Qualche mese fa è toccato al Chameleon, il nostro caffè preferito sotto casa, un tempo frequentato dagli scrittori della zona che si piazzavano lì a scrivere per tutto il giorno sotto il benevolo sguardo di Melanie, la simpatica gestora. Mr K ci aveva passato anni, lì dentro. In questo caso pare che il proprietario fosse infastidito dai bambini che scrivevano con "scivolosi gessetti" sul marciapiede, e dal food truck (uno dei tanti furgoni-ristoranti ambulanti che vanno tanto di moda in città) che si fermava lì davanti una volta alla settimana. Ora rimarrà così, sbarrato, chissà per quanto: la città più ricca degli Usa sta cominciando ad assumere l'aspetto di una città depressa, perché - come raccontavo a Spicy Ginger Ale che a New Orleans ha un problema analogo - tutti i baretti e i negozietti per gente normale chiudono e non vengono sostituiti da niente perché con un'attività normale nessuno può permettersi di pagare gli affitti osceni di questa città.
Il Chameleon ieri
Il Chameleon oggi
Insomma, se a casa mia, in Italia, posso stare certa che se esiste un bel prato arriverà presto qualcuno a distruggerlo, qui ormai non ho più dubbi che se esiste un locale che mi piace - non fighetto, non caro, con un'atmosfera simpatica, magari con bella musica - prima o poi arriverà qualcuno a farlo chiudere. Che palle, però. Ma quand'è che scoppia, questa bolla della tech economy? Voglio sedermi sulla sponda del fiume e vederne passare il cadavere.(L'ultima notizia è che la città non riesce più a trovare insegnanti per le scuole pubbliche, perché con uno stipendio di insegnante non ci si può permettere di abitare a San Francisco. Naturalmente lo stesso vale per anche per altri fornitori di servizi essenziali, tipo infermieri, pompieri, spazzini... vi ricordate come finiva re Mida?)