Così recitava una famosa canzone di Renato Carosone sottolineando il “dramma” della presenza di mamme invasive ed invadenti che, noncuranti di ogni forma di discrezione e tatto nei confronti della vita privata delle proprie figlie, esercitavano un rigido controllo sulla loro integrità morale.
Diciamo che da allora i tempi sono cambiati ma, ad un’attenta analisi, salta subito all’occhio un rovesciamento di ruoli e funzioni al punto che attenzioni e cure sono rivolte, spesso in modo morboso, nei confronti dei figli maschi. Ed in nome dell’universale “amore di mamma” e ben nascosto sotto la tradizionale espressione secondo cui “i figlje so piezze ‘e core”, si consuma quell’attaccamento eccessivo e castrante della madre nei confronti del figlio, e viceversa, che porta spesso ad un ritardo nel conseguimento dell’autonomia personale e dell’indipendenza da parte del giovane. Ed ecco coniati quei termini, usati spesso con accezione dispregiativa, di “mammismo”, “mammone” o “bamboccione”, termini che non sembrano avere corrispettivo nelle altre lingue a prova del fatto che il fenomeno sia tutto nazionale. D’altronde basta dare uno sguardo ad alcuni dati per rendersi conto che negli altri stati europei ed extraeuropei i figli abbandonano la casa materna entro i 25 anni, range dal quale siamo davvero molto lontani. Ma quanto incide la componente culturale, quanto quella economico-sociale e in che misura quella psicologica a spiegare un fenomeno che, per alcuni aspetti, sta diventando anche abbastanza preoccupante?
Di sicuro in Italia, ed in particolar modo nel Sud della penisola, la tradizione familiare è sempre stata molto forte: le esigenze lavorative che portavano i padri fuori casa per l’intera giornata, trasformavano la donna in regina della casa, vestale del focolare domestico, custode della famiglia e responsabile della cura e dell’educazione dei figli che vedevano nella madre il principale punto di riferimento. Ma se il retaggio culturale c’è ed è forte, non possiamo non considerare l’enorme peso che la situazione economica e sociale attuale esercita sull’impossibilità da parte dei giovani di costruire una propria indipendenza.
Disoccupazione e precarietà sono i principali ostacoli al mancato raggiungimento di una vita autonoma, alla mancanza di prospettive, all’incapacità di progettare il proprio futuro e di operare delle scelte che permettano una graduale separazione dalla famiglia d’origine. E così ci si trova spesso a dover frustrare il desiderio di avere uno spazio di vita personale, di creare una famiglia propria, di coltivare e realizzare i propri sogni. Questo stato di dipendenza però, in alcune famiglie, non sempre rappresenta un problema anzi, è molto frequente che madri particolarmente accudenti tendano a ritardare la crescita dei figli maschi per evitare la recisione del cordone ombelicale, per procrastinare quella funzione genitoriale nella quale si identificano totalmente e si annullano. In questo modo la madre finisce per ostacolare inconsapevolmente la crescita del figlio, sostituendosi a lui nelle scelte, creando barriere iperprotettive che possano filtrare qualsiasi esperienza spiacevole indispensabile ad una crescita sana. La madre, così, inizia ad essere idolatrata al punto che, anche quando il figlio creerà una famiglia propria, continuerà a cercare la mamma nella moglie la quale, inevitabilmente, non riuscirà a reggere il confronto: il pollo al forno non sarà mai squisito come quello cucinato dalla mamma e il pesce dovrà essere diliscato proprio come faceva la mamma! Non meraviglia che si senta sempre più parlare in ambito psicologico di sindromi come quella di Peter Pan, intesa come paura di crescere e di assumersi le proprie responsabilità, desiderio di restare perennemente bambini per non affrontare i cambiamenti e gli oneri della vita adulta.
Restando tra il serio ed il faceto, viene da chiedersi: da quanto detto, che ne è dell’immagine del maschio italiano, latin lover per vocazione? La psicologia sembra infierire anche sul focoso ed instancabile amante italico: il latin lover è in realtà un mammone mascherato. Dietro le numerose relazioni brevi ed instabili si nasconde la fuga dalle responsabilità e l’incapacità di instaurare legami sentimentali profondi e duraturi perché l’unico amore che regna sovrano è quello per la madre. Insomma, evitando qualsiasi generalizzazione o strumentalizzazione di sorta del termine “bamboccione”, ma considerando che “la mamma è sempre la mamma” e che “di mamma ce n’è una sola” ( e per fortuna, verrebbe da dire) non resta altro che invitare le donne alla pazienza e alla serena accettazione: nel ménage a tre saranno sempre “Io, mammeta e tu”!