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Intervistando Aristide

Creato il 22 marzo 2010 da Pagu
Dopo aver letto il libro Aristide broie du Noir e, dopo averne parlato su questo blog, ho deciso che volevo saperne di più. Per questo ho contattato personalmente gli autori via email, i quali sono stati così gentili da concedermi un'intervista. Non credo sia facile trovare persone così disponibili come lo sono state loro e per questo, vista la gentilezza e la pazienza con la quale hanno risposto alle mie domande, a loro vanno tutti i miei ringraziamenti. Intervistando AristideEcco l'intervista che ho preparato per voi. Se volete potete scaricarla anche nella versione originale (francese), in formato pdf cliccando sul pulsante qui di fianco.
Intervistando Aristide1) Io e i lettori del blog, vorremmo saperne un po' di più su di voi, quindi comincerei con qualche domanda personale. Quando avete cominciato a scrivere fumetti? Da dove deriva la vostra passione? C'è qualcuno in particolare che vi ha inspirato nello scegliere questa professione: la famiglia, gli amici, degli autori in particolare?
Séverine Gauthier - Fin da piccola, ho sempre voluto raccontare delle storie. Ho cominciato disegnando le mie storie, ma crescendo, mi sono concentrata esclusivamente sulla scrittura. Ho sempre letto parecchi libri di generi molto diversi, sia fumetti che romanzi. Ho un'immaginazione molto visiva e mi viene spontaneo visualizzare le mie storie in immagini. E' da quando ero piccola che ammiro gli autori dei libri per bambini come Roald Dahl che è, ancor oggi, il mio autore preferito. Dahl scriveva con una freschezza disarmante, con molto umorismo e allo stesso tempo in maniera molto poetica. Amo tutto quello che ha scritto, sia i libri per bambini che quelli per adulti. In seguito, crescendo, mi sono interessata alla poesia anglosassone per l'infanzia, e mi sono veramente appassionata alla prosa e alle poesie di Shel Silverstein. Mi piacciono molto anche i lavori di Tim Burton per la sensibilità e le emozioni che sa esprimere e nelle quali, alcune volte, mi ritrovo. Penso che nei miei lavori si possa vedere, senza alcun dubbio, la sua influenza.
Jérémie Almanza - Ho incominciato fin da giovane a fare fumetti, intorno agli 8 anni. A quell'età non facevo altro che cominciare dei fumetti, senza mai terminarli. Al massimo facevo 3 o 4 tavole delle quali mi disinteressavo in un attimo..... ed inoltre erano molto brutte ;)....davanti alle difficoltà ho preferito dedicarmi unicamente al disegno.
La mia passione per il fumetto risale ai primi fumetti che ho letto: ovviamente Tintin, Asterix e Spirou. L'album che, probabilmente, mi ha più colpito, e che mi ha maggiormente spinto a fare fumetti a quell'epoca, è stato il volume di Spirou intitolato « la vallé des bannis » di Tome e Janry... Dopo averlo letto ho compreso quello che mi piaceva veramente del fumetto, ed è a partir da quell'album che ho iniziato a costruire la mia propria cultura fumettistica.
Un po' più in là nel tempo, sono stati Nicolas de Crécy e Regis Loisel che mi hanno veramente trasmesso la voglia di fare il disegnatore.
E ancor dopo, Skydoll di Barbucci e Canepa!
2) Ora concentriamoci sulla principale ragione di questa intervista, Aristide. Come è nata l'idea di questo libro? E' una storia autobiografica, cioè c'è qualcosa di te e della tu infanzia nel personaggio di Aristide?
S.G. - La storia di Aristide non è autobiografica, ma c'è molto di me in questa storia, non fosse solo per la maniera in cui ho scelto di scriverla, in alessandrini. Il libro mi assomiglia, perché ci si può leggere una parte della mia personalità.
Intervistando Aristide3) Aristide è un ragazzino che ha paura del buio, una paura tipica per i bambini della sua età. Qual è stata la paura più grande della vostra infanzia?
S.G. - Ero una bambina abbastanza paurosa e guardavo sempre sotto al letto prima di andare a dormire per verificare che non ci fossero mostri. L'ho fatto per tanti anni e credo che all'età di tredici anni guardassi ancora sotto il letto prima di mettermi a dormire, per una sorta di riflesso condizionato che mi rassicurava prima di prendere sonno. Paradossalmente amavo stare al buio, lo trovavo, e lo trovo ancora, riposante.
J.A. - Per quanto mi riguarda ho ancora la stessa paura del buio di quando ero bambino. Infatti mi addormento solo con la televisione accesa, metto dei cartoni animati durante la notte. Quando ero bambino la mia grande paura erano i fantasmi! Ero capace di rimanere per ore la notte a fissare la porta chiusa della mia stanza, per paura che, in ogni momento, potesse aprirsi da sola... mi ci voleva veramente molto tempo per addormentarmi, e alcune volte, non prendevo sonno fino alle 6 del mattino, in attesa che arrivassero le prime luci del giorno grazie alle quali riuscivo finalmente a dormire senza timori. Visto così potrei dire che ero molto simile ad Aristide!
4) Nel libro non si vedono mai i volti dei genitori di Aristide, perché questa scelta che mi ha un po' ricordato i cartoni animati di Tom e Jerry e chi tra di voi l'ha avuta?
S.G. - Abbiamo scelto insieme di focalizzare l'attenzione tutta su Aristide, che ogni cosa fosse visto attraverso i suoi occhi di bambino, dalla prospettiva di un ragazzino ancora piccolino anche di statura. Gli adulti della storia non sono molto importanti, è Aristide il centro della storia, sono le sue paure e le sue emozioni che devono essere percepite. Abbiamo provato a rimanere sempre focalizzati su di lui.
J.A. - Ho visto praticamente tutti i Tom e Jerry ed è vero che era molto intrigante quel modo di non mostrare mai i volti degli esseri umani. Ma l'idea di non mostrare mai i volti viene principalmente dal corto metraggio di Tim Burton: « Vincent ».. con Severine abbiamo pensato che era una buona idea che permetteva di accentuare la solitudine del personaggio. Ari è un ragazzino lasciato a sé stesso, e nemmeno gli adulti possono far nulla per aiutarlo!
Intervistando Aristide5) I disegni di Jerimie Almanza mi piacciono tantissimo, secondo me si adattano perfettamente alla storia. Aristide è stato disegnato molto piccolo e il mondo intorno a lui è invece così grande, tutto sembra enorme paragonato a lui, a cominciare dal suo curioso cappello. Penso che sia una metafora magnifica della vita di un bambino e dei suoi sentimenti. Ogni cosa è così grande quando si è piccoli e tutto sembra irraggiungibile, una siffatta prospettiva non può che fare paura. Come vi siete conosciuti e come è cominciata la vostra collaborazione? Come è stato il vostro rapporto lavorativo, vi siete consultati frequentemente o avete lavorato individualmente? Come è nato il disegno di Aristide? Chi tra di voi ha avuto più influenza sulle scelte dell'altro?
S.G. - Avevo in testa la storia di Aristide da molto tempo e sapevo già l'atmosfera che volevo darle. Avevo voglia di provare a scriverla in alessandrini per darle un ritmo differente. Stavo cercando un disegnatore il cui lavoro trasmettesse un'emozione positiva. Navigando su internet sono « inciampata » per caso sui disegni di Jérémie. Ho capito subito, guardando i suoi disegni, che era perfetto per questa storia. Era come se l'avessi scritta per lui. Allora gli ho mandato un'e-mail spiegandogli chi ero e descrivendogli il progetto di “Aristide broie du noir”. Gli ho anche mandato un piccola parte del testo (avevo già iniziato a scrivere), affinché avesse un'idea dell'atmosfera e dell'ambientazione del progetto. Mi ha risposto subito dicendomi che era interessato alla cosa. Ci siamo incontrati poco dopo a Parigi e abbiamo avuto subito un'ottima intesa. Ci siamo lanciati e qualche mese più tardi, abbiamo presentato il progetto ad un editore. Il seguito lo conoscete....
J.A. - Penso, senza esagerazioni, che con Severine l'alchimia sia praticamente perfetta. Ci siamo da subito confidati tra di noi per sviluppare la storia, l'ambientazione e la parte grafica di Aristide. Dal primo momento abbiamo alternato le due cose, alcune volte ero lei a proporre le sue idee, altre ero io. Ci vedevamo per discutere l'evoluzione del progetto, io le mostravo i disegni, e lei mi dava i suoi pareri... dopo di che provavo, soltanto una volta, a rendere al meglio le idee che avevamo avuto discutendone. Per quanto riguarda le scelte, penso che Severine abbia avuto abbastanza influenza su di me, in particolare per quanto riguarda il personaggio di Aristide che io, all'inizio, avevo immaginato meno espressivo. Severine ha saputo far uscire il lato « cartonesco » che avevo dentro di me.
6) Puoi parlarci un po' del tuo metodo di disegno? Utilizzi molto il computer o preferisci disegnare su carta? Fai molti disegni di prova o pochi? Quando decidi che un disegno è finito?
Per Aristide ho cominciato subito a fare dei disegni su carta. In seguito li scannerizzavo e li coloravo con photoshop.... Quanto alle prove, ne ho fatte abbastanza, ma senza eccedere, è giusto mantenere un po' di spontaneità. Detto questo, per Ari, avevamo precedentemente fatto lo storyboard di tutto il libro! Quindi sapevo chiaramente come muovermi.
In quanto a decidere quando un disegno è pronto, di solito succede quando non ce la faccio più a lavorarci sopra e reputo che sia sufficientemente riuscito... Non consegnerei mai un disegno che considero sbagliato o imperfetto... sono pronto a ricominciare tutto da capo pur di riuscire a far meglio.
Detto questo, penso che lavorare troppo su certe immagini non è per forza sinonimo di qualità...bisogna anche saper dire basta nel momento giusto. L'importante è conservare un po' di spontaneità.
7) Quanto tempo ha richiesto la stesura si Aristide? E quali sono state le fasi della sua realizzazione?
S.G. - C'abbiamo messo più o meno un anno per realizzare l'albo. Abbiamo lavorato insieme, nello stesso momento. Io scrivevo le tavole e i testi che inviavo a Jérémie il quale, in seguito, mi proponeva delle storyboards. Ne discutevamo insieme e una volta che tutto ci sembrava a posto, Jérémie realizzava le tavole definitive.
8) Ho apprezzato molto le rime e i versi che hai scritto. Hai scelto di scrivere il libro subito in rime o questa idea è stata elaborata durante la realizzazione? Qual è il verso che vi piace di più?
S. G. - Ho immaginato fin dall'inizio il progetto in versi, in alessandrini. Senza dubbio a causa di tutta la poesia che leggo. Quindi mi sono lanciata in questa sfida di raccontare una storia utilizzando versi alessandrini e vocaboli che fossero comprensibili anche ai bambini. Il mio scopo era di creare un ritmo ipnotico che si adattasse alla storia e ai disegni di Jérémie. Sono molti i versi che mi piacciono in questa storia. Amo particolarmente questo: Intervistando Aristide
"Il peut déjà les voir dansant sur sa dépouille / et gravant sur sa tombe: "Aristide, mort de trouille."
(Già li vede danzare con in mano il suo cuor
e sulla lapide incider “morto di terror
J.A. - Ho veramente un debole per la scena del bacio e per la parte finale del libro.
9) Il finale mi ha un po' inquietato, non si risveglierà mai Aristide? Per un attimo ho pensato che le ombre non fossero poi così gentili.
S.G. - Abbiamo lasciato il finale aperto volontariamente affinché il lettore possa immaginare ciò che vuole. Nella prima versione, in effetti, Aristide si addormentava per sempre, ma ci siamo detti che era un finale un po' troppo violento per questo tipo di storia. Alla fine recupera, d'un sol colpo, tutto il sonno perso nei suoi primi dieci anni. Dopo, ognuno immagina ciò che vuole, e questa è proprio il finale che volevamo per questo libro.
J.A. - L'idea era di fare un finale a libera interpretazione. Nemmeno io saprei dire quello che succede realmente alla fine, ma questa ambiguità mi piace molto.
10) Quale margine di libertà viene dato dalle case editrici francesi ai loro autori?
S.G. - Noi ci siamo sentiti molto liberi nel corso della realizzazione di quest'album. Una volta che l'editore ci ha detto che gli piaceva il nostro progetto, ci ha sostenuto fino in fondo affinché il libro potesse uscire un giorno.
11) So che stai lavorando (Severine Gauthier) su un altro progetto intitolato WASHITA, un'opera, dall'ambientazione naturale e spirituale, prevista in 5 volumi di cui ne sono già stati pubblicati due. Puoi parlarcene un po'?
S.G. - Washita è un progetto molto diverso. E' la prima volta che scrivo una storia così lunga (5 volumi). E' una storia indiana ambientata in America del nord molto prima dell'arrivo dell'uomo bianco. E' un racconto immaginario, di fantasia, ma per scrivere questa storia, utilizzo le mie conoscenze della cultura degli indiani d'America, visto che attualmente sto terminando una tesi su di una tribù di nativi americani per la quale lavoro da più di 5 anni. Anche se la storia è inventata, tutti i personaggi sono culturalmente autentici e stiamo utilizzando delle vere leggende indiane.
12) Conoscete l'Italia? Siete già stati in Italia e se sì, dove? Conoscete autori italiani di fumetti?
S.G. - Sono già stata in Italia tante volte, è un paese che amo molto. Ho anche imparato l'italiano al liceo, ed anche se non lo parlo molto bene, lo leggo senza problemi. Non conosco molti autori italiani, ma mi piace molto lo stile grafico di Massimiliano Frezzato.
J.A. - Purtroppo non conosco l'Italia, ma penso di andarci presto... ha un aspetto talmente magnifico.
Di autori di fumetti conosco Barbara Canepa e Guillaume Bianco con il quale sto lavorando in questo momento (a Eco). Ho avuto anche l'occasione di incontrare Alessandro Barbucci, un disegnatore straordinario.
13) E' possibile che in futuro lavoriate ancora insieme? Avete già qualche progetto?
Stiamo lavorando in questo momento ad un altro libro, dello stesso formato e con la stessa atmosfera di “Aristide broie du noir”. Il libro s'intitolerà “Coeur de pierre” (Cuore di pietra).

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