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IO ERO L’AFRICA – di Roberta Lepri

Da Dedalus642 @ivanomugnaini

ImmagineL’Africa continente reale, pulsante di vita, dolore e passione, ma anche dimensione interiore, ineluttabile zona di confine tra paradiso e abisso, Cuore di Tenebra e Karen Blixen, sudore, sangue, incubo e sogno.

Un libro, quello di Roberta Lepri, da leggere come testimonianza di una storia, la vicenda di una famiglia, ma anche come un libro di formazione e di viaggio, dentro la geografia interiore, i meandri delle verità.

Pubblico qui di seguito la scheda del libro e una recensione firmata da Massimo Onofri.

Buona lettura, IM

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IO ERO L’AFRICA

di Roberta Lepri

La piccola Bianca sembra avere un unico scopo nella vita: ricostruire le vicende dei nonni in Africa. Così, scava con mille domande nella loro memoria, fino ad avere due versioni diverse della stessa storia. Angela è stata amata dalla gente del luogo ed è riuscita a realizzare il sogno di suo fratello, il più giovane vescovo d’Italia: fondare una missione vicino al fiume Giuba. L’appassionato racconto della nonna è la celebrazione di un’Africa amica, è l’inno alla gioia di chi si è trovato in armonia con tutta la natura. Teo, invece, socialista ed ex colono, è ancora prigioniero dei propri pregiudizi. Ha sofferto per la lontananza dalla famiglia d’origine, ha avuto verso i Somali un atteggiamento brutale e non ha disdegnato avventure con le giovanissime ragazze del posto pur disprezzandole. Ambientato negli anni Cinquanta, il libro narra, attraverso una scrittura luminosa e di gran fascino, una storia vera di emigrazione e razzismo al centro di un’Africa spietata e bellissima.

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Avvenire | Pagina A12 Venerdì, 14 Febbraio 2014

Romanzi

Nell’Africa nera l’epopea famigliare di Roberta Lepri

MASSIMO ONOFRI

Un nonno: Teo. Una nonna: Angela. E una villa, piena di buone cose di pessimo gusto, esotico e coloniale, che alla piccola Bianca appaiono cariche di mistero: «Era stata costruita alla fine degli anni Sessanta con i soldi ricavati da quella che in famiglia veniva chiamata la campagna d’Africa del nonno, più o meno cinque anni che lui diceva di aver passato a coltivare le banane che invece avevano coltivato altri.

Cioè i neri».Io ero l’Africa,l’ultimo romanzo di Roberta Lepri, muove da qui, dalla discrasia d’uno sguardo, quello di Bianca, che oscilla, sempre più attratta dal fascino di quelle remote latitudini, tra i punti di vista dei nonni, i quali, nel 1954, erano partiti per la Somalia lasciando a casa i figli. Il punto di vista di Teo, mezzadro socialista: che, nonostante il socialismo, considera i somali, che disprezza, come animali da soma o da preda concupiscibile.

Quello di Angela, che è invece riuscita a realizzare il sogno del fratello vescovo, il più giovane d’Italia, fondando una missione nei pressi del fiume Giuba. E in mezzo i figli: che avranno una decisiva importanza in quanto accadrà. Lepri è brava nel far affiorare la storia – una storia di dolori e violenze, cambiamenti drastici come rinascite, fragilità, risentimenti – sull’onda di un’oscillazione che prova, da subito, a riequilibrarsi.

Malgrado l’iniziale reticenza o, forse, proprio in sua virtù: che cala, magari, sulle foto di giovani somale dal sorriso gentile e senza vestiti.

Mentre i «neri» che emergono dai racconti poco condiscendenti del nonno – sottolineati, quei racconti, dall’imbarazzo della nonna – s’impongono nella loro innocenza di sfruttati senza coscienza, di abitanti inconsapevoli d’un paesaggio che Lepri ci restituisce -soprattutto con gli occhi di Angela- in tutta la sua bruciante, commovente, bellezza.

Ecco: se per il nonno quei «neri erano solo testoni», «superstiziosi», «bugiardi» e maleodoranti, per Bianca (ilnomen si nega così, da subito, all’omen), che ammira «la meraviglia lucida» della loro pelle, il nero cessa d’essere il correlativo del pregiudizio, per diventare sinonimo della stessa allegria del vivere. Tutto questo in una prosa limpida appena increspata da qualche lieve metafora. Così, sulla «voce sottile» della nonna: «Pareva lo spiffero del vento tra i buchi delle tapparelle abbassate». Dal numero dei personaggi qui citati – solo alcuni: e nessuno africano – si capisce che questo è anche il romanzo d’una piccola epopea familiare d’emigranti: come ce ne furono, per l’Africa, negli anni Cinquanta. Ma il suo pregio sta proprio nella disponibilità interculturale, nella capacità d’adesione all’“altro” (che è, poi, innocente adesione alla vita), senza indulgere nel mito rousseauiano del buon selvaggio, magari in declinazione terzomondista. E nella decostruzione del nostro etnocentrismo: tanto più convincente perché generata dal candido e tenero sguardo d’una fanciulla in fiore. E lei lo sa: basta chiudere gli occhi e si vede l’Africa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Roberta Lepri

IO ERO L’AFRICA

Avagliano Pagine 176. Euro 13,00

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Pagina A12

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