Alessio Miglietta, poeta, scrittore di racconti e romanzi ha dato alle stampe Grunge (1984) edito da Edizioni DrawUp, un romanzo davvero originale, fuori dagli schemi.
È una disposizione di ideali, di sogni infranti, di aspettative che un po’ gli episodi, un po’ il romanticismo del protagonista, e un po’ il contesto sociale degli anni 2000 hanno sconvolto. Così facendo, il protagonista si fa radiografare da tutti coloro che non hanno mai capito o accettato il suo modo di essere, di esistere.
M.Z.: Quali motivazioni ti hanno indotto allo scrivere un romanzo?
Alessio Miglietta: L’idea di Grunge (1984) nasce quasi per caso nel 2009, in un momento in cui non avevo ben chiaro cosa avrei dovuto fare della mia vita. Sapevo solamente che avevo un’infinità di pensieri in testa che mi schiacciavano, e che dovevo buttare fuori, in un modo o nell’altro. E così è stato. Grunge (1984) estende così le sue radici fino alla fine del 2011, successivamente una serie di restyling compone ciò che ora è il libro in tutta la sua completezza. Allo stato primordiale, infatti, Grunge (1984) era una semplice serie di appunti e riflessioni sulla condizione umana, e sulle pecche della società moderna, che fondamentalmente non avevano nè capo, nè coda. Poi un bel giorno, mentre scrivevo, tra i miei mille album rock, ho messo su un disco dei Nirvana, Nevermind. Era un venerdì sera, ed è stata magia. Quegli appunti sono diventati la vera e propria storia che fa da cornice a questo romanzo così diverso dal comune, ci ho poi messo del mio a trovare le tonalità e i dettagli di cui avevo bisogno. Una volta ultimato Grunge (1984), ero vivo. Stremato, ma vivo. Anche alcuni lettori, mi hanno fatto notare di aver provato la medesima sensazione. Grunge (1984) è come il tuo migliore amico che non riesce a mentirti, ma che ti guarda negli occhi, e ti dice la verità così com’è, anche se fa male.
M.Z.: Hai pubblicato “Grunge 1984″, edito da Edizioni DrawUp, un romanzo originale, moderno, che rispecchia la generazione degli anni ottanta, appassionata della musica dei Nirvana, dei Doors, ma non solo, il tuo è un romanzo dal valore universale. Quanto c’è del mondo di Alessio Miglietta in questo libro?
M.Z.: Perché prendi ispirazione dalla musica dei Nirvana e dalla figura di Kurt Cobain?
Alessio Miglietta: È sicuramente vero che Grunge (1984) nasce dalla musica, come suggerisce il titolo, ed è altrettanto vero che, per me, l’elemento musicale è fondamentale per scrivere. Per quanto mi riguarda, mescola un’emozione autentica e un buon pezzo rock, avrai modo di scrivere ottimo materiale, e di essere felice. È il caso di Grunge (1984) grazie ai Nirvana, è successo per Cieli Di Valium, la mia opera d’esordio, grazie ai Verve, idem per Requiem Di Vite & Amori, grazie agli Oasis. E succederà ancora. Riguardo Kurt Cobain, credo fermamente che sia stato un personaggio splendido, semplicemente. Insieme a John Lennon e Jim Morrison, sono state le figure di riferimento della mia adolescenza, del mio crescere. Ognuno ha una peculiarità che si avvicina maledettamente al mio carattere. Cobain era fragile, Lennon era romantico, Morrison era visionario. Prima o poi, farò il test del Dna (sorride, ndr) … Nel caso di questo libro, ho semplicemente scelto il grunge perché, per i temi che ho trattato, avevo bisogno di un tipo di sottofondo musicale “mentale”, capace di dare un seguito ai miei pensieri. I Nirvana, in questo senso, con Nevermind rendevano perfettamente l’idea, quella del non ho mai fallito nel provare dolore. Il grunge è un vortice di violenza e rabbia, lo sappiamo, ma in quella tempesta ho sempre percepito una delicatezza e una sensibilità che si sono legati alla perfezione al mio libro, e che accarezzano il cuore. Questo è il motivo per cui scrivo, la mia missione. Accarezzare i cuori del pubblico. Posso dire di essere un autore nuovo, “diverso”, come ha detto anche il mio editore Alessandro Vizzino, anche per questo. Un autore che, semplicemente, crede nelle idee brillanti, che non ama vendersi, e che non ha paura di mostrare le emozioni come se fossero muscoli. Grunge (1984) dimostra tutto questo. A rigor di cronaca, non c’è nulla di simile nel panorama letterario italiano. Dopotutto, e cito Manuel Agnelli, frontman dei miei amati Afterhours, se c’è una cosa che è immorale, è la banalità …
M.Z.: C’è una canzone dei Nirvana a cui sei particolarmente legato? Ci spieghi il motivo?
Alessio Miglietta: Direi, senza ombra di dubbio, Come As You Are. Credo sia il punto più alto, soprattutto nel testo, della carriera discografica dei Nirvana. È una mia personalissima interpretazione, ma vedo la poesia senza eguali in questa canzone. “Vieni come sei, come eri, come voglio che tu sia. Come un amico, come un amico, o come un vecchio nemico. Prenditi tutto il tempo, ma fai in fretta, la scelta è tua, non fare tardi. Prenditi una pausa, come un amico, come una vecchia memoria”. Credo sia semplicemente meravigliosa, c’è amore e sofferenza lì dentro, e mi riporta indietro di almeno dieci anni, quando nel mio lettore cd custodivo gelosamente questa canzone, insieme a tutte le mie preferite, mentre mi avviavo, a passi incerti, verso l’ingresso del liceo. Dove, invece di concentrarmi sul greco e sul latino, riempivo pagine bianche con le prime poesie e i primi racconti da lasciare ai posteri. Semplicemente, emozioni.
M.Z.: Nel libro affronti diverse tematiche, dall’amore alla morte, dalle paure alla solitudine. Quali sono le tue paure più grandi? Che rapporto hai con la solitudine?
Alessio Miglietta: La mia paura più grande è sempre stata di dover rinunciare ai miei sogni, a ciò in cui credo, per la visione che ho della vita e, in questo contesto, della scrittura. Mi sono sempre battuto per quello in cui credevo, ma il sistema non ti aiuta a essere coerente, e a volte, la paura di essere sbagliato ti prende la gola. Io me ne sono tirato fuori, e ho continuato a seguire le mie idee, nella speranza che si riveli, per il mio futuro, una scelta azzeccata. Divento scrittore, infatti, allontanandomi dalla società, per osservare meglio il cammino del mondo, e delle persone. E pensare che, quando non ero altro che un ragazzino sbarbato, avevo il terrore di essere diverso dagli altri, e di conseguenza, emarginato. Diciamo che, nella solitudine, ho imparato a volermi bene, convinto di avere una finestra nella mente, dalla quale mettere ad asciugare ogni tipo di dolore. Un dolore di cui avevo paura, prima di imparare a conviverci, anche grazie alla scrittura. Forse è proprio per questo che mi amo, odiandomi, e che mi odio, amandomi. È il mio cliché. Credo che l’attitudine alla solitudine sia un pregio, la maggior parte delle persone non riesce a capirla, e per questo ne ha paura. È uno dei motivi per cui detesto i social network. Pare sia più importante avere un’infinità di sedicenti amici, piuttosto che star bene con se stessi. Forse è anche per questo che il mondo va a rotoli. Le moltitudini, per come sono strutturate oggi, sono più false dei concorsi di lavoro statali, perché non c’è un’unità di intenti. Purtroppo è tutto una questione di moda, e di modalità di riempimento dei propri vuoti. La solitudine, dal mio punto di vista, innalza lo spirito e migliora le persone. Certo, non vorrei vivere nemmeno in un mondo di eremiti, ma ci sono fin troppe fiction nella nostra quotidianità. È un punto di vista alternativo, più puro di tanti altri.
M.Z.: Preferirei essere odiato per quello che sono che amato per quello che non sono. Una tua riflessione su questa citazione di Kurt Cobain.
Alessio Miglietta: È esattamente ciò che rispecchia il mio pensiero, e spero che il contenuto di Grunge (1984) possa aiutare chiunque a comprenderlo. Essendo un tipo di persona, ancora prima che autore, che crede in determinati ideali, e che non si stravolgerà per diventare uno scrittore di successo, credo che il segreto risieda nel tenere i piedi per terra, e nel rimanere sempre se stessi. Non serve costruirsi e indossare una maschera per ottenere consensi. C’è già tanta falsità, perché prendersi in giro? Kurt Cobain aveva tanti difetti, probabilmente, ma sicuramente la sua immagine è sempre stata coerente con ciò che era nella vita di tutti i giorni. Nel mio piccolo, preferisco essere un autore di nicchia, piuttosto che prostituirmi.
M.Z.: Cosa sogna Alessio Miglietta, quali i progetti per il futuro?
Alessio Miglietta: Diventare uno scrittore a tutti gli effetti, dare il mio contributo al Rinascimento che sogno per la letteratura moderna italiana, e forse (qui parte un piccolo vortice di egocentrismo), essere ricordato. Credo che la scrittura sia una vocazione, devi essere scrittore, non puoi diventarlo. A tal proposito, mi sento quasi un predestinato. Molti dicono che per la troppa innovazione, e per quell’ostinazione che non mi porterà mai a scrivere un’opera pop, non raggiungerò mai il successo. Nonostante questo, tra il 2011 ed il 2012, ho pubblicato Cieli Di Valium e Requiem Di Vite & Amori. Il progetto è quello di legare il mio nome a opere di livello. Ho sempre voluto fare lo scrittore, per tre motivi. Il primo è per puro piacere, perché è una cosa di cui non posso fare a meno. Il secondo è per necessità, perché in più di un’occasione scrivere mi ha salvato la vita. Il terzo perché, semplicemente, è la cosa che so fare meglio. Spero di avere la possibilità di poterlo fare per sempre. Come dicevo prima, quando scrivo mi sento vivo, un po’ come Peter Parker quando indossa il costume dell’Uomo Ragno, mi sento invincibile, a tratti immortale. Il sogno nel cassetto sarebbe quello di scrivere un libro a quattro mani con Alessandro Baricco, il mio autore preferito, e, perché no?, far diventare un testo come Grunge (1984) un’opera teatrale. Sarebbe splendido, non c’è che dire. Dopotutto, uno dei miei detti è mai porsi limiti …
Written by Michela Zanarella