La storia è tratta dall'omonimo libro di Niccolò Ammaniti, che personalmente non ho letto e non ho intenzione di farlo. Quello che infatti colpisce dell'ultima opera di Bertolucci non è la sua storia, che a lettura di trama non colpisce di sicuro per l'originalità, ma è la capacità della macchina da presa di osservare e catturare la naturalezza di quei due corpi chiusi nella cantina: Jacopo Olmo Antinori (Lorenzo) e Tea Falco (Olivia). I due attori sembra che non si limitino a interpretare i loro personaggi, ma a viverli. Più i minuti della pellicola scorrono, più si schiudono, più si sfiorano, si toccano, si aggrediscono, si ravvicinano e si legano. E' un processo straordinario che avviene senza che lo spettatore se ne renda conto. La fotografia di Fabio Cianchetti gioca con i contrasti tra la luce fioca e calda delle lampade e le ombre nette e ampie della cantina, dando ai volti dei personaggi una deformazione tale da accentuare la loro natura multiforme e in continua espansione. Quella cantina diviene un luogo senza tempo, dove due anime ribelle cominciano a scoprire dei valori confrontando le loro storie, è una rottura al tempo frenetico dell'ordine quotidiano. La metafora del formicaio che viene accidentalmente distrutto durante lo scontro tra Olivia e Lorenzo, diviene esemplificativo per descrivere questa rottura violenta, ma necessaria per la conquista della libertà. Colpisce Olivia, quando ripresa dall'astinenza, comincia a parlare del suo lavoro fotografico (che è quello della vera Tea Falco) in cui sottolinea la necessità di eliminare ogni punto di vista per ritrovare quell'armonia, solidarietà che è il fondamento del legame umano.Un'ultima cena e un ballo d'addio sotto le note di "Ragazzo solo, ragazza sola" di David Bowie, ci regalano uno dei momenti più intensi del film. Segue l'ultimo pianosequenza del film (di cui non rivelo il risvolto narrativo per i lettori), girato appena dopo l'ora blu dell'alba, che si conclude con un zoom sul viso di Jacopo/Lorenzo rivelando una luce diversa nei suoi occhi e nel suo sorriso. Una scelta stilistica che non può non ricondurci direttamente al ribelle Antoine Doinel de I 400 Colpi, ma che non soffre di citazionismo intellettuale (come "The Dreamers") perché "Io e Te" è un'opera concepita e vissuta con il cuore.
La storia è tratta dall'omonimo libro di Niccolò Ammaniti, che personalmente non ho letto e non ho intenzione di farlo. Quello che infatti colpisce dell'ultima opera di Bertolucci non è la sua storia, che a lettura di trama non colpisce di sicuro per l'originalità, ma è la capacità della macchina da presa di osservare e catturare la naturalezza di quei due corpi chiusi nella cantina: Jacopo Olmo Antinori (Lorenzo) e Tea Falco (Olivia). I due attori sembra che non si limitino a interpretare i loro personaggi, ma a viverli. Più i minuti della pellicola scorrono, più si schiudono, più si sfiorano, si toccano, si aggrediscono, si ravvicinano e si legano. E' un processo straordinario che avviene senza che lo spettatore se ne renda conto. La fotografia di Fabio Cianchetti gioca con i contrasti tra la luce fioca e calda delle lampade e le ombre nette e ampie della cantina, dando ai volti dei personaggi una deformazione tale da accentuare la loro natura multiforme e in continua espansione. Quella cantina diviene un luogo senza tempo, dove due anime ribelle cominciano a scoprire dei valori confrontando le loro storie, è una rottura al tempo frenetico dell'ordine quotidiano. La metafora del formicaio che viene accidentalmente distrutto durante lo scontro tra Olivia e Lorenzo, diviene esemplificativo per descrivere questa rottura violenta, ma necessaria per la conquista della libertà. Colpisce Olivia, quando ripresa dall'astinenza, comincia a parlare del suo lavoro fotografico (che è quello della vera Tea Falco) in cui sottolinea la necessità di eliminare ogni punto di vista per ritrovare quell'armonia, solidarietà che è il fondamento del legame umano.Un'ultima cena e un ballo d'addio sotto le note di "Ragazzo solo, ragazza sola" di David Bowie, ci regalano uno dei momenti più intensi del film. Segue l'ultimo pianosequenza del film (di cui non rivelo il risvolto narrativo per i lettori), girato appena dopo l'ora blu dell'alba, che si conclude con un zoom sul viso di Jacopo/Lorenzo rivelando una luce diversa nei suoi occhi e nel suo sorriso. Una scelta stilistica che non può non ricondurci direttamente al ribelle Antoine Doinel de I 400 Colpi, ma che non soffre di citazionismo intellettuale (come "The Dreamers") perché "Io e Te" è un'opera concepita e vissuta con il cuore.
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