Nella cornice del Principe di Savoia di Milano, insieme ad altri quattro blogger, ho incontrato su invito di Mondadori l’autore Frederick Forsyth, in Italia in occasione dell’evento BookCity per presentare il suo ultimo libro, La lista nera.
Seduti intorno ad un tavolino nel bar al piano terra dell’albergo, ci siamo alternati nel porre all’autore una serie di domande.
Questo è il secondo libro nel quale tratta il tema dell’Islam, dopo l’Afghano. Non è spaventato dalle possibili reazioni? E’ mai stato minacciato?
Quello che ho cercato di fare, è spiegare l’altro lato dell’Islam, che non è la Jihad, ne tantomeno uccidere persone. Sono varie le religioni principali nel mondo. Tra queste, l’Ebraismo, il Buddismo, l’Induismo, e per l’appunto il Cristianesimo e l’Islam. L’Islam è poi diviso al suo interno tra Sciiti e Sunniti, che da molto tempo si uccidono a vicenda. C’è poi la ulteriore lotta intestina all’Islam tra moderati e fanatici. Una guerra tra musulmani, che si sono uccisi tra loro in numero certamente superiore rispetto a quello dei cristiani o degli ebrei che sono a loro volta stati uccisi.
Ho provato a inserire nel libro un moderato, uno studioso, con l’intento di spiegare all’America che quella della violenza e degli omicidi non è il vero Islam. Questo l’ho appreso da un vero studioso con il quale ho parlato. Nessuno ha mai detto di uccidere. E’ stato inventato.
Non credo quindi che il mio sia un libro contro l’Islam, ma piuttosto contro la jihad.
Non sono preoccupato per la mia incolumità, perché se dovessero minacciare me, dovrebbero fare lo stesso per centinaia o migliaia di giornalisti e scrittori, così come altri Imam, che li criticano e rinnegano.
Nel corso degli anni ha dato diversi volti, raffigurazioni alla figura del nemico, dalle SS, ai grandi blocchi durante la guerra fredda, alla minaccia terroristica. Nell’ultimo libro, l’identificazione del nemico è più difficile, essendo lo stesso più sfuggente. Quale pensa che sarà il nemico del futuro?
Il nemico attuale, non è stato scelto da noi occidentali. E’ esattamente l’opposto. La jihad ha scelto noi, per così dire, come nemico. Quale sia la loro ragione, è difficile da capire. Credo che noi occidentali stiamo combattendo questa guerra fredda non voluta e non dichiarata, con un nemico che non è uno stato, ma che apparentemente vuole ucciderci, e stiamo cercando di non perderla.
Queste persone stanno però uccidendo anche altri musulmani, per aver commesso il crimine di non essere jihadisti. Non credo che cambieranno. Hanno uno strano credo, secondo il quale, al servizio del loro Dio (o almeno così credono), devono uccidere persone che non gli piacciono.
Ci saranno ancora per diversi anni a venire. Come cambieranno, se e quando lo faranno, questo non lo so.
Rapporto nei suoi libri tra realtà e finzione. Fino a che punto la finzione può aiutare a comprendere la realtà. Dove entra la finzione a lettura delle dinamiche narrate.
Il rapporto cambia da libro a libro. Inizio con una o due domande: Sarebbe possibile … ? Cosa accadrebbe se … ?
Ad esempio. Sarebbe possibile uccidere il presidente della Francia? E da qui il Giorno dello Sciacallo.
Cosa accadrebbe se catturassero un carro armato da un milione di tonnellate. Da qui l’Alternativa del diavolo.
Inizio quindi con una domanda, che riguarda la realtà.
Solo se la risposta è positiva: sarebbe possibile, o questo è quello che accadrebbe se qualcuno tentasse, allora ho una storia.
La storia del libro ammonta ad un 40/50% del racconto. Per esempio, sì, è esistito Charles de Gaulle, ma prendendo ad esempio l’ultimo libro, non è mai esistito un colonnello Carson, però i droni ci sono. Esiste Al Quaeda, ma non esiste uno studioso del Corano come quello che ho citato. Sì, è possibile che dei funzionari del governo americano vadano a studiare all’estero, anche a il Cairo, studiando lingue e culture straniere, ed è vero che la NSA (National Security Agency) ascolta le conversazioni telefoniche, anche se soprattutto quelle dei terroristi.
Ci sono quindi una serie di cose che potrebbero avvenire, ma non sono mai accadute, che avrebbero potuto avvenire nel passato, ma non sono avvenute, o che stanno per accadere.
La fantasia però non è presente, ove per fantasia intendo l’impossibile.
Ho letto in alcune sue interviste che prima di iniziare a scrivere un libro – cosa che riesce poi a fare molto rapidamente – approfondisce molto l’argomento trattato ed i luoghi ove la storia si dovrà svolgere.
Ho poca immaginazione. Se voglio sapere qualcosa, cerco quindi di parlare con qualcuno che sia un esperto nella disciplina. Qualsiasi essa sia.
Cerco quindi di creare la storia, individuando tutti gli aspetti che necessitano un approfondimento. Una volta pronto questo elenco, penso a chi conosca che possa essere in contato con qualcuno che sia un esperto nell’argomento da approfondire. Quindi lo contatto (ho fortunatamente ottime conoscenze in questo mondo bizzarro che viene definito Operazioni Speciali) e gli chiedo di poter parlare con l’esperto, che poi incontro.
Prima ancora di parlare sono consapevole che la condizione è che qualsiasi cosa si dica nel corso di questi incontri, non si potrà mai ed in nessuna ipotesi rivelare la fonte dell’informazione. Si tratta di un principio cardine del giornalismo.
Continuo così fin quando ho completato tutti gli argomenti nella mia lista.
Quanto ai luoghi, solitamente cerco di andarci e visitarli in prima persona. Non posso descrivere un posto che non ho visto. E’ una questione di orgoglio personale. Se io parlo di un bar in fondo ad una strada di Milano, voglio che un milanese che legga il libro riconosca che quel bar esista veramente e creda quindi anche alle altre cose che narro nel mio libro.
Voglio odorare l’atmosfera. Per quest’ultimo libro ho passato tre giorni a Mogadiscio per capire come fosse la città, che è’ strana, bizzarra. Quello che si legge nel libro di quella città è reale.
Quando finisco, non ricevo molti commenti di lettori che correggono quello che ho scritto. Qualcuno mi arriva, forse uno o due per libro, ma certamente non molti. Comunque rispondo sempre chiedendo scusa.
Immagino nei suoi viaggi avrà vissuto qualche avventura di cui vuole parlarci.
Non molte in realtà per questo ultimo libro, ma sicuramente per altri e in particolare per quello precedente, chiamato Cobra. Il libro riguardava l’industria della cocaina. Ho vissuto un’esperienza molto strana. Ho appreso in Bogotà (Colombia) che una delle destinazioni principali della cocaina è l’Europa (spesso per il tramite della n’Drangheta). La droga però non arriva direttamente dal Sud America. Passa solitamente per l’Africa occidentale, ed in particolare per la piccola repubblica della Guinea Bissau. In quel posto viene spostata da grandi cargo in altri più piccoli e trasportato verso le coste dell’Africa del nord attraverso il deserto del Sahara. Da lì poi è trasportato con piccole barche in Calabria ed altri posti. Ho voluto quindi visitare questa piccola repubblica africana. Gli unici voli che raggiungono quella destinazione passano per il Portogallo, essendo stata in passato una colonia portoghese.
Ho quindi preso un volo, comunicando prima con il vice console britannico. Sono partito alle 7 da Lisbona, atterrando alle 2 di mattina a Bissau. Quello che non sapevo è che alle 8:30, qualcuno aveva fatto saltare in aria il comandante dell’esercito di quella repubblica, mentre era nel suo ufficio. Si trattava di un colpo di stato. Quando sono atterrato, la persona che mi stava attendendo aveva fortunatamente un passaporto diplomatico, ed aveva potuto velocizzare tutte le operazioni di controllo. Una volta uscito in strada, con la sua macchina mi ha portato velocemente in albergo. Nel corso del viaggio gli ho chiesto quale fosse la ragione di tanta fretta. Lui mi aveva risposto chiedendomi di guardare le luci nello specchietto retrovisore, dicendomi che quei lampi di luce erano prodotti dall’esercito che entrava in città per vendicare l’uccisione del proprio capo. Arrivato in albergo, sono andato a letto alle 3 di notte e non potendo dormire alle 4 ho acceso la luce per leggere un libro.
Dopo neanche 30 minuti ho sentito un forte scoppio. Non poteva trattarsi di un tuono, né di un incidente stradale. Doveva essere una bomba. La mattina successiva ho scoperto che si era trattato di una granata lanciata in una finestra a poche centinaia di metri dal mio albergo. Si trattava dell’esercito che voleva colpire quello che erroneamente ritenevano essere stato il responsabile dell’attentato al capo dell’esercito.
Il confine fu quindi chiuso, insieme agli aeroporti, e non ho potuto tornare a casa. Un tempo non vi sarebbe stata alcuna forma di comunicazione telefonica verso l’esterno. Fortunatamente non si può sconfiggere internet. Un mio amico quindi mi ha portato nel suo ufficio e mi ha fatto parlare con mia moglie.
Gli americani però hanno bloccato lo schermo del computer e la connessione.
Ho scoperto solo dopo che la CIA, chiedendosi cosa stesse accadendo in quel paese, venne a sapere che io mi trovano lì durante il colpo di stato, come già era successo in precedenza in un’occasione analoga nella repubblica della Guinea Equatoriale e decisero quindi di tagliare la comunicazione.
Com’è cambiato nel tempo il modo di scrivere spy-story, e in particolare come è mutato il suo modo di scrivere
Recentemente ho avuto modo di rileggere, dopo tanti anni, Il giorno dello sciacallo. All’epoca in cui l’ho scritto, avevo trentuno anni. Quando ho scritto il mio ultimo libro ne avevo settantaquattro. In questi anni avrebbero dovuto esserci molti cambiamenti.
Non sono un critico, ma il modo di scrivere – almeno in inglese - non mi sembra in realtà essere cambiato così tanto.
Per quanto mi riguarda, la ragione è che tutt’ora scrivo come se fossi un corrispondente estero di un giornale. Il linguaggio è molto chiaro, frasi brevi, e senza parole troppo complicate. Nessun riferimento particolarmente complesso ad argomenti accademici o scientifici.
Quale tra i libri che ha scritto è il suo preferito o quello a cui tiene particolarmente
Ho un debito di gratitudine nei confronti de Il giorno dello sciacallo. Mi ha trasformato da un reporter senza lavoro a una persona senza troppe preoccupazioni.
Quello che forse mi ha dato più soddisfazione è Il pugno di Dio. Il libro parla della prima guerra in Iraq. Era il 1991 ed è stata la prima guerra ad essere combattuta in televisione, di fronte a una telecamera. Ci venivano mostrate immagini che venivano direttamente dai luoghi di guerra. Potevamo vedere le persone morire in diretta. Ho pensato che questo fosse come un film.
Quando i combattimenti finirono, durante l’ultima conferenza stampa in Ryad, ho pensato che tutto fosse stato troppo perfetto. Ho pensato che non stessero dicendoci molto di quella guerra. Come potevano sapere dove Saddam nascondesse le sue armi?
Non capivo cosa ci fosse sotto traccia. Ho pensato che avessimo una spia nella corte di Saddam Hussein. Iniziai a documentarmi e scrissi il libro, seppur nessuno ritenesse potessi aver ragione.
Successivamente, guardando vari film documentari, appresi le mie rivelazioni furono confermate. Avevo ragione. Questo mi ha dato grande soddisfazione.
Sono stati realizzati vari film basati sui suoi libri. Ha partecipato in prima persona alla realizzazione degli stessi? Come sono stati resi i suoi libri?
L’uomo chiave nella produzione di ogni film è certamente il regista. Il regista de Il giorno dello sciacallo fu Fred Zinnemann, uno dei migliori registi di ogni tempo. Mentre lui realizzava il film, io stavo effettuando le ricerche per il mio terzo libro. Non ho mai interferito. Una volta però mi ha chiesto di raggiungerlo nel suo ufficio. Mi ha mostrato sei foto di giovani con i capelli biondi, chiedendomi quale di loro, a mio parere, dovesse interpretare il ruolo dello Sciacallo.
Io ne scelsi uno, che casualmente era proprio l’attore che era stato già ingaggiato. Gli altri cinque erano dei modelli.
Quanto agli altri film, ho conosciuto i registi, ma non ho mai interferito. Ho sempre atteso di vedere il film in occasione della prima, come ogni altra persona. Il giorno dello sciacallo comunque è stato il mio preferito.
I diritti del mio ultimo libro sono già stati venduti e presto inizieranno la realizzazione del film. Certamente non intendo interferire neanche in questo caso. D’altronde i registi non vogliono gli scrittori sul set, perché non sono mai felici della trasposizione e pongono mille domande.
Qual è il suo rapporto con la tecnologia? La ritiene un qualcosa di positivo o di negativo?
La tecnologia è usata dall’uomo. Quindi la scelta di come usarla è nostra. La tecnologia ha portato incredibili vantaggi all’essere umano, anche nel campo medico.
Si possono avere comunicazioni a migliaia di chilometri di distanza, e persone in pericolo possono essere salvate. Trent'anni fa sarebbero morti.
Abbiamo inoltre la sorveglianza aerea, che ci consente di controllare i terroristi. I loro piani sono spesso anche intercettati attraverso le loro comunicazioni.
Qual è il suo rapporto con internet?
Sono troppo vecchio per essere molto abile nell’usarlo. Sono intimidito. Ancora uso una macchina da scrivere. Potrei avere un laptop, ma scelgo di non averlo. Scrivo come ero solito farlo, con due dita, come la maggior parte dei giornalisti.
Ho un iPad, la mia unica concessione alla tecnologia. Ho cinquanta applicazioni, ma ne uso solo due. Invio e ricevo e-mail e utilizzo Google per ricerche.
Giornalisti giovani trovano la cosa molto divertente. Solitamente gli rispondo che nessun hacker può entrare nella mia macchina da scrivere. Solitamente smettono di ridere.
Non ho un laptop, non porto con me il telefonino. Sono forse l’ultima persona sul pianeta che non possono rintracciare.
C’è un personaggio cui è più affezionato?
Probabilmente Mike Martin, ne La Mano di Dio. Era un ufficiale del SAS. L’ho inserito nuovamente nell’Afgano.
Probabilmente sono stato innamorato di molte delle donne di cui ho parlato nei miei libri, anche se molte di queste sono state uccise nel corso della storia.
Raramente uso lo stesso personaggio in più di un romanzo, anche se in alcuni casi è capitato.
Quali sono i suoi autori di narrativa favoriti?
Solitamente non leggo narrativa. Preferisco saggistica, libri di storia, reportage. Mi capita di leggere libri di narrativa quando devo affrontare lunghi viaggi in aereo. In questi casi solitamente leggo Michael Connelly, David Baldacci o Lee Child. Li leggo prima di partire e li finisco prima dell’atterraggio.
C’è un autore italiano che preferisce?
Non saprei. Guardo spesso in televisione le storie del commissario Montalbano.