Magazine Cinema

“Io e te”: Bertolucci e l’equivoco dell’«irruzione»

Creato il 23 ottobre 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

“Io e te”: Bertolucci e l’equivoco dell’«irruzione»

Anno: 2012

Data di uscita: 25 Ottobre 2012

Distribuzione: Medusa

Durata: 97′

Genere: Drammatico

Nazionalità: Italia

Regia: Bernardo Bertolucci

Non c’era bisogna di confessarlo pubblicamente: il Sé grandioso di Bertolucci è evidente. Lo si evince dalla mobilità frenetica della macchina da presa, che si produce in maestosi dolly, carrelli in avanti e indietro, a destra e sinistra, deflagrando su uno spazio vuoto occupato soltanto dal flusso orale di un dialogo; dalle prospettive inusuali di osservazione a partire da cui si dipana una spirale avvolgente che tesse una tela su cui rimangono impigliati brandelli di fotogrammi, miracolosamente sfuggiti al moto continuo; dalla plasticità dei corpi sottratti alle retrovie putrescenti della macelleria baconiana e magnificamente esposti alla luce piena di grazia di Storaro. E poi gli interni, l’interno, lo spazio chiuso, in cui opera una forza centrifuga che schiaccia la carne sui pavimenti, sulle pareti, come il rotor de Les quatre cents coups, e lo sguardo dello spettatore è scaraventato dal perimetro dello schermo alla circonferenza di un oblò, costretto a testimoniare di un risciacquo di panni che sembra non avere fine. Ma poi, finalmente, qualcosa irrompe…….

Si, nel cinema di Bertolucci c’è sempre un elemento proveniente dall’«esterno», un significante che marchia ‘capricciosamente’, che fa trauma, che interrompe la temporalità-flusso degli interni, infliggendo una ferita/apertura attraverso cui guadagnare la soggettività.  Allora non resta che scendere in piazza, convogliando nei cortei di protesta del Maggio francese, o uccidere un amante dotato di un’ironia quasi impietosa, o ancora, come nel caso dell’ultimo film, Io e te, esporre il movimento ripetitivo ed ellittico di un adolescente misantropo alla danza scomposta della sorellastra tossicodipendente.

Insomma, nonostante la formazione pasoliniana, Bertolucci, pur raggiungendo livelli poetici considerevoli,  non assimila il nucleo teorico fondamentale del suo maestro, quello esposto nel dialogo tra i due centauri e Giasone in Medea (1969):

- Ma è una visione? (Giasone)

- Se lo è, sei tu che la produci. Noi due siamo infatti dentro di te. (secondo centauro)

- Ma io ho conosciuto un solo centauro. (G.)

- No, ne hai conosciuti due: uno ‘sacro’, quando eri bambino, e uno ‘sconsacrato’, quando sei diventato adulto. Ma ciò che è sacro si conserva accanto alla sua nuova forma sconsacrata. Ed eccoci qua, uno accanto all’altro. (s. c.)

- Ma qual è la funzione del vecchio centauro, quello che ho conosciuto da bambino e che tu centauro nuovo, se ho ben capito, hai sostituito, non facendolo scomparire ma sostituendoti a lui? (G.)

- Esso non parla naturalmente perché la sua logica è così diversa dalla nostra che non si potrebbe intendere. Ma posso parlare io per lui. [……] (s. c.)

Il nodo concettuale consiste nel saper distinguere la giustapposizione (conservazione e coesistenza) dalla dialettica – nella fattispecie dentro/fuori -, altrimenti il rischio che si corre è quello di presentare, finanche su un piano psicologista, una contrapposizione di immagini causata da un evento (traumatico), ponendosi, in tal modo, in attesa di una chimerica sintesi. Ma in realtà – ed è questo il punto – è il soggetto a produrre l’evento e, contemporaneamente, ad assistervi. Bertolucci comprende, in parte, il rapporto dritto/rovescio che intercorre tra interno ed esterno, ma non porta fino in fondo questa intuizione, nella misura in cui si affida all’irruzione come elemento risolutore.

Detto in altri termini, Lorenzo (l’esordiente Jacopo Olmi Antinori) non subisce, a rigore, nessuna invasione da parte della sorellastra (Tea Falco) che non vedeva da molti anni, in quanto quest’ultima, sotto forma di virtualità attualizzata, è sempre presente nel suo percorso di crescita. Fatti salvi l’equivoco dell’irruzione e, ovviamente, del passaggio dall’interno all’esterno finale, Bertolucci ha almeno il pregio di correggere il romanzo di Ammaniti, laddove preferisce far sopravvivere la sorellastra, che come forma ‘sacra’/passata si conserva accanto a quella ‘sconsacrata’/attuale di Lorenzo.

Ma poi, nonostante tutto, come rimanere indifferenti all’abbraccio dei due protagonisti, alla speranza di una liberazione, a quel fotogramma finale? Bertolucci fa auto analisi, preserva la propria fanciullezza e ce ne fa dono, mantenendo un candore che spiazza. Non lo si può liquidare. È come un amico. Come smettere di volergli bene?

Luca Biscontini

“Io e te”: Bertolucci e l’equivoco dell’«irruzione»
Scritto da il ott 23 2012. Registrato sotto IN SALA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :