Sabato 21 gennaio 2017, Piccola Galleria, via Matteotti 11, Bassano del Grappa (VI)
CHIARA SORGATO. IDOLI DELLA MENTELa Chiesa [...] non ha ancora sufficientemente compreso questo problema del contrasto fra il Logos (così come ce ne parla il Prologo di Giovanni 1, 1-18) e le immagini, gli eidola, anche se a livello pragmatico si serve ormai ampiamente dei nuovi strumenti della suggestione, cioè di immagini, simboli ambivalenti, video e internet, per fare presa sulle masse a livello emotivo.
Così il teologo domenicano Wolfgang Spindler al quotidiano su un tema di attualità non strettamente connesso con l'arte (l'aspirazione suicida della Chiesa a fronte della crescita esponenziale della secolarizzazione) e che tuttavia inquadra perfettamente il senso della produzione di Chiara Sorgato: il potere delle immagini, l'affievolimento della parola e la conseguente fallacia della comunicazione e del pensiero nell'era Internet.
A questo aggiungete la diffusione invasiva dell'autoritarismo culturale che impone la mordacchia alle voci fuori dal coro mainstream, la proliferazione della cosiddetta "post verità" a livello di informazione di massa, lo slittamento civile dei generi e della famiglia e la sconvolgente precarietà di un'identità religiosa, filosofica, politica da sempre caratteristica dell'Occidente e ora messa in discussione dall'incontro/scontro con culture altre e avrete un'interessante introduzione al valore iconologico dei quadri di Chiara Sorgato.
Innanzitutto, rispondiamo alla domanda che sorge spontanea nei nostri lettori: cosa significa l'aggettivo "iconologico"? Detto in breve, l'iconologia è una disciplina critico/filosofica, nata nel Seicento con Cesare Ripa e attualizzata nel Novecento da Aby Warburg e Erwin Panofsky, che mai come ora si rivela uno strumento utilissimo per entrare in sintonia con quelle opere d'arte che spesso originano sulle nostre teste il disegno di un enorme punto di domanda (perché, se accettiamo l'orinatoio di Duchamp, allora ci è chiaro il senso di tutta l'arte contemporanea): l'orinatoio è l'orinatoio-e-basta nella noiosa vita di tutti i giorni, ma cessa di esserlo quando lo vediamo in un contesto artistico (anche se il suddetto arnese non fu mai esposto, detto inter nos) e ci lasciamo convincere dal suo creatore e dai cosiddetti operatori culturali che lì il suo significato cambia.
Non a caso, una celebre raccolta di scritti di Erwin Panofsky si intitolava Il significato nelle arti visive e ci (di)mostrava come il soggetto o il significato di un quadro fosse altro dal suo valore formale: da un lato la figura, chiara ed evidente (il ritratto di Enrico VIII raffigura Enrico VIII), dall'altro quello simbolico, tutto da interpretare (il ritratto di Enrico VIII raffigura Enrico VIII ma rappresenta qualcos'altro).
Le opere di Chiara Sorgato rispondono allo stesso tipo di analisi: il soggetto ci è evidente, ma il suo valore formale va sviscerato. Nessun messaggio in codice (se non quello artistico) e nessun segreto per iniziati: l'arte della Sorgato parla di noi e della nostra condizione, nell'era dell'informazione ipertrofica e della messa in discussione di valori e usi e costumi.
Metteremo allora in moto un processo ermeneutico per un'analisi delle storie, delle immagini e delle "allegorie" di una selezione di opere scelte (perché qui come non mai vale l'assunto della parte per il tutto), scoprendone così non solo il senso, ma anche l'appartenenza a un tempo che è anche il nostro: come disse Sgarbi, l'arte è sempre contemporanea.
Tutto il lavoro della Sorgato è dedicato al pregiudizio nel senso semplice della parola: la nostra incapacità e non-volontà di uscire dalla griglia concettuale preimpostata dal chiacchiericcio dominante. Il pregiudizio è come una gabbia nella quale ci siamo autoreclusi (e forse molti di noi non sanno di essere chiusi all'interno di schemi precostituiti). Stiamo parlando di pregiudizi in senso lato culturali, che abbracciano un po' tutti gli ambiti, da Internet all'immigrazione al rapporto fra i sessi.
Al punto che, sulla scorta del filosofo Francesco Bacone, potremmo parlare di veri e propri idoli della mentecherendono difficile l'accesso alla verità (o alle cose come effettivamente stanno): false nozioni che sedimentano nelle nostre teste, un po' perché siam fatti così e un po' perché ce le siamo create noi. In entrambi i casi, proprio a causa di questi idoli/pregiudizi navighiamo costantemente nell'opinione e nel falso dogmatismo.
Un'ironia tagliente è una costante nel lavoro di Chiara Sorgato: lo possiamo considerare come una grande metafora ironica. I temi trattati sono le grandi e piccole narrazioni dell'attualità, che i nostri "eredi" leggeranno sui libri di storia e sui giornali (se mai si continuerà a stampare sulla cara vecchia carta). In queste narrazioni contemporanee si sviluppano i nostri pregiudizi, i nostri "idoli", inquadrabili in due gruppi: il sacro e il profano (inutile aggiungere che le suddette categorie confluiscono l'una nell'altra in un'unica specie di affresco).
Un esempio di pregiudizio è la verginità e almeno due opere ne parlano: L'obelisco delle vergini e Un quadretto familiare.
Nella prima, forme fitomorfiche (volti d'infanti con sembianti di pianta e vegetali) si avviluppano inanellandosi a fanciulle desnude lungo una sorta di obelisco che si innalza su una terra vista come dallo spazio, verso un cielo striato di colori rossi e marmorei.
Un ragionamento sul matrimonio che si rinnova, in maniera ancor più elaborata, nella seconda opera succitata, dove peraltro è massima l'ironia di Chiara Sorgato. Qui i personaggi operano una vera e propria rappresentazione teatrale: in primo piano una coppia di sposi, lei è scollacciata e visibilmente incinta e lui, fisso e sussistente al suo fianco, estrae dalla zona genitale un serpe rosso sangue. A sinistra i genitori della sposa danno luogo a un'ulteriore messinscena: il padre schiaffeggia con la mano aperta le natiche della madre, mentre sulla destra del quadro una fanciulla si nasconde sotto la tunica di un sacerdote. Ai lati della composizione due santi, un uomo e una donna: lei si pugnala alla gola, lui i genitali. L'onore e il disonore, matriarcato versus patriarcato, la "proprietà" del corpo e la fallacia di valori codificati lungo tradizioni e abitudini, l'incertezza di un'idea di società creduta universale ma in realtà votata alla relatività del giudizio. Gli articoli di giornale sono prodighi di episodi di tal fatta: fidanzate che perdonano il proprio aguzzino e adolescenti che si tolgono la vita per la separazione dei propri genitori, senza contare i vari delitti d'onore di cui la cronaca è piena.
E poi, i meno giovani tra noi si ricorderanno certamente dell'epoca in cui la Chiesa teneva in gran conto la verginità prima del matrimonio (e il matrimonio stesso), secondo un "discorso" in difesa della famiglia "tradizionale" che ora si contrappone alle unioni di fatto, come nel quadro dal titolo Il ruolo sacro.
Qui l'ironia di Chiara Sorgato è palese . Oggetto: la maternità. Soggetto: due donne, vessillifere di uno stendardo color rosa e abbracciate l'una all'altra sul dorso di un cavalluccio marino. Interpretazione: il ruolo sacro della femmina (attenzione: la femmina, non la donna..."dis/animalizzata") si ribalta nella condizione laica. Indizio iconologico: il cavalluccio marino su cui le due donne (anzi le due femmine) siedono appartiene a uno "strano" genere di natura, "scandalo" biologico come quel batrace chiamato Axolotl che si riproduce allo stato larvale. Il ruolo sacro enfatizza a livello simbolico il riferimento alla recente legge sulle unioni civili e alla discussione sulla maternità surrogata (appunto, il sacro s'è fatto laico), nel pieno di uno scandalo non più biologico ma sociale. Ma è solo un problema di tipo informativo.
Consideriamo il quadro Cuore duro, mente molle: qui è presente un riferimento biblico al cuore del Faraone (Libro dell'Esodo: la Sorgato è un'atea devota, lettrice di testi sacri). Anche questo è un quadro piuttosto complesso, che possiamo "scomporre" così: 1) al centro una donna e uno schermo (di un pc o di una tv) rappresentano la diatriba sul modo in cui i "giovani" e i "vecchi" si informano (ma poi, si informeranno veramente costoro? Io ho seri dubbi a riguardo), via web i primi o via tv i secondi ; 2) sul lato sinistro del quadro, dall'apertura di quella che potrebbe essere una dimora aristocratica, due donne coi seni scoperti, molli e "decadenti", guardano al centro a simbolizzare il disagio della civiltà (nei tempi antichi non ci si vestiva e ci si lavava di meno); 3) sul lato destro, dall'interno di una specie di grotta, una donna si nutre di frattaglie crude, come facevano una volta gli uomini delle caverne e come fanno attualmente i crudisti. Da questo universo sconclusionato (perché sconclusionato è il mondo stesso qua fuori) sulla destra cala dall'alto (secondo prassi) il giudizio divino insieme al diavolo (qui, non più secondo prassi) raffigurato in forma di gallo, mentre a sinistra si palesa un piccolo triangolo, ovvio riferimento a Dio.
In Cuore duro, mente molle è totale l'esplicitazione degli idola, i falsi problemi che offuscano le nostre teste: ci si informa poco e si crede di saperla lunga, spacciando per verità nozioni imparaticce ex post ed esercitando una specie di polizia del pensiero manichea con la pretesa di dividere nettamente il grano dal loglio, il bene da una parte e il male dall'altra (il male sono gli altri, ovviamente. Parafrasando Sartre). "Altri" che sono (anche) i mal/desiderati di altre terre come i migranti (termine politicamente corretto.
E anche questa è una gabbia per il pensiero, tema affrontato nell'opera sottilmente ironica, sia nel titolo che nel contenuto, Battaglia navale: tutto, nei quadri di Chiara Sorgato, è sconclusionato, perché riflette simbolicamente situazioni, pensieri e sentimenti "veri" e attuali che sono essi stessi intrinsecamente sconclusionati, mal riposti e mal/intesi. In quest'opera, sul lato sinistro vediamo un gruppo di lebbrosi addobbati come gli incappucciati del gruppo nazi-razzista Ku Klux Klan le fiamme del loro odio (che nella storia del Novecento sono state vere fiamme) nella finzione di Battaglia navale avviluppano l'imbarcazione sulla destra, che rispetto alla "realtà" di oggi è un exemplum delle tragedie del mare che noi conosciamo bene (pensiamo alla nostra Lampedusa). In cielo, in alto sul quadro, un teschio: simbolo di morte, certo, ma che la Sorgato ci fa intendere con cruda ironia primariamente come simbolo dei pirati. Un "fuori onda" o fuori luogo, come l'intolleranza nei confronti dell'altro da sé (e qui abbiamo fatto il nostro compitino politically correct).
Ma, giunti a questo punto, non saremo tutti quanti indistintamente prigionieri di griglie come in una sorta di Matrix? E queste stesse opere, non saranno anch'esse "inconsapevolmente" racchiuse in un'eterna ghirlanda senza uscita?
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