ristiano Poletti, PORTA A OGNUNO, L’Arcolaio 2012
L’ALLEGRIA DI FARNE FRAMMENTI
Poesie, dunque, che perdono e guadagnano, che vogliono custodire a tutti i costi i resti dei “fratelli restati desiderati (…) nella carne”.
Una mano ha preso
voi e tagliato i fiori.
Ecco l’immagine con cui mi piace accompagnare queste poesie, veri e propri luoghi di incontro, di separazioni e di cammino verso un orizzonte senza puntelli, una remissione al vento delle sconfitte; un amen e un arrivederci.
“Insegnatemi”, dice Cristiano, “mano nella mano (…) in questo nostro interrotto ospedale”, con l’esperienza – mai suturata eppure quanto necessaria! – di un “amore antenato”; della ferita che la lama ha tagliato in profondità.
Insegnatemi.
Ma anche: ”prendetene e mangiatene tutti, adesso”: e questo è per la memoria, per i paesini di ogni infanzia: fiorine.
Ma anche per le parole che devono trapassare, aperte a quell’ingenuità che i romantici intendevano come una forma di preservazione del primo sentire, del primo lottare, mai sopraffatta dall’astuzia dello sguardo.
“La verità, niente interpretazioni”, dice Cristiano. E così nel Flauto Magico. “Che cosa gli diremo, ora?”, chiede angosciata la principessa Pamina a Papageno, dopo il compito avuto dalla madre, la regina della notte, di uccidere Sarastro: il portatore di chiarezza, di luce?. “La verità, solo la verità”, afferma ingenuamente Papageno.
E’ il percorso verso la maturazione a partire da un attraversamento imprescindibile: sincerità, fuoco e acqua, mano nella mano.
Si avverte spesso in questi testi, il desiderio di una verità semplice, da preservare nel nucleo intoccabile della Storia. Ma anche nella lingua, se la Storia fallisce, se non impariamo niente dalla vita.
Allora “sbuccio le ginocchia all’altare della poesia. Sanguinano adesso, le parole”.
Cristiano non potrebbe dire meglio:
Cosa vuol dire venire alla luce?
A ora incerta, a fondo
lavoravo e non capivo
quanta fatica per dire soltanto
una parola, essere salvati.
Chi nella carne del mondo
prende il dolore e lo brucia
rinasce.
Non ci salviamo nelle parole, questo rovo ardente che arde e mai brucia; piuttosto nelle parole consumiamo della vita ciò che non può essere salvato se non attraverso una remissione, una rinuncia: riprendere o finirla.
E’ il tema costante del proseguire. Sempre, comunque: non si sa come, non si sa perché né con chi. Perchè la poesia è sempre stata qualcuno. Non in qualcuno, o in qualcosa. E’ stata qualcuno che a volte ritorna.
Sebastiano Aglieco
***
Del 20/9
Ho camminato solo
in mezzo ai trent’anni;
sono ancora là,
ma l’angelo non mi trova -
precipitato come sono,
in fondo
in un grumo il sangue e più in là
la mia preghiera interrotta.
Ho scritto poesie,
raramente belle.
*
Salita, ricordo
…e spesso finivano
nella vertigine, gli sguardi fissi
sulla montagna. Loro sono
io e mio padre. Verso
la croce, sempre
tutta in salita l’estate.
*
Qualcosa, qualcuno
Torno alla chiesa,
a un piccolo ossario.
Nel registro delle ore
nessun altro. Dentro
fra polvere e vuoto riposa
un addio fermo di secoli …
Fuori, nel cuore semplice dei campi,
il silenzio della domenica
tra materia e riti
e, in fondo, qualcosa, qualcuno …
*
In paese
… restare in bilico in parole povere
a disegnare il traguardo di un mese
e, di ognuno, quello che resta
- alberi, anni, cime nervose
nella neve, il loro scarto dal cielo,
come un abbraccio, nell’aria di festa -.
*
Altri
Nel fastidio di parlare mi porti
strilli di bambini. Mi dici
parla e non parlare
di te. Sì, preparo una pagina
perchè ci scriva il vento, di altre vite.
Se nel fastidio di parlare
mi porti strilli di bambini
mi fai un regalo, un altro tempo.
*
Memoria, la vostra
Lontano. Non è
Treviglio o Lambrate
dove volevate finire.
Cosa dei campi? L’allegria
di farne frammenti.
Prendete e mangiatene
tutti, adesso. Sente
di terra e nient’altro
la memoria. E voi,
voi mica tornate.
*
A F.
Non trovo differenza:
la chitarra bianca, le braccia
aperte. Gli angeli hanno solo ali buone.
Sanno volare dritto
al cuore del problema.
Ti chiedo soltanto le parole
davanti agli ultimi passi in giardino
per darmi il corpo interrotto
della poesia che sei stato.
Suona l’accordo giusto, ti prego,
quello che sapevi e saprai
fare nella stanza tutta gentile
dove tu gentile, ne sono certo,
sorriderai.