Nel 1917, un'orda di rivoluzionari invade il Palazzo d'Inverno. La trasformazione politica e sociale in Russia spinge alla fuga miglia di individui legati al vecchio regime. La maggioranza di loro si dirige in Europa, come nel caso di Nabokov - dalla Russia a Berlino, poi a Parigi - o di Sklovskij - a Berlino, poi il ritorno a Mosca. La vita e l'opera di Joseph Roth sono segnate da questa dinamica delle invasioni e dell'erranza: prima come soldato, poi, con la fine della guerra, il ritorno dal fronte ("La marcia di Radetzky", 1932, "Fuga senza fine", 1927); ma anche come ebreo ("Ebrei erranti", 1932, "Giobbe", 1930) e come intellettuale, giornalista, come osservatore o semplice curioso, con i suoi vari tentativi di dar conto, di spiegare, il fenomeno sociale e politico delle rivoluzioni e delle sue invasioni, come ne "La ribellione", 1924. Ma anche i racconti come "Hotel Savoy", 1924, con il "bacillo della rivoluzione" e l'agitatore polacco Zwonimir, la cospirazione ed il tradimento di "Confessioni di un assassino", 1936, o lo sviluppo del fascimo nella Berlino degli anni 1920 di "Destra e Sinistra", 1929, ed i reportage, sempre nello stesso periodo, dalla Russia.
Proprio nel testo che apre quest'ultima raccolta - scritto nel 1926 per il Frankfurter Zeitung - Roth scrive: "prima che qualcuno pensi di visitare la Russia attuale, da molto tempo la vecchia Russia ci è venuta incontro". Funzionari, burocrati, nobili e molti altri, adesso sono tassisti, camerieri ed idraulici a Parigi come a Berlino, città che si trasformano in tappe permanenti, dove si sovrappongono ed interagiscono molteplici storie di individui espulsi che portano una maschera, sperando di avere l'opportunità di ritornare.
1492. Un altro anno, un altro evento. L'espulsione degli ebrei dalla Spagna che si spandono per l'Europa e portano con sé un sistema di lettura e di interpretazione della Kabbalah. Fra l'altro, per esempio, sarà a causa di tale espulsione che la famiglia di Elias Canetti finirà in Bulgaria. Ma perché mai, l'insistenza di Walter Benjamin sulla connessione conflittuale fra rivoluzione materialista e messianesimo? Forse perché un esempio storico della possibilità di una simile connessione ci viene dato dalle ripercussioni di quell'espulsione avvenuta nel 1492.
E' stato Aby Warburg, il primo ad assumere Lutero non solo come figura chiava della storia della religione, ma anche come figura chiave della storia dell'arte, e dell'arte politica. Warburg percepisce che in Lutero la potenza della rivoluzione si trova direttamente legata ad una potenza di lettura e di interpretazione.
Frances Yates (Cabbala e occultismo nell'eta elisabettiana, Einaudi, Torino 1982) insegue la pista ed amplia la visione: cita direttamente l'espulsione del 1492, argomentando che, come conseguenza, in tutta Europa andrà ad operare una sorta di miscela fra Cabalisti e Neoplatonici (Pico della Mirandola, Marsilio Ficino), la quale si tradurrà nello sviluppo di una Kabbalah cristiana: un sistema ibrido di lettura e di interpretazione che andrà ad alimentare la Riforma.
La Yates mostra che si tratta quanto meno di due importanti terreni di investigazione che si sovrappongono: in primo luogo, l'espulsione del 1492 e, come conseguenza, la dinamica di diffusione e proliferazione della Kabbalah (adattamenti linguistici e concettuali, nel tempo e nello spazio); in secondo luogo, la distribuzione degli individui espulsi che vagano per tutta Europa, innescando la questione Nord/Sud (centrale in tutta l'opera di Warburg: Dürer/Da Vinci, segno/colore, ecc.).
I possibili legami fra messianesimo e movimento, fra esilio/movimentazione/percorso e trasformazione politico-religiosa. La teoria della deriva di Guy Debord, per esempio: l'atto di andare inteso come la prima fase di un consolidamento scientifico della psicogeografia - che funziona anche come esercizio partecipativo - attiva la mobilità contro l'apatia della società dello spettacolo.
Così, per Cristo ogni trasformazione comporta una deriva, ed anche lui affrontava, secondo la sua prospettiva, uno scenario di apatia. La prova della sua presenza messianica si dà a partire da una deriva, da un percorso. Entrare nella città attraverso una determinata porta, in un certo modo. La parola d'ordine di abbandonare la vita e seguirlo, ossia, mettersi in movimento. Cristo attualizza le derive del passato: il percorso impossibile attraverso il Mar Rosso, la distruzione delle Mura di Gerico. La distruzione delle mura avviene dopo sette giorni di circulambulazione! "Sette sacerdoti, sette giri, sette trombe, il grido di guerra finale all'unisono". L'immagine mitica di un atto rivoluzionario: la distruzione di un regime a partire dallo sviluppo rituale di un percorso, di una deriva: un percorso che viene completato con la voce, con la vocalizzazione, con il canto e con la danza, ossia, con l'occupazione immateriale - e simbolica - dello spazio.
E' Bruce Chatwin a rivisitare questo substrato arcaico ne "La via dei canti": l'occupazione immateriale da parte degli aborigeni, come strategia di resistenza alla colonizzazione.
Mentre, in Godot, Beckett mette in scena l'apatia e la non decisione proprio a partire dall'esaurirsi della deriva: il percorso è circolare, è vizioso.
"La mattina del 15 luglio del 1927" - scrive Elias Canetti - "è avvenuto qualcosa che ha esercitato la più profonda influenza tanto nella mia vita successiva quanto nella scrittura di 'Auto da fé'". Canetti ha visto la folla alla deriva, l'incendio del Palazzo di Giustizia di Vienna e la morte di novanta persone a seguito della repressione poliziesca. "Sono già passati 46 anni, e ancora provo in me l'emozione di quel giorno. E' stata la cosa più vicina ad una rivoluzione che io abbia mai sperimentato di persona".
Nel suo "Le radici classiche della storiografia moderna", Arnaldo Momigliano parla di Ecateo di Mileto (500 a.C.). Erodoto ci racconta la storia più famosa su di lui: egli si vantava davanti ai sacerdoti di un tempio egizio di poter contare sedici antenati, e che il sedicesimo era un dio. La risposta dei sacerdoti egizi fu quella di mostrare ad Ecateo le 345 statue di sacerdoti della loro stessa stirpe senza che ci fosse nessuna traccia di dei o di eroi fino all'inizio della lista.
A seguito di un simile shock prospettico, Ecateo scrive: "le storie dei greci sono molte e sono ridicole e, tuttavia, è questo quello che raccontano". Momigliano commenta: "L'importanza reale di Ecateo non consiste nelle interpretazioni individuali da lui proposte, ma nella scoperta che una critica sistematica della tradizione storica è tanto possibile quanto auspicabile, e che una comparazione fra le diverse tradizioni ci aiuta a stabilire la verità".
La "critica sistematica della tradizione" si lega alla mobilità (all'esilio, alla deriva, al movimento) per poter così generare prospettiva e comprensione. Ecateo nella sala delle statue dei sacerdoti egizi è come Warburg davanti al rituale del serpente degli indios del Nuovo Messico - e la sua elaborazione successiva passa attraverso un riferimento greco: egli cerca di unire Atene ed Oraibi! E le storie che si basano su un'unica prospettiva, che si pretende universale, continuano ad essere ridicole. Molti hanno provato una decostruzione di un simile ridicolo storico, come Edward Said (Cultura e Imperialismo) o Todorov (La conquista dell'America).
"La situazione in cui viveva Ecateo" - continua Momigliano - "lo portò paradossalmente a diventare il leader della ribellione ionica contro i Persiani: ma egli non cessò mai di essere un filo-barbaro". E ancora: "Non piaceva ad Eraclito, forse per la stessa ragione per cui ad Hegel non piaceva B.G. Niebuhr. Il pensatore conservatore aveva poca simpatia per l'investigatore empirico che possedeva una visione un po' più liberale. Ecateo, per la sua erudizione, aveva trovato assurda la rivendicazione degli aristocratici greci, come Eraclito, di essere di discendenza divina. L'ammirazione di Ecateo per i barbari aveva connotazioni politiche, allo stesso modo in cui c'erano connotazioni politiche nell'ammirazione di Niebhur per i contadini romani".