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Io e i 40 anni

Creato il 27 gennaio 2011 da Mcg
Io e i 40 anni
...All my life they said Iwas going down,but I'm still standing,stronger, proud.And today I know there'sso much more I can be.

From where I stand at the crossroads edge,there's a path leading out to sea.And from somewheredeep in my mind,sirens sing out loudsongs of doubtas only they know how.But one glance back reminds, and I see,someone else not me.I keep looking backat someone else... me?(From  Someone Else?Queensryche)


Giunto più o meno nel mezzo del cammino (non oso augurarmi più degli anni che ho perché non sono ossessionato dalla vita al punto da preferirmi ebete purché vivo), è venuto il momento di stilare una sorta di resoconto di quello che sono. Non voglio certo propinare una tediosa biografia, in fondo qui sono una realtà virtuale: a nessuno importa cosa ha fatto, dove è nato o dove abita chi scrive. Al limite importa chi sia lo scrivente, cosa pensa, in cosa crede.

Io e i 40 anni

lato oscuro

Cominciamo premettendo che non è mai facile confrontarsi con sé stessi; c'è una sorta di pudore che ci sconsiglia di metterci a nudo, non tanto per i propri difetti, quanto al contrario, nell'elencare pregi e successi. Si rischia fortemente di cadere nella vanità o ad indurre chi legge a credere di avere a che fare con una persona piena di sé. Anche nel caso opposto comunque ci sono difficoltà non da poco: non è scontato che si minimizzi il proprio lato oscuro, anche in buona fede, giacché come umani siamo portati, forse anche per una questione di sopravvivenza, ad indulgere sui propri difetti, non fosse perché li percepiamo, se li percepiamo, in modo soggettivo e soprattutto di parte.
Ad ogni modo spero che quanto sto per scrivere non suoni come un auto celebrazione: sarebbe ridicolo.
Inizio dunque a tirare qualche somma e a presentarmi, in primo luogo in senso letterale, cioè a presentare la mia persona a me stesso: se lo faccio con voi è puramente casuale, in fondo se passate di qui è siete arrivati a leggere fino a questo punto dovete per forza considerarvi dei casi.  Se poi doveste insistere a leggere, alla fine dovrete convenire che più che miei sono stati "casi" vostri.
Comunque sia, scriverò a ruota, in modo caotico: il metodo che più mi conviene e , ahimè, mi rappresenta.
Una cosa di cui vado fiero (meglio iniziare bene), è l'approccio che ho della vita. Sono convinto che non si debba spendere la propria esistenza per diventare qualcuno, ma per diventare sé stessi. E' mia opinione che non siamo perché siamo, ma perché diveniamo, e credetemi divenire me stesso non è un impresa facile; non lo è stata in passato e non lo è neppure ora. Mi sono scelto difficile e, di fatti, è anche difficile sopportarmi.
C'è chi mi reputa saccente, sbagliando: la realtà è che sono logorroico, questo sì: se sia ha pazienza di ascoltare i miei monologhi si scopre che ripeto il concetto almeno due volte con parole diverse. Brutta cosa, invero: spesso, quando e se me ne rendo conto, scopro di aver annoiato a morte il mio interlocutore.Ad ogni modo, per essere saccente occorre che uno sia convinto di sapere, mentre io dubito di tutto, e la genesi di una mia idea passa attraverso le forche caudine di un lungo dubitare.
Da ex (neppure tanto ex, per il vero) timido, tendo spesso a fare freddure, o battute in genere poco capite, specie dalle donne, anche se ho il sospetto che quando si dice che l'ironia è dote rara in una donna, non sia proprio del tutto un luogo comune. Forse non ho la voce giusta per essere simpatico. Anzi a dirla tutta credo di odiare la mia voce: quando mi sento in una registrazione mi trovo terribilmente antipatico, cosa che la cadenza brianzola, credo, acuisca non poco (però leggo bene, almeno così dicono). Forse, e più probabilmente, sbaglio i tempi: per quello bisogna essere dotati.
Non temo di giudicare, anzi il mio motto è "giudico quindi sono". Per coerenza non temo il giudizio altrui, sia esso lode o critica, non fosse perché sia l'una che l'altra mi costringono a rivalutare i giudizi che ho su di me e, dunque, a conoscermi meglio. Di contro, odio le sentenze, ovvero i giudizi definitivi, tombali. Nella sentenza tutto è bianco o nero, o meglio Ragione o mancanza di Ragione. In tal senso, e solo in tal senso, reputo esatte le parole di chi dice che solo gli imbecilli non cambiano idea. Ecco perché ho scelto come frase di questo blog le parole che Giordano Bruno pronunziò di fronte ai giudici che lo volevano in ginocchio ad ascoltare la sentenza di morte a suo carico: 
Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam
ovvero "Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io ad ascoltarla".
Nel giudizio risplende la fiamma della saggezza, nella sentenza, la tenebra di una sconfinata quanto miserabile vanità.

Io e i 40 anni

...The wind will blow into your face
As the years pass you by
Hear this voice from deep inside
It's the call of your heart...
(Send me an Angel - Scorpions)

Amo le donne, sebbene abbia deciso di dedicare la mia vita a solo due di esse: la mia compagna e, da qualche anno, mia figlia.Dell'universo maschile vi è piena la letteratura, mentre il mondo femminile rimane forse l'ultimo territorio davvero inesplorato di questo mondo (non solo per un uomo...). E' incredibile scoprire quanto diverse esse possano essere dai maschi, quanto sappiano essere forti nelle loro debolezze e quanto poi, inaspettatamente fragili.
E, più affascinante di tutto, è il continuo riscoprire la loro complementarietà all'uomo. Sarà un concetto banale, ma è un concetto che non finisce di ammaliarmi, un po' come lo splendore del tramonto. 
Odio la religione. Odio è una parola grossa, me ne rendo conto, forse sarebbe meglio declinarla in un concetto meno assoluto. In fondo non sono neppure sicuro di sapere cosa sia l'odio. Diciamo che, comunque, aborro il concetto di religione, intesa come istituzione sociale. Non mi piace l'idea che qualcuno codifichi Dio ad immagine della sua volontà, si autoproclami interprete esclusivo e tenti di governare in tal modo le coscienze di tutti. Puzza di truffa, ed per di più l'immagine di divinità che traspare è decisamente sconsolante, guarda caso l'immagine dell'uomo. Odio la religione, ma ne sono attratto al punto da pensare di essere ateo: come diceva il Nobel per la letteratura Henrich Boll
 Gli atei annoiano perché parlano sempre di Dio
ed io , di Dio e religione parlo spesso. In realtà ateo non sono: a volte, ma non sempre, mi piace credere, nell'intimità dei miei pensieri, di essere io Dio. Una piccola infinitesima parte, naturalmente, nulla di più, ma nemmeno nulla di meno. Forse ognuno di noi è Dio, solo che non ha ancora imparato a comportarsi come tale.
Se parlo di Dio, comunque è perché mi affascina l'assoluto.
Ad ogni modo, quando parlo di religione annoio, di questo sono sicuro.
Spero di non farlo quando scrivo.
Ho sempre considerato me stesso un buon osservatore. Mi piace osservare, non fosse altro perché non sono molto bravo a fare (in qualche cosa me la cavo però). E' una dote che mi aiuta a comprendere le persone e cinicamente a classificarle. Da questo punto di vista penso sarei stato un ottimo insegnante: era il mio sogno.
La più penosa rinuncia della mia vita è stata dover smettere di studiare (a scuola). Continuare come autodidatta non è facile, l'accesso alle informazioni è limitato, e comunque sia, il tuo sapere non è certificato, cosa che in un mondo di etichette ha purtroppo un suo peso. Ecco, se fossi laureato non mi sarei vergognato a vantarmene, ma forse il non esserlo mi ha permesso di rimanere più umile.
Scrivevo poesie, o come preferivo chiamarli, pensieri. Non ne scrivo più da molto tempo.
Per scrivere poesie bisogna  in qualche modo soffrire, per mia fortuna ciò mi capita oramai solo di rado, spero non sia per cinismo. Comunque sia, ne ho scritte alcune di cui vado stupidamente fiero, altre restano lì, come qualcosa di incompiuto, a ricordarmi che sono uno scrivente e nulla più.
Non mi piacciono le imposizioni, le scelte obbligate: se devo scegliere tra due sentieri non è raro che possa decidere di inoltrami tra i rovi. Il più delle volte ci si ferisce, ma non si può pensare di aver visto tutto stando sul ciglio di un sentiero, fosse anche irto e stretto come quello delle metafore.
So uccidere. Non nel senso che l'ho fatto davvero, ma nel senso che so di poterlo fare. Ho avuto un'arma in mano e l'ho estratta per difendermi; se avessi potuto vedere l'assalitore l'avrei ammazzato: ho udito uno sparo e  pochi istanti dopo il sibilare del proiettile: con mio stupore ero freddo e concentrato e so di per certo, ma non chiedetemi come, che non avrei provato rimorso a premere il grilletto ed uccidere chi mi voleva morto. Chi di mestiere usa le armi sa che non per tutti è facile premere il grilletto quando davanti hai un uomo.
Ad ogni modo, in quell'occasione ero soldato, in missione, infermiere militare e se servisse a riabilitarmi dall'immagine sopra evocata, ho messo a repentaglio la vita non tanto per uccidere ma per salvare vite umane: si temeva fosse peste polmonare. Mi è valso un encomio solenne, insieme al portaferiti e fratello (certe esperienze legano gli uomini al di là del tempo e dello spazio) Simone C.:
A soldato McG effettivo al reparto sanità Centauro
Militare impegnato nell'ambito della Operazione Ibis presso l'Ospedale Militare di Johar, si prodigava in maniera esemplare nell'opera di assistenza alla popolazione somala . In particolare trovatosi a dover soccorrere alcuni indigeni bisognosi di immediate cure, perché affetti da malattie gravemente contagiose, coadiuvava  con profonda abnegazione gli Ufficiali Medici nel loro compito, sprezzante del pericolo di contagio, mostrando in tal modo tangibile solidarietà umana
Non l'ho mai riportato in alcun posto prima d'ora, per quel pudore di cui dicevo all'inizio; lo faccio non senza sentirmi a disagio.
L'Africa me la porto nel cuore. Non ci ho passato molto tempo, o meglio non nel senso di ore, giorni e mesi. In Africa il tempo non scorre, ti ferma. Saranno stati i turni infiniti di lavoro, il nero assoluto della notte, gli occhi dei bambini, la miseria, gli spazi sterminati, il richiamo della terra, persino l'incredibile rassegnazione alla morte. Ecco, se dovessi riassumere in una sola frase la mia vita scriverei "Io mi sono fermato a Jalalaqsi".
Preferisco la notte al giorno, mi affascina il crepuscolo quando il cielo scurisce dopo che il sole si è abissato oltre l'orizzonte; mi piace la notte, i suoi suoni puliti, il suo canto.... e mentre guardo la sua pace dorme, quello spirto guerrier ch'entro mi rugge... 
Non sono schierato politicamente, non fosse perché nel nostro Paese la politica è disgustosa. Ogni idea potrebbe essere buona se applicata al momento giusto, ma sono gli uomini che davvero contano, e i politici italiani fanno ribrezzo: gente senza pudore e senza attributi. Qualunque idea nelle loro mani diverrebbe merda: per osmosi.
Sono per la libertà comunque e sempre: ho visto morire per la libertà e, senza dubbio, è preferibile morire di libertà, sebbene il primo tipo di morte sia eroico il secondo stupido.
Sono iroso. Talvolta, non sempre: in genere mantengo la calma e rido, per lo più mi rifugio nell'ironia e nell'autoironia. Ma a volte esplodo e quando lo faccio perdo il controllo. Per mia fortuna non sono un violento, non con le mani per lo meno. Ma con la bocca spesso so esserlo, soprattutto da quando ho imparato ad assumermi la responsabilità delle mie affermazioni ed ho imparato che chiedere scusa non è cosa da deboli. Certo,  le scuse spesso non bastano, anzi non bastano mai. E' bene saperlo, quando si offende qualcuno.
Sono lento al perdono perché non so dimenticare le cose che contano. Non sono un rancoroso, beninteso, semplicemente non sono un ipocrita. Anzi per essere sincero penso di non aver mai perdonato qualcuno per davvero; non fino in fondo. Non se mi sono sentito tradito.
Per questo la lealtà per me è un valore assoluto: mi piace mettere in chiaro le cose da subito e poi attenermi, anche se il rischio è alto.
Allo stesso modo non dimentico coloro che mi hanno aiutato, per loro non esiste notte o giorno.
Non ho mai tradito, né l'amore, né l'amicizia, né negli affari.
Non mi piace l'idea che debba essere virtuoso per guadagnarmi qualche cosa in un ipotetico al di là. L'unica certezza che abbiamo è questa vita ed è così preziosa, in quanto effimera, che dobbiamo per forza tendere a divenire migliori: sarebbe preciso dovere lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo ereditato. Prendere come scusa la brevità della vita per "godersela" senza altri fini denota una pochezza di ideali che mi urta. Con questo, non voglio dire che non sappia divertirmi.
Penso che i figli siano sempre migliori dei padri, ma raccolgono il frutto della semina altrui, lungo solchi non da loro scavati. Quando qualcuno dice "i giovani di oggi sono peggiori di quelli di una volta" dichiara implicitamente il proprio fallimento e in qualche modo la propria stupidità. E' lapalissiano che  le generazioni successive siano sempre migliori delle precedenti, viceversa saremmo ancora a nasconderci nelle caverne e ad aspettare che un fulmine generi il fuoco.
Non sono razzista, ma confesso, in Africa un somalo bevve dalla mia bottiglia ed io non riusci più a berci. Eppure ho mangiato cavallette fritte. Ho amici gay, ma mi da fastidio vedere che si baciano.
A volte credo di essere un po' stupido. Per queste cose un po' mi vergogno.
Infine una curiosità, visto che scrivo in un blog chiamato "Il Pensatoio di McG" svelo la banale origine del nomignolo McG. Stavamo andando a fare una passeggiata in bicicletta con degli amici quando mi si è rotta la catena. Dopo aver abbondantemente inveito contro la sfortuna mi sono ricordato di avere nello zainetto il coltellino svizzero. Ho tagliato le stringhe delle scarpe e con esse ho giuntato la catena. Sono riuscito a coprire buona parte dei km che rimanevano per tornare a casa. Un amico stupito mi paragonò al personaggio della serie tv MacGyver e un altro, parafrasando il mio cognome lo corresse in McGallant. Mi piacque. Anche questo sono io.
Ah! Domani avrò 40 anni, e sono vivo!

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