“Taormina. Qualunque cosa stesse facendo in quel momento di quell’ora tarda della sera, ad un certo punto cominciò a sentire dentro di sé una specie di richiamo. Hai presente quelle sensazioni che, all’improvviso, e senza nemmeno capire da quale avamposto giungano, sembrano scivolarci dentro con tutta l’aria di essere dei veri e propri presentimenti che ci attirano?” (Scrivere uccide- Antonio Magrì)
Il protagonista del romanzo è William, un giornalista con la passione per la scrittura di racconti ucronici, ovvero un genere di narrativa fantastica che spesso si incrocia con la fantapolitica, e si basa sulla premessa generale che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo, rispetto a quello reale. Due racconti si realizzano invece, proprio tali e quali a come William li aveva scritti: l’assassinio di Berlusconi ed il tentato omicidio di Saviano, lo scrittore di “Gomorra”.
Il Male sembra uscire direttamente dalle pagine dei suoi scritti, e William impazzisce. Senza prima però aver tentato di scoprire cosa possa nascondersi dietro a tanto potere. Che si tratti di mafia? Di una setta? Di una forza soprannaturale? Le indaga tutte. Entra in gioco allora il desiderio, più forte di ogni altra cosa, di impossessarsi del libero arbitrio perduto, di riprendersi la sua vita e il suo destino di scrittore. E per far cessare tutto, non gli basta fare altro che affrontare il Male, prenderlo “di petto”, inventandosi un epilogo della sua stessa vita.
Ha bisogno però di un testimone a cui raccontare tutto, che dia un senso alla sua uscita di scena. Un lettore che tramandi ai posteri la sua storia. Il finale, che non svelerò, non è affatto scontato: anzi, rimette tutto in gioco. In questo romanzo immaginario e realtà si fondono, non si sa dove finisca l’uno e dove inizi l’altra. Passato e presente si amalgamano, “scivolano” nella nostra mente così come fluiscono i pensieri dell’autore. Creano uno spazio ed un tempo paralleli che fanno da cornice a quella che si concretizza come un’indagine introspettiva di chi pratica il mestiere dello scrivere.
Antonio Magrì: Innanzitutto, grazie a voi dell’interesse e della possibilità. Beh, la saggistica, ma solo relativamente alla semiotica, non è un “riparo” dalla mia immaginazione, bensì una passione con cui ho imparato a guardare meglio al mondo e a sapere di che farmene. Di più. Mi ha insegnato a ritrovare gli occhi da bambino, quella capacità cioè, senza preconcetti, di categorizzare ogni cosa nel verso giusto, non soggettivo, ma oggettivo, e, quindi, a rintracciare e a risalire da capo a piedi il senso – inteso come l’organizzazione di significato – di qualsiasi forma di espressione e contenuto. Ora, questa capacità, abbinata alla professione di giornalista dovrebbe rappresentare un’accoppiata vincente, soprattutto per la realizzazione di inchieste, ossia per rintracciare un tassello e poi arrivare al disegno finale di un mosaico. Che è quello che è successo a me. Solo che adesso, da oltre un anno, dopo 7 anni di gavetta e crescita, non scrivo più per alcun giornale. Il problema, la cosa peggiore è che alla fine a mettermi nella condizione di non scrivere più sono stati l’ultimo mio ex editore e i redattori interni al suo giornale. Per questo dico sempre che in Sicilia il male maggiore non è rappresentato da Cosa Nostra, ma dal giornalismo. Infatti, quelli che svolgono davvero questo mestiere sono sì e no il 10 per cento. Così, oggi, senza fare la vittima ma raccontando semplicemente le cose come stanno, dopo tutti i sacrifici che ho fatto e fatto fare alla mia famiglia di origine e a mia moglie, prima per laurearmi a Bologna e poi per svolgere la carriera di giornalista a due ero e cinquanta a pezzo e foto, nonché dopo le minacce e i rischi vissuti per tenere la schiena dritta dai politici che avrebbero voluto comprarmi e dai colleghi che avrebbero voluto addomesticarmi, mi ritrovo senza un lavoro, quando, invece, in un paese normale avrei dovuto fare già il famoso scatto di carriera. In un certo senso io ho l’ho fatto, ma me l’hanno fatto fare all’indietro. Per rispondere alla tua domanda, però posso dire che quando mi voglio davvero rifugiare o quando voglio più semplicemente evadere, anche da me stesso, se posso guardo documentari naturalistici. Certo, è pure vero che li guarderei sempre e comunque. Tanto che non so se sia una passione che avrei dovuto coltivare. Ma tant’è.
C.B.: Ho letto che hai avuto l’idea di scrivere questo romanzo quando avevi 20 anni. Che cosa è successo dopo, vuoi parlarcene?
C.B.: L’assassinio di Berlusconi e quello di Saviano di cui William scrive nel suo libro e che poi nel romanzo si realizzano, hanno fatto gridare allo scandalo i benpensanti. Ma in realtà, quale idea di fondo si nasconde dietro a questi due episodi?
C.B.: Il tuo romanzo mette in risalto il tormento interiore e le aspirazioni spesso mortificate di chi si cimenta con passione nell’arte di raccontare. Quanto di autobiografico c’è in questo?
Antonio Magrì: Tutto. Perché ho riversato, appunto, su William tutti i tipi di sofferenze da me vissuti nel tempo per avere avuto questo genere di passioni come la scrittura e la lettura. In Sicilia, tranne che tu non sia già Camilleri, se sei uno cui piace scrivere o leggere, è bene che ti abitui ad essere emarginato o ad emarginarti.
C.B.: Senti Antonio, è vero che la copertina del libro è stata disegnata da te?
Antonio Magrì: Sì, è vero. Dal momento in cui l’ho pensata, non ci ho messo molto a realizzarla. Siccome, ho idee anche di tipo puramente visivo, ma non sono molto bravo a dipingere, con il mouse ed un semplice programma grafico riesco spesso a riversarle fuori dalla testa.
C.B.: Una cosa mi ha incuriosita molto: è vero che all’interno del romanzo c’è un “cameo”? Un po’ come faceva Alfred Hitchcock nei suoi film.
Antonio Magrì: Sì. Ma non è autoreferenziale. Si tratta di una scena in cui appare il mio carissimo collega giornalista Rodolfo Amodeo. Quindi, di una persona vera, reale, al pari di quelle i cui nomi sono puntati, ma che grazie ad internet non dovrebbe essere difficile individuare. Sono tutti piccoli stratagemmi che inseriti all’interno di una storia al limite del possibile dovrebbero funzionare. Non avrebbe avuto senso per me inserire dei riferimenti a persone e figure reali in un contesto in gran parte verosimile, e soprattutto non impossibile, con nomi di fantasia. Quando si è degli emergenti, secondo me, sia per motivi di natura terapeutica che economico-produttiva, bisogna rischiare qualcosa in più, fare sì che un nemico vero si riconosca in un personaggio della finzione, anziché renderlo irriconoscibile.
C.B.: Quali progetti hai per il futuro? “Scrivere uccide” avrà un sequel?
Antonio Magrì: A luglio ho cominciato a spedire ad alcuni editori un romanzo dal titolo provvisorio “La strage dell’Etna”. Prima l’ho fatto leggere a qualcuno, ottenendone un riscontro positivo. In realtà, quest’ultima storia l’avrei dovuta scrivere dopo il sequel di “Scrivere uccide”, che è nato prima. Trattandosi, però, in quest’ultimo caso, di un seguito il cui sviluppo dovrebbe portarmi a comporre un autentico romanzo storico, e volendo “sfondare”, ossia cominciare a guadagnare qualcosa di concreto, mi sono preso il tempo che ho ritenuto mi occorresse ed ho fatto ricerche storiche. Adesso, però, dopo un anno, credo che possa finalmente iniziare la sua stesura.
C.B.: A chi dedichi i tuoi successi, Antonio?
Antonio Magrì: Fino ad oggi ho dedicato i miei libri – proprio per iscritto – a mia moglie, ai miei genitori ed a mio nipote. “Scrivere uccide”, invece, non l’ho dedicato a nessuno, perché, come libro nel libro, non si prestava. Ma colgo volentieri l’occasione per dedicarlo agli ultimi, agli indifesi e ai malati. Per quanto ciò possa per loro valere, prego con tutto me stesso affinché trovino un riscatto e la pace nei loro cuori.
C.B.: Ti ringraziamo molto per essere stato con noi, anche per questo tuo pensiero finale. In bocca al lupo per tutto e speriamo di risentirci presto, magari in occasione della tua prossima opera.
Written by Cristina Biolcati