Magazine Cultura
Post a richiesta, nato sull'onda dei commenti dell'altro giorno. Si va un po' fuori dai soliti argomenti trattati qui sull'Orlo del Mondo, ma a volte ci sta, anzi, è quasi doveroso farlo. Ovviamente, ancor più in questi casi in cui ci si espone sul lato personale, commenti e pareri son graditi, purché non si sconfinino nella maleducazione e nel sarcasmo d'accatto. Metto le mani davanti dopo aver constatato su Facebook che c'è ancora chi, nonostante tutto, non sa distinguere tra gioco, umorismo sgradevole e battute del tutto superflue.
Anyway...
Un paio di giorni fa vi accennavo alla bizzarra notte di Halloween di quest'anno.
Tralasciamo per il momento la visita alla terme abbandonata, su cui dovrebbero arrivare foto molto suggestive nel giro di una settimana. Concentriamoci invece sulla seconda parte della serata, che ha portato me e la mia compagna di sabba (era pur sempre la notte delle streghe, no?) in uno sperduto agriturismo sulle montagne della Valsassina.
Questa volta il termine “sperduto” ha un senso specifico: per raggiungere la meta la mia Fiesta ha dovuto scalare stradine solitarie, arrampicandosi sui monti in un buio praticamente assoluto, lasciandosi alle spalle paesi sempre più piccoli, fino ad arrivare in un punto in cui tra i boschi non si vedevano più costruzioni artificiali, se non la nostra meta, l'agriturismo in questione.
Scendere dall'auto ed essere accolti dal canto di una civetta e da un cielo stellato così intenso che non mi ricordavo più com'era fatto è stato impagabile. Non per un mero senso poetico, lontano dalle mie corde, bensì per la consapevolezza che a volte per viaggiare in altri mondi non occorre un'astronave, bensì solo un posto come questo.
Per farla breve, sennò viene fuori un resoconto stucchevole e prolisso, abbiamo poi scoperto che i proprietari dell'agriturismo sono una coppia, marito e moglie, di ex “cittadini”, che dieci anni fa hanno deciso di stravolgere un'esistenza fatta di lavori “normali” e di quotidianità rodata e ripetitiva per scommettere tutto su un'esperienza di vita del tutto diversa.
Vita di montagna, allevando qualche bestia, coltivando l'orto e cucinando per i fortunati che hanno la buona idea per spingersi fin lassù. Non immaginatevi qualcosa di estremo come un eremitaggio in Tibet, ma comunque si tratta di una posizione tale da garantire un certo isolamento, contando anche che il paese più vicino si trova a cinque chilometri ed è un fazzoletto con quattro case e un centinaio di abitanti.
Parlando coi proprietari si ha l'idea di una precisa scelta di vita, non (come spesso capita) di un perpetrare di abitudini e mestieri tramandati da generazioni. La voglia di fuggire da una vita frenetica e spesso disumanizzante ha giocato il ruolo fondamentale in un cambiamento tanto marcato e – almeno credo – irreversibile.
L'attività fisica concreta: cucinare, coltivare, allevare, si alterna a momenti in cui si conciliano passioni artistiche (lettura floricultura e pittura, da quanto ho capito) nel silenzio corroborante di una natura quasi del tutto incontaminata.
Non dico che sia tutto oro, tutto facile, ma la faccenda ha un suo fascino intrinseco.
Non so come la pensate voi, ma io al buon retiro ci rifletto da sempre. Ovvio che col passare degli anni tali riflessioni assumono a volte una concretezza maggiore, anche se sono ancora molto, molto lontano dal valutare una soluzione del genere.
La cosa sicura è che, se non morirò prima (e questo non sono io a deciderlo), non ho intenzione di invecchiare nei panni di anonimo impiegato, con un mutuo da pagare, il tempo libero centellinato sempre più, rosicchiato da tutto quel grigiore che sembra assorbirci di anno di anno, come il Nulla de La Storia Infinita. L'alternativa, in linea di massima, è quella di raggiungere uno status di sostentamento dignitoso e poi sparigliare le carte, rivoluzionare la vita e, detta in modo schietto, prendersela più comoda. Badare alle passioni personali e ai pochi, pochissimi veri affetti, tralasciando tutto il resto.
L'assoluta mancanza di ambizioni di carriera viene in mio soccorso. Non mi è mai importato nulla di raggiungere uno status “rispettoso”, di ostentare completi firmati da top manager o di accumulare più soldi di quanto possa spenderne per le mie passioni. Che sono così costose ma non al punto da dover vendere l'anima per alimentarle.
Ho la supponenza di credere che ciascuno di noi dovrebbe puntare a raggiungere un livello dignitoso di vita – cosa che il nostro Paese sta cercando di impedire in ogni modo – e poi trascorrere un'esistenza serena, dignitosa e mirata all'arricchimento culturale, artistico ed emozionale. Il che non è facile, non in una società in cui la quantità di soldi che uno ha in banca è spesso proporzionale alla considerazione che il prossimo ti riserva.
Eppure io credo ancora nella possibilità di una vita più a misura d'uomo, il che può vuol dire più a misura di noi stessi. Per assurdo non credo che sia nemmeno necessario comprarsi un rifugio in alta montagna e darsi alla pastorizia – per quanto potrebbe essere una buona scelta, considerando che l'economia mondiale sta per crollare, facendo resuscitare brigantaggio e barbarie annesse.
Forse basterebbe anche un bilocale a Settimo Milanese.
Non è il dove, bensì il come.
Ed è una sfida maledettamente difficile da vincere.
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