Brandon Sanderson scrive tantissimo, e non lo scopro certo io. Uno sguardo alla sua bibliografia è impressionante: ventuno romanzi già pubblicati (dodici quelli tradotti in italiano), di cui otto di notevoli dimensioni, quindici racconti di varie lunghezze, altri quattro romanzi previsti entro la fine del 2016 (per uno, il terzo di Le cronache della folgoluce, non è ancora sicuro che Sanderson riuscirà a rispettare i tempi previsti, ma preferisco che si prenda tutto il tempo che gli serve per scrivere piuttosto che vederlo affrettare i tempi), mentre altri progetti sono ancora alla fase di abbozzo. Tutto questo in dieci anni. Tralasciando possibili commenti sul numero di romanzi pubblicati da George R.R. Martin (o anche da Patrick Rothfuss, se è per questo) negli ultimi dieci anni, Brandon fa effetto per la quantità ma anche per la qualità di quello che scrive. Anche nelle sue opere più semplici mi ha spinta a divorare le pagine per arrivare alla conclusione, e quando mi trascino, come ora, un libro da due mesi perché non riesco proprio ad andare avanti sento ancor più la differenza. E poi ci sono Le cronache della folgoluce, che dai due romanzi che ho letto fino a ora hanno tutte le carte in regola per diventare una delle serie fantasy più importanti di sempre.
Al di là dell'inizio di un romanzo e di un racconto nella mail che ho ricevuto (e anche nella versione pubblica) ci sono considerazioni interessanti nella sezione Some Random Thoughts.
Ci siamo mai soffermati a riflettere su cosa proviamo leggendo un libro o guardando un film? E perché alcuni libri li rileggiamo (o rivediamo alcuni film) e altri no? Da quando scrivo io mi trovo ad analizzare il mio comportamento, e ad analizzare i testi, molto più di prima.Sanderson cita il fatto che molti film che ha visto di recente sono stati esperienze forti che però non sono rimaste nella sua mente. I libri rimangono già di più anche perché gli dedica - gli dedichiamo - più tempo, ma forse gli scrittori si preoccupano troppo della trovata iniziale che possa catturare il lettore da iniziare le loro storie con un segnale molto forte che però non diventa mai qualcosa di significativo, non va in profondità. Una delle forze maggiori della narrativa, rispetto ad altre forme espressive, è la sua capacità di far entrare davvero il lettore nella testa del punto di vista e di fargli sentire come se davvero conoscesse quel personaggio. Sanderson cita Robin Hobb come esempio di autore privo di elementi forti che catturino subito il lettore ma capace di entrare così bene nella testa dei suoi personaggi da far sì che quelle storie durino davvero nell'animo di chi le legge. Il contrasto come molti film d'azione moderni, divertenti mentre li si guarda ma incapaci di fissarsi nell'animo dello spettatore perché eroi, antagonisti e ambientazioni sembrano intercambiabili, è forte.
Sanderson non fornisce risposte, la sua non è nemmeno una morale. Si tratta di una semplice considerazione fatta da qualcuno che per scrivere - e come abbiamo visto scrive parecchio - deve continuamente interrogarsi su cosa stia scrivendo e su come lo stia facendo. Io so che da anni non guardo quasi più film di fantascienza o fantasy perché la mia impressione è che le produzioni si interessino più agli effetti speciali che alla trama. Sì, guardo Il trono di spade, ma per quella serie c'è dietro un discorso diverso perché è basata su Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin, e sto scrivendo troppi articoli su Martin per ignorare del tutto la serie televisiva, ma ne sono sempre più lontana. E a livello di romanzi? Con la tetralogia Gli eredi di Shannara mi sono divertita mentre la leggevo, Terry Brooks ha - o almeno aveva, non posso parlare per tutti i romanzi dal 2000 in poi, che non ho letto - uno stile molto scorrevole e davvero ero curiosa di sapere cosa sarebbe accaduto dopo, ma una volta chiuso I talismani di Shannara mi sono resa conto che quei libri non mi avevano lasciato nulla. Magari per altri sono stati libri importanti, Brooks è ancora uno degli autori di fantasy più amati, ma io a un certo punto ho detto basta. L'immersione per me è altrove, nei romanzi di Silvana De Mari - ho appena assegnato tre stelle ad Hania. Il regno delle tigri bianche, non perché mi sia piaciuto relativamente poco ma perché la trama effettivamente è molto semplice e perché avevo paura che la mia valutazione da quattro stelle fosse legata a una personale passione per i libri di quest'autrice ( http://www.fantasymagazine.it/23900/hania-il-regno-delle-tigri-bianche) e non da una valutazione oggettiva del suo valore. E a proposito di immersione i livelli più alti li raggiungo con i romanzi di Guy Gavriel Kay. In questi mesi sono riuscita a leggere Il paese delle due lune in italiano, poi a rileggerlo in inglese come Tigana perché volevo conoscere le reali parole usate dall'autore e non una loro traduzione (ho scoperto, per esempio, che il personaggio noto in italiano come Celto in inglese si chiama Scelto, così come in La strada dei re viene citata la canasta al posto dell'originale backgammon) e quindi a rileggerlo in italiano perché volevo rivedere alcune cose. Per staccarmi da quel romanzo ho dovuto scrivere un articolo, http://www.fantasymagazine.it/23972/guy-gavriel-kay-tigana-come-una-spada-nell-anima, altrimenti non ne venivo più fuori. Attenzione perché contiene spoiler. Quando scrivo una recensione suppongo che il mio lettore debba decidere se leggere il libro o meno e quindi non rivelo nulla di fondamentale, quando scrivo un approfondimento suppongo che il mio lettore conosca il libro, perciò non mi faccio problemi nel commentare qualsiasi elemento decido di approfondire. E ora sto leggendo per la prima volta in inglese The Summer Tree, come se non avessi letto La strada dei re per l'ennesima volta un anno fa. Ci sono cose da cui riusciamo ad allontanarci, altre invece rimangono sempre con noi, e il valore di un libro non si misura da quanto in fretta riesce a catturarci ma dalla forza con cui lo fa.