La solitudine è la fonte ispiratrice di Luca Solina che nei suoi anni a Bologna, dove si è formato professionalmente, è stata compagna fedele di lunghe notti.
In quelle serate il giovane regista rifletteva sull’uomo che si isola e perciò rifiuta la sua natura di animale sociale: il mondo interiore in cui a volte ci alieniamo è diventato, così, il fulcro del dramma che vive il personaggio principale della serie affiancato da una protagonista femminile che si trova nella sua stessa condizione. Figure, queste, nuove e libere dagli stereotipi della tradizione cinematografica.
Giulia Santilli, Amanda Cavaliere nella serie, si è diplomata presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Tra il 2006 e il 2009 si è perfezionata con diversi insegnanti stranieri delle migliori scuole di recitazione europee come Nikolaij Karpov, Charlotte Munksø, Peter Clough, Liselotte Baur.
Nel 2009 era a teatro con “Sogno d’una notte d’estate” di William Shakespeare per la regia di Carlo Cecchi. Nel 2008 ha recitato in “Antigone” di Sofocle diretta da Paolo Giuranna e in “Monologhi”per la regia di Anna Marchesini.
Nel 2010 è stata aiuto regista di Enrico Zaccheo in “Petrolio. Studio primo” da Pier Paolo Pasolini. Nel 2011 è stata tutor supervisore del laboratorio di riscrittura teatrale nei licei e messa in scena per il Teatro di Roma al Teatro India de “La resistibile Ascesa di Arturo Ui” di Bertold Brecht con Claudio Longhi, collaborando alle visite guidate al Teatro Argentina in “Ve lo faccio vedere io il teatro” sempre per la regia di Claudio Longhi.
Attualmente collabora con diverse compagnie nei teatri di Genova e Roma portando in scena spettacoli classici e moderni. Ha lavorato per quattro anni in una compagnia teatrale privata con cui ha avuto la possibilità di interpretare personaggi molto diversi, sperimentando e arricchendosi sia dal punto di vista professionale che umano. Nel 2013 è stata diretta in teatro da Matteo Tarasco in “Gli abiti del male”. Il 2012 l’ha vista impegnata nelle riprese di “Puzzle” web serie diretta da Luca Solina.
I.G.: Ti ringrazio per la cortese disponibilità e lascio introdurre a te la trama di “Puzzle“.
Giulia Santilli: In questo thriller psicologico protagonista assoluto è l’effetto domino del male che coinvolge i personaggi senza che questi abbiano possibilità di salvezza. E non si tratta solo della cattiveria, della crudeltà: il male è anche fragilità. La serie si apre in una camera senza finestre, dove una donna incatenata si sveglia e urla. Tutto è avvolto dal mistero: entra un uomo dal viso coperto e le domande che lo spettatore si pone, prendendo il punto di vista del personaggio, non trovano ancora risposta. Il numero di prigionieri aumenta: vengono trascinati nella stanza e incatenati altri due uomini e due donne, cinque persone in tutto che apparentemente non si conoscono sono legate l’una all’altra dall’uomo senza volto e nessuno sa la ragione per cui li tenga prigionieri. Saranno i flashback dei protagonisti a svelare e ricostruire la storia nelle puntate successive. Man mano che si comporranno i tasselli, il disegno del puzzle si farà sempre più chiaro, fino alla risoluzione sconvolgente.
I.G.: Il progetto è molto particolare, cosa ti ha convinto ad accettare il ruolo di Amanda Cavaliere?
Giulia Santilli: La validità del progetto era evidente già ai provini, organizzati e svolti con grande professionalità. Il regista (Luca Solina) si è sempre dimostrato disponibile ed aperto a qualsiasi proposta o dubbio. Quando mi è stata inviata la sceneggiatura l’ho letta tutta d’un fiato e l’ho trovata esaltante. Poi ho chiamato Luca e gli ho detto: “Ehi ciao sono io, Giulia Santilli! Volevo ringraziarti e farti sapere che starò attenta al tuo bambino”. Sorride al ricordo di quella telefonata. A quel punto era impossibile non dare il massimo.
I.G.: Puoi parlarci del tuo personaggio?
Giulia Santilli: Amanda Cavaliere è una donna bella, molto forte, glaciale: il nome ne riflette l’interiorità profondamente scissa, anche se sembra essere in netto contrasto con il suo carattere autoritario. Primario di ginecologia, paradossalmente detesta le donne incinte e non sopporta di essere contraddetta: sa quello che vuole e come ottenerlo, ma non riesce a possedere ciò che più desidera e così tutte le sue azioni sono una conseguenza inevitabile della grande rabbia e frustrazione che vive segretamente nel suo cuore. È l’ultimo personaggio-prigioniero che viene segregato: il suo ingresso nella stanza rimescola le carte in tavola aggiungendo il tassello che il pubblico aspetta sin dall’inizio in un coinvolgimento emotivo che cresce fino alla scena finale.
I.G.: Quali ricordi porterai con te dei giorni di riprese e come valuti la tua esperienza con l’équipe?
Giulia Santilli: Ci hanno davvero coccolato, perché non ci sono altre parole per definire la cura con cui siamo stati trattati noi attori durante tutti i giorni di riprese: le amicizie che sono nate, le risate e il grande lavoro di squadra mi hanno insegnato molto. Sono cresciuta come attrice e per questo sarò sempre grata a tutti. Un ringraziamento è d’obbligo anche per i tecnici: quella di “Puzzle” è stata la migliore squadra con cui abbia mai lavorato. Ciascuno ha dato il massimo credendo in questo progetto che è diventato il nostro bimbo.
I.G.: Cosa pensi di questo modo nuovo di comunicare?
Giulia Santilli: Quella della web serie è una modalità di espressione che permette a chi non ha a disposizione alti budget – come ad esempio i giovani – di farsi ascoltare e introdurre qualcosa di originale: esprimersi restando fedeli alla propria poetica, riuscendo tuttavia ad offrire prodotti in linea con la richiesta degli spettatori. Chi si trova dall’altra parte dello schermo ha anche una ragione in più per rilassarsi, dovremmo tutti concederci una ventina di minuti a settimana per seguire una serie: birra, patatine, un pc, piedi allungati sul tavolino.
I.G.: Se non facessi parte del cast suggeriresti ai lettori di vedere la serie?
Giulia Santilli: Naturalmente sì. Credo che al giorno d’oggi sia necessario incuriosirsi e sarebbe bello che ogni spettatore lasciasse la propria opinione: la comunicazione acquisterebbe vivacità, veicolata dalla tecnologia, ma non schiava di questa. Tutti più felici, liberi di esprimersi e non credo sia un’utopia.
Written by Irene Gianeselli
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