Into the grizzly maze è il classico film del genere “natura contro”, con una splendida e sostanziale differenza, sembra girato trent’anni fa. Limitando gli effetti digitali al minimo indispensabile e arrivando ad impiegare un vero terrificante grizzly, anche per le sequenze degli attacchi (Bart the bear, citato perfino nei titoli di testa), Into the grizzly maze regala intrattenimento vero, concreto e tangibile, un tipo di approccio ormai praticamente estintosi, almeno nel campo del cinema di genere. L’ultimo esempio recente di questo tipo di cinema, uomo al cospetto di una natura matrigna e selvaggia, è stato lo splendido The Grey, in quel caso però si parlava di lupi, mentre qui, come forse avrete intuito, il protagonista è un maestoso orso assetato di sangue. Tra montagne innevate e boschi impenetrabili si compie la tragedia più che umana di un manipolo di uomini e donne, mossi dall’istinto più antico di sempre: sopravvivere ad ogni costo. I soliti topoi quindi, diranno i più attenti, eppure per le più che concrete ragioni descritte in precedenza, il film acquista corpo e struttura, descrivendo una natura selvaggia ed inospitale, all’apice della sua furia letale: le fauci del grizzly imbrattate di sangue mettono i brividi e ancora una volta, l’essere umano appare minuscolo di fronte a tanta potenza. La natura domina, scalcia e urla pur di ritrovare il proprio equilibrio, indifferente all’umano patire, sentire, sognare, sperare, amare e vivere.