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INTERVISTA | Fiammetta Bruni e una storia personale sulle calzature

Creato il 05 settembre 2011 da Roberto Arleo @robertoarleo
Questa sono io. Fiammetta Bruni, 50 (e non è la taglia…) appena compiuti.
INTERVISTA | Fiammetta Bruni e una storia personale sulle calzature
Immortalata dopo un pomeriggio di shopping selvaggio alla ricerca della calzatura perduta: sono tornata a casa con due paia di scarpe identico modello, di colore diverso (sì, confesso, lo faccio sempre!). Sì, perché, da sempre convivo con la dannazione/passione irrecuperabile per le calzature. Sono quella con gli occhialoni che si atteggia con il foulard disegni anni '60 e le scarpe in mano con la bocca atteggiata all’indecisione su un grande problema esistenziale: indosserò prima quella beige o quella viola? Wow… Va beh… Calma, ricomincio, Fiammetta, anni 50, impiegata e mamma nella vita, passione per la fotografia da sempre ma riscoperta definitivamente in questi ultimi anni, mi sono concessa gli spazi virtuali dove far brillare le mie impressioni ed esplorazioni (http://factorydifia.wordpress.com/) tracce del mio tempo, psicosi, follie... Insomma, internet ha veicolato le mie esplosioni creative, il blog diventa il set ideale per rappresentarle e condividerle, bla bla bla... Torniamo alle calzature... Sembra facile, (mi mordo il labbro inferiore...). Le amo, le adoro, mi piace manipolarle, mi piace la loro linea, le cuciture,
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quelle che indosso spesso, quelle che ho comprato e mai indossato
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(sì... Sì). Le calzature più di ogni altro oggetto o accessorio, ci accompagnano nella crescita. Basti pensare alla scarpina che ogni mamma ripone nel cassetto dei ricordi, i primi passi del suo bambino. Queste sono le scarpette ginniche che mio figlio Fulvio fotografò all’età di quattro anni rubandomi la macchinetta.
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Ecco l’altra scarpa per eccellenza, quelle della prima Comunione,
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bianca e pura con piccolo tacchetto che rimbombava con il suo tic-toc, che veniva riverniciata con l’apposito liquido bianco per riciclarla alla sorella più piccola. E come non ricordare la prima scarpetta con il tacco? Diciotto anni, mica scherzi, la prima vera festa da ballo, la prima décollete da indossare con il tubino. Beh, venitemi a dire ora che le scarpe sono soltanto un accessorio che serve per coprirsi i piedi e vi tiro la mia scarpiera dietro! Le scarpe: mio zio le curava in modo maniacale la domenica mattina cospargendole di lucido, armato di spazzola e straccio morbido. Le accarezzava lentamente, le vezzeggiava: ”Un uomo si capisce dalle scarpe che porta”, mi diceva. Le sue erano impeccabili, mocassini o con i lacci, brown o nere, tutte cedevano alla sua dediziosa cura per accompagnarlo durante la settimana di lavoro.
La calzatura va oltre l’abito, secondo me. La calzatura in un contesto formale ti fa sentire nel posto giusto al momento giusto: se non vuoi rischiare ti adegui e non fai brutte figure. Ma se vuoi lasciar esplodere la tua creatività, comincerai dalle scarpe. E io lo faccio, con le scarpe (… e la testa: i cappelli, o i capelli, le due estremità, insomma, poli opposti per l’espressione di quello che una persona è). Quante volte ho indossato una calzatura che non c’entrava nulla con il resto? Tante! Ribellione, rottura con le convenzioni: ecco lo stivale basso con il carrarmato indossato sul vestitino con fiorellini,
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faceva inorridire la collega tutta griffe e convenzione. Certo oggi vi sembra normale tutto ciò: La rete offre una incredibile fusione di stili che viviamo ora, frutto del consumismo e della globalizzazione e fa sembrare ovvio ciò che ho scritto. Tempo fa (oddio… comincio a parlare come una cinquantenne...) c’era la scarpa buona che serviva per le cerimonie, intoccabile sopra l’armadio, e la scarpa di tutti giorni, dove per tutti i giorni si intende tutta la stagione (… !!!!!), estiva o invernale. No, dico: vogliamo parlare degli adorati/odiati sandali con gli occhielli vicino alle dita dei piedi, indossati indifferentemente da maschi e femmine? Ne ho comprate un paio all’età di 35 anni, per tenerle per ricordo. O le ciabatte da mare in plastica indossate anche con i calzini?
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Ballerine, mocassini o chanel la scarpa non è solo complemento. Mi capita di guardare le scarpe di una persona appena conosciuta e di apprezzare di più le persone con una calzatura speciale o particolare, non tanto per la griffe ma proprio per l’accostamento o il gusto che ha avuto nello scegliere un tipo di calzatura adatta al suo piede. E’ qui il punto! Scegliere una calzatura sembra facile ma non è solo con il tuo gusto che devi fare i conti: é con i tuoi piedi, con la proporzione del tuo polpaccio e la gamba che devi fare i conti nella scelta: Il tacco slancia, sì sicuramente, chi non adora l’andatura sospesa di una mannequinne con tacco 12 ? Ma io? E qui comincia, almeno per me, la ricerca della calzatura perduta. Mi ritrovo ad avere piedi non troppo perfetti che rivendicano la loro opinione. Pur adorando quelle sottili stringhette di pelle che fasciano il mio alluce indecente, sono costretta a declinare il richiamo del sandalo, ad esempio. L’essenza di una calzatura è la fusione tra una esigenza creativa e la necessità di stare bene con se stessi, anche fisicamente (chi non ricorda le zie ai matrimoni con le scarpe di ricambio dentro la borsa? Alle tre del pomeriggio i loro piedi esplodevano e... zacc... Compariva sotto il tavolo imbandito degli sposi la sciatta scarpina di tutti i giorni!). Ho orrore di certe donne che si ostinano ad indossare scarpe che stanno male al loro piede e alla loro figura, alla rincorsa della moda. La scelta giusta sta nel trovare una cosa bella di per sé, che rimane tale e bella al tuo piede, anche imperfetto, perché lo asseconda e lo ricopre, non il contrario: se il mio alluce valgo guerreggia con la ballerina troppo scollata, ne cerco una che accosta meglio. Se il tacco a spillo proprio non lo posso portare rinuncio piuttosto che ancheggiare arrancando su di esso. E questo genere qui? Lo indossava mia madre: stivale di stoffa anni 60/70, punta quadrata, faceva una caviglietta sottile ed era avvolgente come un calzettone; quando sfogliavo Diabolik immagino Eva Kent con ai piedi un simile gioiello di stile...
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E in questo vagheggiare e riflettere, anche questa mattina, scendendo dal treno, non ho potuto fare a meno di soffermarmi qualche minuto in un grande bel negozio e sono andata spedita al reparto calzature. Sì, perché… Altra riflessione… Spesso mi innamoro di una calzatura per l’idea che contiene, per l’immagine che incorpora anche me dentro di essa: è l’immagine che restituirò al mondo che vivo quotidianamente, con ai piedi la mia scarpa. Ora, per esempio, sto immaginando e scegliendo la calzatura da indossare il prossimo inverno, escluso il classico stivale nero. Devo trovare una scarpa che sia comoda (perché mi sposto molto durante il giorno, metro treni, etc… devo anche correre a volte), da infilare sotto i pantaloni (ripercorro mentalmente tutti i vari generi in mio possesso), basta le ballerine che mi hanno accompagnato per troppo tempo, basta mocassini, basta le stringate basse… Ora sono in bilico tra uno scarponcino con stringhe e tacco quadrato, rassicurante nella sua forma comoda, di pelle nera made in Italy, primeggiava davanti all’espositore (sigh…) e un altro genere più rampante, più hard, più fashion, più glamour, come dice mia figlia: “a mà, devi osare di più…” e quindi un bel taccone con zeppa, di origine sicuramente asiatica (un trentanove mi stava quasi stretto!), sicuramente più economico e stagionale, insomma… Sapete una cosa? In tempi di crisi come questi che stiamo vivendo, credo che tornare alla scarpa buona, assolutamente nostra, italiana, bella, soda, che dura, come quelle che si andava tutta la famiglia a comprare con sacrificio, sì… quest’anno ho proprio voglia di ripulire le mie scarpe come faceva mio zio e di ripararle senza sentirmi dire dal calzolaio: “A signò, nun vale la pena, spenderebbe di più nella riparazione che tutta la scarpa!”.
Non vi ho ancora convinto di quanto sia grande la mia passione per la calzatura? Allora guardate qui: una mia creazione assolutamente unica. Avete mai decoupato un paio di scarpe? Io l'ho fatto! Questo è il risultato
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dopo averle strapazzate le ho ricoperte con riviste glamour: non le indosserò mai più, ma sono in bella mostra nella mia libreria. Ecco che la calzatura è diventata un articolo di design, evocativo (la scarpetta di Cenerentola), immaginario, un qualcosa di altro, con l’idea di ciò che era una volta, il vissuto che è stato e il nuovo che lo ha reso geneticamente modificato!
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Comunque, se dopo tutto questo divagare sono riuscita a strapparvi un sorriso vi piacerà seguire il mio set dal titolo Senza Tacco creato su Flickr, dove troverete altre mie interpretazioni sul mondo della calzatura.
www.factorydifia.wordpress.com
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