Giovanni Peli, cantautore, musicista, scrittore, poeta bresciano ha da poco dato alle stampe il libro “Il passato che non resta” e ha realizzato un nuovo album dal titolo “Tutto ciò che si poteva cantare”.
Suoi testi poetici appaiono su riviste a diffusione nazionale come Virgole, Club degli Autori, Poesia, Specchio,e antologie (Poesie in cornice 1995, Fonopoli 1998, Maria Calabria 1999, Meccano 2004, Scrittori in viaggio 2007).
M.Z.: Giovanni Peli scrittore, poeta, musicista, dove trovi l’ ispirazione per comporre, scrivere e fare musica?
Giovanni Peli: L’ispirazione è l’unione di cultura, emozioni, sensibilità, la possiamo spiegare in molti modi razionali, tutti piuttosto veritieri. Tuttavia resta anche una parte insondabile in noi senza la quale non c’è arte. Credo che sia una sorta di malattia congenita, ho cominciato a “produrre” molto presto, ero quasi un bambino, col tempo si prende più consapevolezza di quello che si fa, e si spera, ci si avvicina a una qualche forma di efficacia espressiva, se non di bellezza.
M.Z.: Cosa ti ha portato a scrivere in versi? Cos’ è per te la Poesia?
Giovanni Peli: Come molti ho iniziato da adolescente per tentare di spiegare a me stesso i primi turbamenti, i cambiamenti e senz’altro l’amore. E’ un modo di trasferire agli altri le nostre emozioni, suscitando altre emozioni.
M.Z.: “Incolore semplicemente-Poesie blu”, “Cröda le foje liriche civili”, come è avvenuta la realizzazione di queste due pubblicazioni poetiche? Cosa caratterizza le due raccolte?
Giovanni Peli: Sono vecchie raccolte in cui ora mi riconosco poco ma sono state molto importanti perché mi hanno fatto iniziare ufficialmente a comunicare il mio modo di vivere la poesia e l’arte. Erano due libriccini di versi piuttosto oscuri ma sicuramente autentici, cominciavo a sperimentare molte tecniche sia nella musica e nella poesia. A seguito della vittoria di un premio di poesia ho avuto la possibilità di pubblicare per un piccolo editore. La prima raccolta in questione è del 1995 ed era caratterizzata da poesie ermetiche che tentavano di rappresentare dubbi, piccoli sgomenti, e soprattutto tante domande sul mistero della vita come la può intendere un diciassettenne. La seconda è del 1998 e conserva certi tratti tematici pur affrontando scelte stilistiche diverse sia per metrica che per ricerca fonetica, inoltre si insinuava anche il problema del rapporto con gli altri e con la società, ma allora era soltanto un abbozzo…
M.Z.: La tua produzione discografica è notevole, tra i tuoi album quale segna un’evoluzione del tuo stile artistico?
Giovanni Peli: La mia produzione è notevole soltanto quantitativamente, nel senso che oltre ad aver scritto molto, ho sempre avuto la sfacciataggine di pubblicare (ma si trattava solo di regalare demo ad amici) i miei demo fatti in casa in un periodo di sperimentazione e studio dal 2001 al 2006. Ma di ciò ci sono soltanto manciate di demo e le cose migliori sono archiviate sul mio sito. Discograficamente nasco solo nel 2010 con un EP di cinque brani a cui a fatto seguito, finalmente, il mio vero e proprio album Tutto ciò che si poteva cantare, pubblicato sempre per Kandinsky Records nel 2012 e con la produzione artistica di Stefano Castagna. Fare un album di cosiddetta “canzone d’autore” è molto impegnativo, secondo me è come fare un film… hai presente quanta gente ci lavora? Ecco, qualcosa del genere, ho fatto il massimo secondo le mie possibilità economiche e l’aiuto dell’etichetta, sono riuscito a mettere insieme un’ equipe di amici professionisti ed il risultato è stato soddisfacente. Insomma: l’ispirazione, le intenzioni, la poetica non sono più un problema per me dopo anni di ricerca e di prove. Ma l’aspetto economico e organizzativo è fondamentale, per quello mi ci sono voluti altrettanti sforzi, e per crescere ancora ne farò altri. Senza rischio non c’è arte!
M.Z.: Quale autore del passato ha segnato per te la storia della letteratura?
Giovanni Peli: È una domanda a cui è impossibile rispondere, amo tantissimi autori da epoche diverse e devo darmi dei limiti: se devo proprio dirne uno, autolimitandomi ad un italiano del Novecento, direi Pier Paolo Pasolini.
M.Z.: Il disco “Tutto ciò che si poteva cantare” ed il nuovo libro “Il passato che non resta”, cosa lega questi due lavori?
Giovanni Peli: Segnano un punto a cui sono arrivato. Non è ovviamente una questione di qualità o di efficacia espressiva: quello lo decideranno gli altri e non mi riguarda. Sono però consapevole di aver dato una sorta di compendio di ciò che di meglio ho saputo fare in molti anni di sperimentazioni. Da un punto di vista contenutistico i richiami sono moltissimi, basta confrontare i testi delle canzoni del disco con la sezione centrale del libro intitolata Canzoni d’amore. Poesia e musica nella mia produzione si sono sempre compenetrate e influenzate a vicenda, distanziate per un lungo periodo in cui ho sperimentato altre forme letterarie e la musica strumentale e poi felicemente riunite. Credo che la mia cifra stilistica si proprio questa, poesia e canzone sono due cose diverse, sì, ma comunicano fra loro.
M.Z: Nella poesia “Epopea di un piccolo mostro” scrivi: “salire lungo la rete di ferro/senza mai guardare giù,/poi sputare e scendere in discesa:/si potrà recuperare il coraggio?” Cosa rappresenta per te il coraggio?
Giovanni Peli: In quella poesia mi riferivo semplicemente ad un coraggio che è incoscienza tipico dell’infanzia e dell’adolescenza, quando le sovrastrutture che limitano la nostra libertà sembrano non esistere. E’ uno dei temi della perdita di un passato impossibile da recuperare, di esso ci rimane sono un ricordo doloroso e vivido. Tuttavia la libertà è sempre illusoria secondo me e paradossalmente sono illusorie anche queste “sovrastrutture” (sociali, politiche, mentali, fisiche). Il coraggio che ci rimane è quello di stringere i denti e portare avanti le nostre battaglie. In ogni occasione: artistica, umana, politica. Per questo il titolo del libro è Il passato che non resta: esiste dentro di noi, ma da esso ci si divide, e si pensa al futuro.
M.Z.:Progetti ed impegni per il futuro?
Giovanni Peli: Imparare a suonare la tromba e scrivere un romanzo!
Written by Michela Zanarella