Filippo Ravizza, TURISTA PER CASO, LietoColle 2008
Sebastiano Aglieco
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Il turista di Filippo Ravizza non è un semplice osservatore e neppure un testimone, ma un soggetto che attraversa il territorio dell’esistenza, un “attore della luce”, che si apre agli eventi umani e ai paesaggi, colti in attimi che restano nella parola, piccole o grandi rivelazioni che rimandano al mistero dell’essere. C’è in questi versi una forza oppositiva all’indifferenza del tempo, una volontà tenace di cogliere nella visione il segno della Storia, le tracce di una civiltà comune, una Heimat del cuore e della speranza, mentre incombe la vanità del tutto e l’accerchiamento di una “verità alta e insuperabile/ lo sguardo asciutto e folle/ che chiamasti il niente”.
La tensione presente nella poesia di Ravizza nasce proprio da questa consapevolezza, dal contrasto tra un desiderio di verità e di appartenenza, che emerge anche nostalgicamente in brevi immagini riferite alla propria giovinezza e ai propri sogni di un più alto destino, e la realtà quotidiana, immersa in un vortice che tutto trascina e cancella. [...]
Mauro Germani
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LE CITTÀ
Barcollavano, tremava lo scenario
allora di quelle finestre, quegli
alberghi. Oppure mi venivate a colpire
la spalla, sbandando sui marciapiedi;
in tutte le tue città Europa passano
di sera incerti poca luce negli occhi
i tuoi ragazzi, attori dei percorsi
trascinati di vetrina in vetrina,
di bar in bar, nell’aria piena
del sentore dell’alcol… e non c’è
meta sono le vetrine percorso
e termine percorso e fine
così il vino, la birra, il whisky;
paiono essere immersi da sempre
pare l’unico destino rimasto
per loro e per te
in questo nuovo secolo
grigio futuro futuro senza scampo.
ESSERE IN LEI
Cresce Milano colore
che passa, corrente veloce
fiume d’uomini ed è
una sera un giorno un anno,
duemilaquattro, chi lo sa
quale sarà la nostra offerta
libertà, paziente il primo
verso si apre, diceva lei,
si apre nella mente
e ancora questa piazza
mi prende per mano mi
dice: ascolta, ascolta la luce,
senti come vita che bussa
alla porta il desiderio di entrare,
da lì vedere il mondo
da lì essere in lei.
PARIGI
Strati, dense offese del tempo,
eppure solo ieri ti muovevi,
nulla dell’attimo forte nulla
sul chiuso orizzonte, un ponte
senza uscita lenta ci guardava la
città più bella, la grande verità,
buie rive come un tunnel, quando
salutando si accendeva l’ora nello
sguardo ed era voglia che esista
la vita come pieno desiderare, come
mattina di vera gloria di marce e urla,
una a una conquistate, attente impressioni
aperte, finalmente aperte luci di vittoria.
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Forti case come allora tetti come
teli spioventi in questo duemilacinque
torno a voi boschi di Dampierre
come nell’estate dei miei diciotto anni
quando sentivo il cuore e le speranze
intorno ed era fine dei Sessanta
correndo l’inizio dei Settanta
decenni miei case di France-Comté
io camminavo dense ore prime del mattino
tra i saluti tra le lame puro sole
dicente bentornato lentamente
sdràiati a caso in questi solchi
figlio attento al continente che ti abbraccia
e io correvo e pensavo alle ragazze
le ragazze di Francia ai baci alle carezze
scambiati poi nei voli nel cielo dell’Europa
scambiati poi volando dentro al tempo
grande allora grande l’orizzonte
grande la vastità della promessa.