Ci sono autori che segnano una generazione dando il via a miti, stereotipi e catene indissolubili, nonché (se proprio si è sfortunati) a veri e propri fenomeni sociale. Come dimenticare, anche volendo, Stephanie Meyer ed il ciclo di Twilight ad esempio. Ma non ci sono solo esempi negativi. Ci sono autori che divengono miti, certo, spesso a ragione veduta e che cambiano le regole per sempre.
Poi ci sono scrittori che, per fato o grandi capacità, diventano molto di più ed a distanza di secoli riescono ancora a imperversare nella vita dei lettori, più o meno accaniti che siano.
Jane Austen è così. Ci ha lasciato giovane da quasi due secoli, eppure i suoi sei romanzi fanno parte della formazione adolescenziale e non di qualsiasi donna degna di questo nome. Ed è buffo, perché all’epoca non è che fosse una celebrità, anzi.
Figlia di un pastore anglicano, scrisse sempre sotto pseudonimo ed alla sua morte nipoti e parenti vari bruciarono tutto il non pubblicato, lettere comprese, consci di quanto fosse inappropriato per una donna scrivere e pensare di essee un’intellettuale.
Prima i calzini del marito e la ramazza, sia mai. Ah, e anche la preghiera, che sia chiaro.
Eppure il corso degli eventi l’ha trasformata postuma in un mito che affascina ancora le donne di tutte le età, e prova ne sono i romanzi moderni a lei direttamente o indirettamente ispirati. “Il Caso Jane Eyre”, “Shopping con Jane Austen”, “Sognando Jane Austen a Baghdad” solo per citarne alcuni a memoria. Ed anche il cinema non scherza, rinnovando di anno in anno il suo mito con nuove pellicole e citazioni.
Ma è solo l’effetto crinolina al tempo della Reggenza? Nostalgia delle emancipate nonché smutandate donne di oggi verso un tempo in cui tutto era diverso e la donna viveva comoda e si occupava solo di fidanzamenti e feste? Frivolezza? Voglia di sognare di indossare vestiti vaporosi stile impero e cuffiette legate coi nastri? Voglia d’amore?
No, l’effetto Jane Austen è molto diverso.
In un mondo fatto solo di ipocrisia, di formalismi e preconcetti sociali stretti in un bustino coi lacci, come può una donna dotata di intelligenza sopravvivere senza diventare un’emarginata sociale? Possono arguzia e fiducia in sé, condite con una abbondante spruzzata di ironia e sincerità agevolarne la vita e condurla verso la strada del matrimonio d’amore? Secondo la Austen, sì. Le sue eroine, di cui sbeffeggia modi e atteggiamenti da operetta, sono pazienti, maturano, attendono. Ed alla fine coronano il loro sogno d’amore.
Ed è per questo che è bello leggerla.
Non a caso la nostra scrittrice viene definita da Virginia Woolf “l’artista più perfetta tra tutte le donne”.
Certo, c’è da dire che Jane Austen è morta di una malattia misteriosa per l’epoca ed è morta zitella, perché il suo amore fu osteggiato per motivi economici. Quindi, pare predicare bene e razzolare male. Non è molto incoraggiante, specie per le lettrici che sognano un Darcy nel proprio letto ed invece hanno la borsa dell’acqua calda.
Ma Jane Austen fa compagnia, rende le giornate meno buie ed i problemi meno presenti. Inoltre, i suoi sei libri (solo sei, che peccato!) possono essere riletti a distanza di anni ed offrono sempre diversi spunti e modalità consolatorie differenti. E tutto ciò non mi pare poco.
E’ vero, molta della chick-lit che ha invaso il mercato editoriale dagli anni novanta in poi si ispira a lei, e che molti di questi libri sono così infimi da non poter essere letti nemmeno sotto l’ombrellone.
Ma a sua discolpa occorrerebbe notare che ora l’invasione della letteratura rosa è stata surclassata prima e spazzata via poi dalla mania dei vampiri, quindi accontentatevi.
E poi, forse, senza di lei la storia della letteratura femminile sarebbe stata diversa…
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