Anche perché l’autore di Incident by a Bank (2009) erige la sua opera attraverso una coralità parecchio atipica, siamo abituati infatti a vedere nel genere “corale” un mastice corrispondente all’intreccio delle diverse storie parallele, Östlund non si cura affatto di ciò, lui procede per scompartimenti stagni illustrando le varie vicissitudini dei protagonisti separate tra loro da uno stacco in nero. La mancata amalgama non incide sulla riuscita del film poiché all’assenza di un incontro fisico sulla scena controbatte un comune denominatore che riguarda ogni vicenda rappresentata fatto di bassezze morali, meschinità, squallore e via dicendo. Questa lettura erosiva della società evoca il nome di un altro grande, e poco conosciuto purtroppo, regista europeo: Ulrich Seidl, perché nell’assistere alle scenette di Involuntary emerge un similare senso di tragicomicità tanto caro al viennese; anche per Östlund l’essere umano versa in condizioni preoccupanti, e in tutte le fasce di età: dalle ragazzine sfacciate e autolesioniste, ai maestri che usano le maniere forti per punire gli alunni, passando per adulti che non sanno assumersi le proprie responsabilità lasciando l’onere della colpa ad un bimbo innocente.
Se il ritratto sociale disegnato su un foglio al vetriolo con matite acide era il punto di arrivo a cui Östlund tendeva, si può dire che il risultato complessivo non sia troppo distante da quanto immaginato, forse non tutti gli episodi si assestano su uno stesso livello (quello del padre colpito dal fuoco d’artificio è il meno rilevante), ma i ribassi sono compensati da notevoli(ssimi) rialzi. Presentato a Cannes e vincitore di molti awards in giro per il globo.