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E' una miscela di varie fiabe "Into The Woods", liberamente annodate e manipolate tra loro per dar vita ad un nuovo racconto dall'abbigliamento dark, toni ironici e spirito da musical. Si affida all'esperto in materia Rob Marshall, la Disney, per fronteggiare il delicato passaggio dal palcoscenico al cinema, affidando il soggetto e la sceneggiatura agli autori originali Stephen Sondheim e James Lapine, che pur spendendosi al meglio, fino al midollo, inseriti in un territorio non propriamente familiare, realizzano un canovaccio dalle evidenti potenzialità, ma con lacune inammissibili e imbarazzanti.
Poteva essere la rivalsa più facile "Into The Woods" per la Disney, la pellicola che in un batter d'occhio andava a spazzar via ogni nube e ogni dubbio che negli ultimi tempi si erano annidati attorno al suo nome e ai suoi prodotti, puntualmente in costante attacco e/o decrescita. Nella pellicola di Marshall infatti c'è un ironia intelligente, una libertà ossigenante, un'anarchia che consente di respingere il totale lieto fine e persino gran parte di quegli stereotipi fiabeschi che, per quanto apprezzabili, rendono molti epiloghi e svolgimenti prevedibili e scontati. Per questo fa molto male rendersi conto che tutto ciò venga decisamente gettato all'aria a causa di una sceneggiatura decisamente da rivedere, afflitta da amnesia e scarsa concentrazione, la quale pur cominciando bene e mantenendosi discretamente di buon passo per suoi buoni tre quarti, nell'ultima mezz'ora manda in fumo ogni proposito, franando in enormi buchi di racconto, passaggi poco chiari e risoluzione ambigua quanto discutibile. Sostanzialmente una questione di misure, imprecisioni che impediscono a una trama corposissima, incaricata di distribuire il regolare spazio ad ognuno dei molti personaggi, di stendersi senza imperfezioni in un lenzuolo fitto di eventi, capovolgimenti inaspettati, interazioni e profili. Disattenzione (o inesperienza) che poteva essere risolta probabilmente allungando di qualche decina di minuti la narrazione, oppure evitando di ampliare la sottotrama relativa alla gigantessa - incollata al primo, illusorio, finale - inserendo, magari, al posto di quella che col senno di poi si è dimostrata granata demolitrice, una coda meno rischiosa con cui esplicitare la sorte buona o cattiva legata ad ognuno dei protagonisti (di cui ancora adesso si conosce poco o niente).
Si scopre per l'ennesima volta timoniere di una nave esente da tracciato percorso, quindi Marshall, che già con "Pirati Dei Caraibi: Oltre I Confini Del Mare" aveva pagato abbastanza personalmente delle colpe non proprio sue, ma di carattere prettamente aziendale. Il suo mestiere d'altronde il regista lo compie al massimo delle capacità e possibilità, esaltando alla grande la qualità e la bravura di una Meryl Streep efficacissima (a cui è dedicato un ringiovamento degno di nota), valorizzando la fotografia e i giochi di luce nell'oscurità delle ambientazioni, ma soprattutto sostenendo e agevolando coinvolgimento e presa musicale dei numerosissimi momenti cantati, pur considerando la non straordinaria composizione (ed influenza) degli stessi (sia per la musica che per le parole).
Un matrimonio che non sa da fare a quanto pare, quello tra lui e la casa d'animazione, che nonostante la buona volontà delle parti continua ad imbattersi in concepimenti inefficienti o poco tutelati, che se a un grande marchio possono danneggiare moderatamente, ad un regista, invece, potrebbero condizionare professione e offerte.
Per cui malgrado contenga nella sua confezione tutti quei pregi che avevamo rimproverato come mancanze al "Cenerentola" di Kenneth Branagh, a "Into The Woods" rimane tuttavia impossibile aggiudicarsi qualsiasi genere di promozione. E non sicuramente per via di un comportamento privo di intraprendenza o di eccentricità, poiché quella di Marshall, sulla carta, era la migliore opportunità che la Disney si era ritagliata da qualche anno a questa parte, ma perché, proprio sulla carta, questa è stata brutalmente trascritta, conservata e protetta.
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