro. Per me è una droga. Ho perso molti film per calcare le scene.

C.L.: E qualcosa capace di distoglierla dal lavoro?

Alessandro Haber: Niente mi dà di più. Ho dedicato la mia vita a quello che considero un faro sempre acceso e non ci sono donne, soldi, interessi, vacanze o distrazioni di sorta in grado di portarmi via dalla mia fonte di nutrimento.

C.L.: Le capita di sentirsi sentirsi solo?

Alessandro Haber: Ho sofferto molto nella mia vita, ma sto benissimo con me stesso. Per mia fortuna ho avuto anche la gioia indescrivibile di avere una figlia (prende il telefono, mostra la foto che tiene sullo sfoglio, sorride), la mia Celeste, ma non mi sono mai sposato. Mi stufo di ogni cosa, ho bisogno di muovermi, di agire, non potrei fare vita di famiglia.

C.L.: Ha lavorato con buona parte dei più grandi attori della storia del cinema e del teatro italiano. Ci sono delle controindicazioni nel recitare a fianco di divi come Mastroianni e Vittorio Gassman?

Alessandro Haber: Da un certo punto di vista quei decenni sono stati difficili per gli altri attori che non erano i magnifici cinque. Mi riferisco a Gassman, Mastroianni, Manfredi, Tognazzi e Sordi, che hanno adombrato i più giovani, perché loro, più in là con gli anni, interpretavano anche i ruoli da quarantenni al posto di noi che 40 li avevamo davvero…a parte questo ho ricordi stupendi con ognuno di loro, erano persone straordinarie anche sul piano umano. Di Gassman mi viene in mente la recitazione teatrale: la prima volta che lo vidi aveva una voce talmente impostata da suonare come un trombone, era quasi finta; dieci anni dopo lo rividi nella stessa parte ed era naturale, forte, mi ha emozionato.

C.L.: Che rapporto ha con la musica?

Alessandro Haber: La musica si trova dentro ognuno di noi, una forma di espressione fondamentale per un’artista e sono fermamente convinto che un attore debba mettersi in gioco, passare da una forma all’altra con curiosità e sentimento. Anni fa una catena di eventi ha portato De Gregori a sentire una registrazione di me che cantavo ed è rimasto sbalordito al punto da scrivere una canzone per me, “La Valigia dell’Attore”, da cui prese le mosse il disco omonimo, che vide coinvolti altri attori.

C.L.: Ha vissuto una potente simbiosi con Bukowski, continuano a chiederle di riportarlo in scena, come è iniziata quest’avventura?

Alessandro Haber: Una sera di almeno 12 o 13 anni fa ero stato invitato a Parma a tenere un reading delle sue poesie. Le ho scelte affidandomi all’istinto, sfogliando i dattiloscritti fornitimi dalla Minimum Fax come fossero figurine. Sul treno li ho ripassati, una letta veloce, un sonnellino, ero tranquillo. La piazza era gremita e l’assessore mi ha lanciato promettendo sorprese da parte mia. A malapena avevo letto i testi, per cui ero infuriato e carico di rabbia quando sono salito sul palco. Un trionfo. Gli appassionati hanno pianto perché avevano rivisto il loro idolo; i detrattori finalmente cominciavano ad apprezzare Bukowski. L’idea per “Haberoski” (lo spettacolo che tornerà a teatro anche nel 2016) prende vita da quella improvvisazione, in cui mi sono ritrovato dentro lo scrittore americano.

Written by Claudia Leporatti 


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