La musica jazz in Italia è molto diffusa e amata e raccoglie ampi consensi grazie a una serie di festival che in determinati periodi dell’anno dedicano giornate di promozione di una cultura musicale ricchissima, che nel corso dei decenni ha subìto molte evoluzioni.
Pur rientrando in un filone specifico e di nicchia, la passione per questo genere non scoraggia la tenacia di giovanissimi che, supportati da un indispensabile talento, riescono molte volte a farsi largo solo con le proprie forze.
È il caso di Giuseppe Venezia, contrabbassista lucano di Bernalda (Matera), classe ’82, che ci racconterà il suo originale avvicinamento al genere oltre che un’incredibile ascesa che in pochi anni lo porta a collaborare con nomi importanti del panorama jazzistico mondiale.
Basterà fare i nomi di Enrico Rava, Fabrizio Bosso, Mike LeDonne, Peter Bernstein, Jerry Bergonzi, Johnatan Blake, Jason Lindner, Greg Hutchinson e Stochelo Rosenberg per intuire collaborazioni di rilievo, in Italia e all’estero.
I. S.: Quando ti avvicini al contrabbasso e in che modo nasce il tuo desiderio di esplorare e affrontare stili jazzistici differenti?
Giuseppe Venezia: Mi avvicino allo strumento già maggiorenne, quindi relativamente tardi. Già da alcuni anni però, ero completamente innamorato della musica jazz. Possedevo moltissimi album che ascoltavo continuamente, adoravo andare a concerti e jam session per ascoltare i musicisti passarsi la “palla” e conversare sulle armonie degli standard jazz. Fino a quando un giorno presi un autobus per Roma e con i miei risparmi comprai il mio primo contrabbasso. Era enorme e non sapevo da dove cominciare. Ricordo che telefonai ad un grande musicista italiano, Pietro Ciancaglini, per chiedergli alcuni consigli su come avvicinarmi allo strumento. Mi chiusi in camera per molto tempo fino a quando non cominciai a capirci qualcosa. L’approccio ai differenti stili del jazz è un passaggio quasi naturale, determinato dalle collaborazioni con vari musicisti, locali e non, ciascuno con un proprio bagaglio musicale, dai quali ho appreso tutto quello che so.
I. S.: I tuoi studi accademici non seguono un percorso standard: la tua curiosità in un genere determinato, oltre che la tua intensa attività concertistica, anticipano lo studio della musica classica in Conservatorio, a cui tuttora ti dedichi. Ritieni che acquisire competenze classiche sia un passaggio “obbligato” per distinguersi in un genere così variegato come il jazz?
Giuseppe Venezia: Ho amato sin da piccolo la musica classica e quando ho scoperto il repertorio per contrabbasso sono rimasto folgorato: tanti compositori, uno su tutti Bottesini, hanno scritto delle pagine meravigliose che mi hanno spinto a volerne sapere di più. Tuttavia, pur desiderando conoscere la tecnica classica, è stato durissimo dover “cancellare” il mio approccio allo strumento da autodidatta per impiantare la tecnica canonica. Non credo che lo studio della musica classica sia un passaggio fondamentale per affrontare il jazz, anche se sono fermamente convinto che studiarla rappresenti un arricchimento incredibile per il musicista.
I. S.: Nelle tue esperienze cominci a formare numerosi ensemble jazzistici che ti portano, inevitabilmente, a molte collaborazioni. Quali sono state le tappe fondamentali e gli incontri significativi che hanno definito il tuo percorso musicale?
Giuseppe Venezia: La collaborazione più importante e duratura è quella con il mio amico di infanzia Attilio Troiano, polistrumentista al quale devo molto e con il quale condivido la maggior parte delle esperienze personali e professionali. Basti pensare che il primo disco di jazz lo abbiamo ascoltato assieme e che su quell’autobus che mi portava a prendere il mio primo contrabbasso c’era anche lui. Tra le esperienze vissute, tutte importanti, non posso non ricordare il mio primo trio stabile, Les Manuages, una formazione di gispy-jazz con la quale ho girato l’Italia e non solo. Senza dubbio sono maturato grazie anche ai miei viaggi a New York e ai musicisti conosciuti, con i quali ho suonato. Altro momento fondamentale è la registrazione del mio primo album da leader, Let The Jazz Flow, con cui ho avuto l’onore di ospitare alcuni tra i musicisti più stimati come Luigi Grasso, Jerome Etcheberry, Stjepko Gut, Ehud Asherie e il grandissimo Duffy Jackson (ndr, batterista per le orchestre di Count Basie e Frank Sinatra). Tra i progetti più recenti c’è quello con Elio Coppola ed Emmet Cohen, con i quali ho registrato l’album Infinity, presentato in Italia e negli States, con una data persino al Guggenheim Museum a New York.
I. S.: Sei reduce dalla presentazione del disco Books on Tape vol.1 del pianista americano Craig Hartley e fra qualche giorno suonerai in una serie di concerti con il chitarrista Peter Bernstein. Cosa ti auguri per il futuro?
Giuseppe Venezia: Non so cosa mi riserverà il futuro, per il momento mi godo il momento e cerco di essere quanto più possibile all’altezza di queste esperienze. Il tour con Craig Hartley, appena concluso, mi ha dato tanto e sono convinto che il prossimo sarà ancora migliore. Suonare con un musicista come Peter Bernstein è un traguardo importante ma comporta anche tanta responsabilità. Non è semplice condividere il palco con un gigante come lui, bisogna essere sempre concentrati ma al tempo stesso rilassati per fare in modo che la musica scorra libera.
I. S.: Oltre all’attività di musicista dividi il ruolo di direttore artistico del Basilijazz-Basilicata Jazz Festival con il sassofonista Attilio Troiano. Quanto spazio riesce a ritagliarsi un musicista jazz grazie a un Festival come questo nella propria regione di origine?
Giuseppe Venezia: Il Basilijazz è un Festival promotore della cultura jazz creato con Attilio, al quale dedichiamo tantissime energie. È cominciato quasi per gioco, poi piano piano ha preso piede in modo molto naturale, grazie sicuramente ai nostri contatti con musicisti di tutto il mondo. Non nascondo le difficoltà che spesso incontriamo nel reperire le risorse necessarie ad organizzare le varie edizioni, quasi sempre infatti si finisce per investire di tasca nostra. Se mi è concesso, mi auguro davvero che la situazione attuale migliori e che si riesca ad avere una maggiore presenza da chi gestisce la”cosa pubblica”. Sono convinto che puntare su una più viva collaborazione con le istituzioni locali possa contribuire ad accrescere la conoscenza di una magnifica cultura nella mia meravigliosa terra.
Written by Irma Silletti
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