La Malerba che non brucia piu':ce la racconta Sardo
Dalla Rubrica Le EccellenzeMercoledì 11 Giugno 2014 - 06:55, Federica Ferretti
E torna oggi sul nostro Corriere, in una maniera altrettanto inaspettata, fin quasi soprendente: ha scelto così di contribuire alla nostra inchiesta sulla scrittura-giornalismo.
F.F. Il carcere è un tema caldo, un tema con cui occupare le pagine di cronaca certi di fare scalpore. Nell’ottica di Carmelo Sardo, noto giornalista del Tg5, che ha scritto il suo secondo libro “Malerba” a quattro mani con l’ergastolano Giuseppe Grassonelli, no. C’è umanità nel suo raccontare la “fine pena mai”. Che vuol dire?
La nostra costituzione prevede che il carcere serva a recuperare chi ha sbagliato, non a punirlo. Deve cioè restituire alla società uomini nuovi, diversi, tornati nella legalità. Conosco personalmente storie di criminali che sono entrati in carcere come uomini a perdere, e che invece, seguiti adeguatamente da educatori, da personale qualificato, da docenti universitari che svolgono un lavoro silenzioso ma efficace, si ritrovano e imboccano straordinari percorsi di recupero. Io ho passato a 20 anni, 9 mesi in un carcere di massima sicurezza come agente di custodia per il servizio militare ed ho trovato più umanità in quel carcere che in molti ambienti della vita sociale.
F.F. Cosa hanno visto e vedono gli occhi di Carmelo?
Dentro ho visto la voglia di riscatto, di rinascita di chi ha sbagliato e con dignità sta scontando la sua pena. Fuori vedo, specie nei palazzi del potere, un preoccupante disincanto verso le esigenze fisiologiche dei condannati. Basti guardare le condizioni pietose in cui versano le nostre carceri e i continui bacchetta menti dell’Europa al nostro paese che non fa abbastanza per rendere più civile e decorosa la detenzione.
F.F. Perché tanto interesse e “familiarità” con una simile tematica?
Proprio perché ci sono passato. Come dicevo prima ho fatto il militare nel corpo della polizia penitenziaria e ho toccato con mano una realtà che da fuori uno non immagina neanche. Dietro le sbarre ci sono uomini veri, padri di famiglia, mariti, figli, che sanno di aver sbagliato ma non per questo bisogna chiudere loro la porta in faccia. Ho passato lunghe notti di servizio a parlare con loro, a sentire le loro ansie, le loro angosce, pentiti degli errori e pronti a dimostrare di essere diversi, nuovi.
F.F. Chi è Malerba davvero?
Malerba è un uomo straordinario, di un’intelligenza fuori dal comune. Un uomo entrato in carcere a 26 anni semianalfabeta e dopo 22 anni di dura prigione, oggi è un uomo di grande cultura, laureato in lettere moderne con 110 e lode. Malerba, erba tinta, erba cattiva, è Giuseppe Grassonelli, come veniva chiamato nella sua Porto Empedocle quando era un ragazzo. Poi un giorno gli hanno sterminato la famiglia, la mafia voleva morto anche lui, e il destino lo ha trascinato in una storia drammatica contenuta nel libro che abbiamo scritto insieme, Malerba appunto, edito da Mondadori, collana Strade blu.
F.F. Sei venuto in Abruzzo, precisamente nel carcere di Sulmona per discuterne. Cosa pensi della nostra regione anche alla luce di questa “visita”?
Abbiamo parlato di “fine pena mai” e ho potuto apprezzare le sensibilità vere degli abruzzesi sollecitati su un tema così delicato.Vi hanno preso parte oltre 500 persone, e non solo professionisti, ma anche comuni cittadini, abruzzesi che hanno scaldato le corde più recondite dell’animo di fronte al dramma vissuto dagli ergastolani che sono intervenuti con le loro angosciose storie. L’Abruzzo è una terra cosi’ meravigliosa, pensate che lo stesso Giuseppe Grassonelli, quando l’hanno trasferito qui nel carcere di Sulmona e ha notato cosa si vedeva dalla sua cella, mi ha raccontato di non aver dormito la notte incantato a guardare le montagne che non aveva mai visto in altre carceri e ad annusare l’aria d’Abruzzo.
F.F. Pensi che Il tuo Giuseppe Grassonelli possa davvero essere riabilitato da una simile esperienza?E mi riferisco alla vostra avventura letteraria, perché lui è condannato all’ergastolo, giusto…?
Grassonelli è un uomo diverso, nuovo, cambiato, un’intelligenza che meriterebbe di essere restituita alla società. Ma ha subito l’ergastolo ostativo che non gli permette di accedere ad alcun beneficio: neppure un’ora di permesso per tutto il resto della sua vita. E credo sia un’inciviltà specie se pensiamo che altri criminali che hanno ucciso perfino poliziotti, sono in semilibertà dopo 20 anni di carcere e lui che ha ucciso mafiosi e sicari per sopravvivere e per vendicare i suoi cari, è destinato a marcire in una cella.
F.F. Ti sentiresti di maturare una proposta di legge dopo questa tua-vostra esperienza così particolare?
Non spetta a me, semplice giornalista e scrittore, farlo. Ma ci sono associazioni che da anni si battono per questo con orgoglio e dignità e stanno raccogliendo sempre più consensi che prima o poi il governo dovrà rendersi conto che l’ergastolo ostativo è una pena di morte per i vivi. Sono fiducioso. F.F. Quanto ti ha ispirato l’avventura cinematografica dei fratelli Taviani “Cesare deve Morire”?
Non mi ha ispirato per niente perché non ho neppure visto il film e capisco che è una mia lacuna.
F.F. Secondo te, questa forma di punizione così estrema e per tanti troppi versi disumana, ha ancora un senso nelle carceri italiane?
Non ha più alcun senso, ma attenzione, solo per chi dimostra di essersi recuperato. Chiaro che per un mafioso all’ergastolo che dal carcere continua a lanciare minacce contro tutto e tutti e soprattutto contro i magistrati, come Totò Riina per intenderci, non merita alcun beneficio. Io mi riferisco solo ai tanti Grassonelli sepolti nelle nostre carceri che sono diventate persone a cui affideresti i tuoi figli.
F.F. Cosa senti di poter aggiungere a quanto già detto -fatto -proposto su questo tema?
Mi piacerebbe che chi governa questo paese andasse in carcere a incontrare i tanti Grassonelli, a passare con loro mezza giornata in cella, come ho fatto io. E chissà, forse capirebbero.
Federica Ferretti
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