Il regista Alessandro Greco aveva già rilasciato un’intervista per raccontarci l’esperienza della messinscena di “Io sono il vento” di Jon Fosse che ha diretto al Teatro India lo scorso 25 e 26 febbraio 2015 nell’ambito del trittico proposto dal Teatro di Roma e ATCL per omaggiare il drammaturgo norvegese.
Questa volta ci racconta la sua esperienza al fianco del regista Emidio Greco cui il Festival del Cinema Europeo di Lecce ha dedicato, per onorarne la memoria, un premio rivolto ai giovani registi e ai loro cortometraggi.
Ringraziamo Alessandro Greco che ha voluto condividere con i lettori di Oubliette Magazine il ricordo del padre.
I.G.: Ti ringrazio per la disponibilità. Puoi raccontarci come è nato il Premio dedicato a Emidio Greco nell’ambito del Festival del Cinema Europeo di Lecce?
Alessandro Greco: Il rapporto di Emidio con il Festival del Cinema Europeo di Lecce nasce sin dalla prima edizione nel 1999. Emidio è sempre stato presente: il direttore Alberto La Monica mi ha sempre detto che era uno dei garanti del Festival, ne era sostenitore. Dopo che nel dicembre 2012 è mancato mio padre, a febbraio del 2013 Alberto mi ha chiamato attraverso il Centro Nazionale del Cortometraggio comunicandomi l’intenzione di istituire un premio in ricordo di Emidio – con cui avevano un rapporto amicale oltre che professionale – per il miglior cortometraggio di un giovane autore che avesse meno di trent’anni, un premio che affiancasse il Premio Mario Verdone. Il meccanismo è questo: il Centro mi propone ogni anno una selezione di otto, dieci cortometraggi tra cui scegliere il più meritevole. L’edizione di quest’anno è stata vinta da Alessandro De Leo e Federico Di Corato con “La Baracca”. La prima edizione è stata vinta da Gabriele Mainetti con “Tiger Boy”, la seconda da Cristina Picchi con “Zima – Inverno”.
I.G.: Quale era il rapporto di Emidio Greco con la città di Lecce?
Alessandro Greco: Mio padre era pugliese di nascita, di Leporano (nella provincia di Taranto). Ha lasciato la Puglia a quattordici anni e si è trasferito a Torino. Credo che il rapporto fosse più con la regione in sé, un rapporto che ha le radici nell’infanzia. Detto questo, mio padre ha fatto la sua vita a Roma. Quindi pugliese di nascita, torinese di formazione e romano per scelta. Il rapporto con Lecce era legato unicamente al Festival.
I.G.: Tu hai vissuto l’ultima parte della carriera di Emidio, qual è secondo te il suo contributo nel Cinema della seconda metà del Novecento?
Alessandro Greco: Non saprei cosa dire: ho difficoltà a fare l’esegeta o farne l’apologia o ridurlo in poche parole. So però che il cinema di mio padre è stato fondamentale per me e per molte altre persone, ho diversi attestati di stima per un Cinema poco noto che molti hanno considerato di nicchia o intellettuale. Per alcuni è stato fondamentale, questo lo posso dire. Moltissimi si sono chiesti come Emidio riuscisse a chiudere economicamente i suoi film. Dagli anni Settanta in poi il cinema italiano entra in crisi, di pubblico e di finanziamenti; Emidio la crisi la subisce, come tutti, ma riesce comunque a creare una poetica riconoscibile anche se declinata in pochi film. La testardaggine sa essere più forte della crisi.
I.G.: Puoi parlarci del tuo rapporto di lavoro con Emidio?
Alessandro Greco: Un rapporto privilegiato. Io ho cercato sempre, negli anni che ho passato al suo fianco, di rendermi assolutamente disponibile per quelli che fossero i suoi desideri, ho cercato di mettere la maggiore energia che potevo e che inevitabilmente avevo più di lui. Volevo che mio padre facesse ciò che desiderava. Non ho mai dato un suggerimento, non ho mai dato un’idea tranne una inquadratura nell’ultimo film. L’aiuto regista non decide, non sceglie le soluzioni registiche ma è un ruolo di congiunzione tra la regia e la produzione. In Italia si pensa che si possa fare prima l’assistente, poi l’aiuto regista e infine il regista, ma in realtà l’aiuto riguarda l’aspetto produttivo del fare regia è puramente un canale di congiunzione. Mio padre non aveva mai fatto l’aiuto nonostante nelle biografie si legga che è stato l’assistente di Rossellini per “Intervista a Salvador Allende”. Ha fatto il regista da sempre. Però mi ha insegnato il mio ruolo, mi ha spiegato il ruolo di tutti i membri della troupe e poi mi ha inserito nella troupe che o ti accetta e ne sei parte oppure dopo sei ore ti lascia ai margini e ti respinge. Mio padre mi ha fatto capire come si lavora in una troupe.
I.G.: Cosa hai ereditato cinematograficamente da tuo padre e qual è il punto di distacco da Emidio?
Alessandro Greco: Io ho avuto la fortuna di seguire la carriera di mio padre negli ultimi dodici anni, sono il suo aiuto per gli ultimi tre film (“L’Uomo Privato“, “Il Consiglio d’Egitto“, “Notizie degli Scavi”). L’insegnamento è duplice: il primo riguarda l’esperienza del set, di come si tiene in mano un set, come si deve interagire con una troupe di cinquanta persone e come si ottengono i propri risultati senza prevaricare, cercando di eliminare qualsiasi traccia di arroganza, cercando il più possibile di spiegare le proprie motivazioni e rendere partecipi tutti del progetto che si vuole portare avanti. Quando Emidio girò “Notizie degli scavi” tutti i membri della troupe avevano meno di quarant’anni e lui ne aveva già settantadue, ma non si è mai fatto remore a spiegare quello che stava facendo, perché una inquadratura piuttosto che un’altra. Spiegava tutto, spiegava come voleva montare, scioglieva i dubbi della segretaria di edizione e metteva tutti a parte della sua idea. Emidio tra l’altro girava unicamente ciò che montava, solo le inquadrature che avrebbe montato: ne “L’invenzione di Morel” che è un film di quarantuno anni fa non ci sono raddoppi, tutte le inquadrature sono concluse in se stesse. La troupe infatti era preoccupatissima per il montaggio, dai racconti che ricordo. Emidio era un regista consapevole di ciò che voleva ottenere. L’altro insegnamento è questo: Emidio diceva sempre “al Cinema nessun compromesso”. Lo è già la vita nei rapporti con le persone. Al cinema nessun compromesso: nel bene e nel male bisogna prendersi i propri rischi e tutta la carriera di Emidio è tempestata di incidenti, fallimenti di case di produzione, film affossati scioccamente e ritirati misteriosamente dalle sale nonostante avessero il terzo incasso per copia e penso a “Una storia semplice”. Io spero di essere più fortunato nella mia carriera, se mai avrò una carriera degna di questo nome.
I.G.: Vorrei chiederti, se vuoi, di condividere un ricordo di Emidio Greco sul set.
Alessandro Greco: Innanzi tutto mio padre con la sigaretta in mano sul set. Anche quando davvero non si poteva fumare. Lo ricordo tranquillissimo, sorridente. Il primo ad arrivare sul set, praticamente l’ultimo ad andarsene. Grande rispetto per chi lavorava con lui. Ricordo una straordinaria capacità di risolvere problemi improvvisi legati al piano di lavorazione: poteva accadere che una scena dovesse essere conclusa prima del previsto ed Emidio riusciva a trovare una soluzione registica per ottenere ugualmente il risultato che voleva, senza perdere la sua intenzione iniziale.
I.G.: Quanto a tuo avviso è presente la luce del sud nella fotografia de “Il Consiglio d’Egitto”?
Alessandro Greco: Il “Consiglio d’Egitto” è il primo film che ho seguito a 21 anni appena compiuti, la fotografia è di Marco Sperduti che è stato operatore alla macchina degli ultimi film di Fellini e di “Una storia semplice”, direttore della fotografia anche in “Milonga” di Emidio. L’accordo tra regista e direttore della fotografia non credo fosse di riportare una idea di sud, ma di riprendere la luce presente in alcuni quadri: nella scena della tortura dell’avvocato Di Blasi il personaggio è sdraiato e viene inquadrato come il “Cristo Morto” di Mantegna. Credo che i riferimenti fossero sostanzialmente diretti verso l’immaginario dell’arte figurativa più che ad un’idea di sud. Di Sciascia mio padre ha fatto la trasposizione anche di “Una storia semplice” in cui si parla della Sicilia come entità. Come si è siciliani, cosa significa essere siciliani e credo che questo contenesse già un giudizio di valore in sé, riflettesse il pensiero di Sciascia non di Emidio. Credo che nella luce non ci fosse un legame con la terra. Mio padre non ha vissuto al sud, in Emidio manca completamente l’idea della nostalgia.
I.G.: Qual è il tuo rapporto con il Festival?
Alessandro Greco: Io sono stato molto orgoglioso del Premio. Dal punto di vista filiale è veramente un grande orgoglio. La prima volta che sono venuto al Festival mio padre mancava da quattro mesi ed è stato molto emozionante. Cristina Soldano e Alberto La Monica mi hanno accolto con grande affetto, quando si parla di Emidio è emozionante per me e per loro ed è un ottimo modo allegro e vivo per ricordare una persona che non c’è più. Il fatto che il Premio sia per i giovani sono certo avrebbe reso Emidio felicissimo. Torno all’idea di “Notizie degli scavi”: nel suo ultimo film Emidio voleva solo giovani e in un Paese in cui lo scambio generazionale è azzerato riusciva per disponibilità d’animo e di condivisione intellettuale a incontrare i giovani. Non era in nessun modo riservato o geloso della sua esperienza ma era ben disposto a condividerla, non solo con me perché suo figlio. Di genitori che in uno stesso ambito aiutano i figli ce ne sono tanti e anzi io devo liberarmi un po’ da questo per esistere al di fuori del rapporto filiale. Io mi sento di casa al Festival e vengo ogni anno con grandissimo piacere e spero che anche in futuro, magari quando la mia carriera sarà più avviata e più nota di quella di mio padre, di potere continuare a venire e premiare i giovani.
Written by Irene Gianeselli