Io mi incontro con te. Cerco di costituire un’occasione per te come riconosco che tu sei un’occasione per me. L’incontro deve essere autentico. Autentico è un modo per dire vero, perché vero è un concetto difficile, impegnativo, non sappiamo mai esattamente cos’è la verità. Autenticità è una parola bellissima, deriva dal greco, significa essere se medesimi. Essere autentico vuol dire essere me davvero, proprio me mentre sto con te: non recito un personaggio, non vendo un ruolo, non faccio come se, non ho obiettivi. Altrimenti l’incontro non funzionerebbe, non capiresti, sospetteresti un trucco, forse un imbroglio. Mi lascio invece incontrare, faccio in modo che tu acceda meglio a me.
Essere autentici è complicato, lo so. Io sono tanti me, sono molteplice. La rara rosa che siamo è numerosa e una. Quale me porto, allora, se voglio essere autentico? Occorre che io sia consapevole. Porto le parti che reputo più spendibili affinché il nostro diventi un buon incontro: non necessariamente propongo tutto me stesso e tutto in una volta, alcune parti le terrò per me perché graverei su di te con un carico troppo ingombrante. Metto dunque a tua disposizione quelle parti che qui e ora reputo appropriate, ma sempre con il vincolo dell’autenticità. Ti presento due cose carine di me, senza esagerare: per adesso va bene così, se vorrai avremo il tempo per approfondire. L’importante è che le parti messe in gioco siano autentiche. Non devi mai pensare che sono impegnato in un gioco relazionale, recito un copione: ciò che è successo tra noi è successo davvero, non perché l’ho fatto accadere tramite un artefatto. È successo così come lo percepisci. Se ti va, puoi starci. Almeno proviamoci.
(Grazie al prof. F.V. che mi ha fornito pensieri e parole. Fotografia scattata a Castello di Populonia l'11 marzo 2014.)