Il progetto Cine-scuola, fondato in okkupazione tre anni fa dalla ‘povna e dalle bimbe, prevede da quest’anno anche una seconda parte, dalle origini più tradizionali e canoniche. In collaborazione con uno dei Cine Club più esclusivi della penisola (secondo solo, probabilmente, a Roma e a Bologna), esperti di Teoria del Cinema giungono dalla piccola città alla città della scuola, e intrattengono gli insegnanti interessati al pomeriggio, con un seminario di approfondimento su questo film o su quell’altro. Gli stessi poi vengono proiettati in sala in matinées apposite, a uso e consumo delle classi, in modo che gli alunni, nell’era dei multisala e dello streaming costante, riscoprano, insieme, il valore di un rituale.
Il primo appuntamento di questo anno scolastico prevedeva l’analisi di Noi siamo infinito, un film che alla ‘povna interessa molto, sia per le tematiche trattate, sia per le specifiche tecniche (molto significativo è l’uso del sonoro in sede di montaggio, per esempio), sia per la peculiarità di produzione. Non capita infatti tutti i giorni che la stessa persona si configuri prima come autore di un romanzo e poi come sceneggiatore, ma soprattutto anche regista, della trasposizione dello stesso testo sullo schermo, realizzando così – all’interno della macchina produttiva – un circolo virtuoso e originale. E’ quello che è accaduto a Stephen Chbosky, e per questo, e altri motivi, la ‘povna aveva approvato senza condizioni la scelta. A voler poi essere precisi precisi, in sovrapprezzo, c’era pure la questione del tema di fondo: perché il romanzo/film è di quelli che seguono la grande tradizione americana dell’attraversamento della linea d’ombra (“coming of age”, dicono nel mondo anglosassone, e la definizione è perfetta) e si colloca dunque, consapevolmente, in quella linea ideale che parte da Mark Twain e arriva ai giorni nostri, passando nel mezzo per i consueti grandi classici: Huck Finn (che vuol dire anche il Peter Pan di Barrie), Il buio oltre la siepe, Stand By Me, ma anche Il giovane Holden; così come tutta una serie di imitatori postmoderni (tra i quali si possono iscrivere Lansdale, Fuhrman, e appunto Chbosky). Si tratta di autori sui quali la ‘povna ha scritto e pubblicato (abbastanza), ma soprattutto sui quali ha discusso, volta per volta, con le classi. E proprio per questo il percorso suggerito con Noi siamo infinito le sembrava promettente ed efficace.
Arriva il giorno del seminario, si parte con l’analisi. Al termine di due ore dense, e piene di approfondimenti interessanti, la dottoressa Stranamore conclude il suo discorso e alza lo sguardo: “Per oggi è tutto, che ve ne sembra?”.
La ‘povna e alcuni altri colleghi annuiscono contenti: “Un film pieno di spunti, grazie! Il problema sarà fermarsi, più che iniziare a lavorarci…”.
Non hanno tenuto conto di un brusio che arriva dal fondo sala, e si fa sempre più presente.
“Mah. Io veramente ho delle perplessità forti”. La voce è quella di Aloof, insegnante Lettere. Passa per molto brava (ma alla ‘povna, molto spesso, sembra fuffa: pretenziosa, finto-dialogante, saccente; ma molto poco duttile, andando a scavare).
“E quali perplessità hai mai, Aloof, cado dall’albero?” – replica genuinamente sorpresa la ‘povna.
“Ma come? I temi di cui parla sono molti, e sono forti!” – il tono di Aloof è quello paternalista del ‘meno-male-che-ci-sono-io-se-tu-non-te-ne-rendi-conto’.
“Certo che ci sono, e per fortuna, anche, ma sono trattati con delicatezza; e, soprattutto, consapevolmente inseriti in una fortissima tradizione letteraria”.
“Vuoi dirmi che di questi argomenti tu parli correntemente alle tue classi, ci hai fatto un progetto?”.
Alla ‘povna la mosca al naso inizia a saltare con una certa virulenza.
“Oh sì, è un progetto globale: si chiama ‘vita’, pensa”.
“Ma io non intendevo quello, non mi hai capito” – ad Aloof fare la maestrina è sempre piaciuto un sacco. “Intendo dire che io non me la sento di parlare ai miei ragazzi [la metà dei quali già correntemente maggiorenni] di questioni forti come molestie da parte degli adulti, e per di più da parte di una donna!, disagio, omosessualità e droga a scuola”.
Detta così, pare che stiano per andare a vedere (e peraltro, è un film splendido) L’odio di Kassovitz. La verità è che il pericoloso concentrato di Sodoma e Gomorra evocato da Aloof si dipana progressivamente in una serie di tematiche che si intrecciano nella trama con rigore e nessun calligrafismo. Ma soprattutto (ed è su questo che la ‘povna ha risposto): “Beh, a maggior ragione, visto che queste cose esistono, forse è più saggio che gliene parliamo noi, a partire da un’occasione didattica, piuttosto che lasciare che le subiscano e basta. Non è così che le cancelli”.
Ma Aloof è turbata, non si capacita: “Sì, ma tu ci hai il progetto; noi, così dal nulla, non vorrei che gli studenti si turbassero”.
Per fortuna il custode del Comune arriva a chiudere, con la sala, ogni discussione sterile. La ‘povna prende il treno, arriva a casa, e scrive come di consueto a tutto il gruppo di insegnanti. Invia materiali (il file del libro, e anche copia del suo saggio, su richiesta), ricorda date e scadenze, chiede loro (e in particolare ad Aloof, che di questo si occupa) di inviarle le adesioni il prima possibile.
Alcuni colleghi, nonostante non spetti a loro, mandando subito risposta. Da quella parte, il silenzio. Così ieri, per la quarta volta, la ‘povna scrive ad Aloof, chiedendo conferme. Il mail di risposta è un capolavoro di pelo sullo stomaco: “Cara ‘povna, sono stata malata, per questo non so dirti quali classi vengano a vedere il film. Ho chiesto a una collega di mettere un promemoria in sala insegnanti. Io, comunque, non credo che verrò”.
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