Io no

Da Iomemestessa

Io ho un ego abbastanza ipertrofico, per dire. Ed anche una discreta dose di autostima. Non che le critiche mi scivolino completamente addosso, ma neppure mi scuotono più di tanto.

Detto ciò, mi rendo conto che, più passa il tempo, e più faccio fatica ad avere delle relazioni sociali soddisfacenti, soprattutto con le altre donne.

Quando vivevo nella metropoli, tutto era più semplice. Avevo amiche simili a me con cui condividevo un certo modo di approcciare la vita. Qui, a parte un paio di amiche vere, mi rendo conto di essere, più o meno apertamente, giudicata.

Sono nata qui, sono cresciuta qui, con qualche intermezzo altrove, qui mi sono innamorata, qui vive la mia famiglia. Per dire, non è un luogo a me estraneo. Eppure, mi rendo conto che faccio fatica.

Ho una vita senz’altro complicata, un lavoro che mi porta con una certa frequenza fuori dal Paese e una bambina piccola.

Ecco essenzialmente mi rendo conto di essere sempre più giudicata, soprattutto come madre. Non che mi faccia troppe seghe mentali, mia figlia è una bambina serena, allegra, molto legata a me, che però non fa grandi scene quando mi vede partire. Ha sempre avuto, chiarissimo, il concetto che ‘mamma, tanto, poi, torna’. Per lei è la normalità.

Quella che si sta rompendo un tantino i coglioni sono io. Che mi faccio un mazzo tanto, che corro da mane a sera per essere una professionista competente, una madre attenta, una compagna amorevole, una figlia comprensiva. Diciamolo? Diciamolo. Per fare tutte queste cose, mi faccio un culo così.

Eppure quando mi relaziono col resto del pollaio, mi sento trattata da corpo estraneo, e nonostante io non entri mai nel merito di quello che faccio o non faccio, c’è sempre quel vago (vago un cazzo, a dirla tutta, ma diciamo pure vago) sottinteso che in fondo sono una madre di m… perchè la mia bimba di quando in quando non mi ha a tiro per asciugare le sue lacrime.

E quelle che più ti giudicano, sono quelle che c’hanno tutto un mondo che gli gira intorno, palestra, estetista, picci picci con le amiche davanti all’aperitivo. Quelle che vanno a riprendere la bambina all’asilo e sembrano sempre sul punto di stramazzare dalla stanchezza, mica come te, che in fondo, che mai sarà, ti sei fatta quattrocento chilometri, fatta spaccare i maroni dal cliente ed hai infranto una mezza dozzina di regole della strada e abbattutto due o tre muri del suono per essere lì a raccattare la nana…

E poi. E poi arriva quella che ti chiede perchè lo fai, come se avere una professione e un’ambizione fosse un delitto, e non una libera aspirazione.

E tu che ti sei rotta i maroni una volta di troppo glielo spieghi quietamente. Gli spieghi che non è che le tue competenze professionali sono state espulse insieme alla placenta, che non è obbligatorio e vincolante trascorrere le giornate a fare gli aruspici odorando cacca di bimbo, che non è che ami di meno un figlio se ti occupi di qualcos’altro e che, in ultimo, ti piacerebbe che tua figlia, fra vent’anni non si sentisse in obbligo di dover scegliere tra maternità e carriera, avendo ben chiaro che si possono continuare ad avere entrambe.

Facendosi un culo così, of course.


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