Nuova intervista, oggi è ospite di Peccati di Penna: Sara Gavioli, ed ecco che ve la presento...
Sara Gavioli nasce a Siracusa nel settembre del 1984, in una casa piena di libri e gatti. Figlia unica, coltiva da sempre l'interesse per le scienze umane e la letteratura. Dopo la laurea in Scienze dell'Educazione e della Formazione si trasferisce a Milano in cerca di un lavoro, che a volte serve. Nell'attesa di trovarlo vive in un bilocale sfornito di librerie, circondata da colonne di romanzi ancora da leggere. Come tutti ha scritto poesie, racconti, poemi epici, ha vinto concorsi con pubblicazioni di antologie e anche una coppa del catechismo negli anni '90, ma "Un certo tipo di tristezza" è il suo primo romanzo e non sarà l'ultimo.Benvenuta su Peccati di Penna, Sara! Quando hai scoperto la passione per la scrittura?
Grazie! Credo di aver sempre scritto, fin da bambina. Avevo forse dodici anni quando ho letto “Emily della Luna Nuova”, un romanzo di Lucy Maud Montgomery (autrice di “Anna dai capelli rossi”), e ho iniziato a desiderare di essere come la protagonista. Emily era una ragazzina che sognava di fare la scrittrice, e così ho iniziato a sognarlo anch'io.
Qual è stato il tuo primo testo?
Il primo esiste ancora, in un'edizione speciale scritta a mano su un quaderno da terza elementare. Si intitola “Fortunata la sfortunata” ed è anche illustrato. Prima o poi dovrò scannerizzarlo per mostrarlo al mondo. All'epoca fu un successo: i miei genitori lo comprarono più e più volte, sempre la stessa copia. Non vi rivelo la sinossi, non vorrei fare spoiler. Un giorno saprete.
Quale genere letterario ti è più affine? Quale invece non riesci a leggere e/o a scrivere?
La prima cosa che mi viene chiesta dalla gente è di che genere sia il mio romanzo, e non è una questione semplice. Volendo essere precisi si tratta di un romanzo di formazione, ma in effetti credo di scrivere narrativa non di genere. Mi è affine lo scrivere, senza doverlo per forza incasellare in qualcosa di predefinito. E lo stesso vale per la lettura: preferisco guardare alla storia e al senso del libro, non al genere.
Come è stato il tuo percorso verso la pubblicazione?
Direi che mi è andata bene. Ho ricevuto una risposta dalla Inspired Digital Publishing molto in fretta, quando di solito lo scrittore attende mesi e mesi prima di venire contattato. Sono felice di essermi rivolta a loro: il mio romanzo è stato letto più volte, la copertina è stata realizzata con cura, in modo pensato, e sono seguita e consultata su ogni aspetto. Non va sempre così per un autore esordiente. Anche adesso rispondo alle telefonate di Luigi con piacere, perché oltre a parlare di lavoro ridiamo e scherziamo senza problemi.
Come è nata l’idea di Un certo tipo di tristezza? Cosa ti ha ispirato?
Avevo in mente la situazione di base del romanzo da anni: una ragazza che si ritrova in una casa isolata, circondata dalla neve. Volevo scriverne, così ho iniziato a chiedermi chi potesse essere questa ragazza e cosa le sarebbe successo. Intanto vivevo un periodo in cui non riuscivo a trovare lavoro e non ero certa di cosa fare della mia vita, e questo ha di certo ispirato la condizione di Anna.
Convinta che il mondo lì fuori la rifiuti, Anna decide di chiudersi in una tana fatta di incertezze e fragilità. Un giorno, però, un'opportunità inaspettata la trascina in quello che impara a considerare il suo ambiente naturale: una casa isolata in montagna, con accanto un paesino in cui ogni persona hauna storia.Sarà in particolare una di queste storie, sigillata fra le pagine di vecchi diari ingialliti, che la porterà ad interrompere la sua staticità, le sue incessanti riflessioni ed i suoi dubbi ed incertezze, spronandola a reagire per cominciare, finalmente, a camminare con le proprie gambe.Quanto c’è di te in questo testo?
Penso sia la domanda più comune che ci si sente fare. Anzi, no, in realtà la più comune è “ma la protagonista sei tu?”. No, non sono io. C'è molto di me, come succede sempre quando si scrive, ma non è una storia autobiografica. Magari lo fosse! Mi piacerebbe molto lavorare come custode in un posto del genere.
Hai mai affrontato il “blocco dello scrittore”? Come lo hai superato?
In genere alterno periodi in cui scrivo pagine e pagine ogni giorno ad altri in cui non scrivo affatto. Non lo definirei però proprio il classico blocco dello scrittore, perché non ne soffro. Ci sono momenti in cui devi scrivere e non puoi farne a meno, e poi altri in cui fai altro. Tutto qui. Di solito io mi fisso con qualcosa di bizzarro ma interessante, quando non mi va di scrivere. Ad esempio, adesso sto studiando l'esistenzialismo.
Cosa vuoi comunicare con il tuo Un certo tipo di tristezza?
Mentre scrivevo non sapevo ancora quale sarebbe stato il senso del romanzo. Poi, rileggendolo, mi sono resa conto che in fondo parlavo di una generazione. Anna, pur avendo la tendenza a esagerare nel suo essere immobile, è come tutti noi: incerta, spaventata dal confronto con la competitività che esiste là fuori. Chi non ha mai avuto la tentazione di rimanere al sicuro sotto il piumone, piuttosto che mettersi in gioco in una società che chiede così tanto?
Cosa pensi del Self-Publishing?
Penso sia una bellissima opportunità, che spesso viene però usata senza criterio. Passare da un editore permette di ricevere una prima reazione al proprio lavoro, e se questa è sempre negativa ci sarà un motivo. I lettori non sono più clementi. Tutto dipende dalle aspettative che si hanno e dal motivo per cui si desidera condividere con il mondo le proprie opere. A volte, comunque, può essere una buona idea anche autopubblicarsi. Bisogna solo saper fare delle scelte.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sto già scrivendo un altro romanzo e una raccolta di frammenti. Al momento, però, a parte lo studio dell'esistenzialismo, sono concentrata sull'editing e sulla mia crescita professionale in questo ambito. Continuerò comunque a scrivere, e si vedrà.
Grazie a Sara Gavioli per averci dedicato il suo tempo. In bocca al lupo e buona scrittura!