A quali concetti di fondo risale l'etimologia del verbo "adeguare"?
Riprendendo parole presenti in rete, è possibile fare riferimento a due punti essenziali:pareggiare, paragonare.
Come agisce chi cerca di adeguarsi passivamente, volta per volta, alle decisioni stabilite da altri?
Chi si adegua, a prescindere dai punti di vista possibili, rinuncia spesso a vincere per convertirsi ad un compromesso: non sempre fallace o sbagliato, si intenda.
Chi si adegua, a prescindere dai punti di vista possibili, rinuncia a valutare in maniera critica possibili opzioni o soluzioni rispetto all'insieme del cosiddetto "precostituito".
Chi si adegua, insomma, perde la produttiva possibilità di ricercare una qualunque forma di positivo cambiamento. L'adeguarsi allo status quo è un'azione che uccide il confronto, il paragone con qualche cosa di differente e non per forza peggiore. Che importanza e futuro ha, in un mondo strutturato come quello contemporaneo, chi sceglie forme 'intrise' di compromesso per non adeguarsi? Che importanza e futuro ha chi sceglie l'ipotesi della ribellione assoluta, volendo rompere in qualsiasi modo con gli schemi precostituiti?
E' possibile scrivere che il mondo è ridotto così male anche per colpa di tutti coloro che hanno scelto di adeguarsi passivamente, pur avendo intelligenze e competenze per cercare di strutturare e mettere in circolo semi di "visione alternativa"? In alcuni momenti storici di fondamentale importanza, come quello attualmente in corso d'opera, emergono possibilità chiave per imprimere svolte consistenti al 'pensiero collettivo'; tutto questo è riassunto in una canzone del sempre discutibile ma artisticamente bravo Adriano Celentano:
"[...] Si dice sempre che ogni popolo assomiglia/ in tutti i sensi alla sua classe dirigente/ ma è solo un modo per generalizzare/ per scaricare la responsabilità/ perché la storia invece è piena del contrario/ di gente brava che ha ispirato altra gente/ ed è proprio quando tutti pensano una cosa/ che trova spazio una versione differente [...]
Io mi inchino ai valori della Resistenza/ ogni paese ha la sua rivoluzione/ ma tra i valori che si stanno affievolendo/ quello più urgente è quello dell'innovazione [...]"
E' possibile scrivere che forme di innovazione scorrono dentro pensieri e prospettive di chi sceglie di non adeguarsi razionalmente e costruttivamente rispetto alle logiche imperanti di un sistema ucciso anche per mano del tanto conclamato 'pensiero unico'?
La scelta di non adeguarsi comporta, senza alcun fraintendimento possibile, la necessità di esprimere una visione alternativa, organica e coerentemente capace di denunciare i punti deboli dello 'schifo' imperante: quante e quali competenze è opportuno fare maturare per riuscire in un compito così difficile? Quali caratteri è necessario mettere in circolo per migliorarsi nell'elaborazione di questa visione alternativa?
Porsi queste domande è fondamentale in quanto, nell'elaborazione di un progetto così (pre)potente, è troppo facile cadere vittima di pericolosi 'predatori' e luoghi comuni: demagogia e populismo su tutti.
L'elaborazione di una visione alternativa evocata dalla ferma volontà di non adeguarsi conduce, qualora gli strumenti di 'costruzione' non siano adeguati, a produrre effetti controproducenti rispetto alle aspettative: la linea di demarcazione fra 'visione alternativa' e 'costruzione populista' è spesso troppo flebile per poter essere individuata nettamente. Nonostante tutto, è una visione alternativa quella che sembra servire sempre più.
Adattando tali considerazioni al contesto italiano, già mortalmente provato da pensieri (ultra)dominanti e costruzioni populiste-distruttrici, è possibile chiedersi quali spazi e tempi ci siano per l'affermarsi di possibilità e battaglie votate alla costruzione di visioni alternative e 'dignitosamente credibili'.
Adattando le 'infinitamente altre' considerazioni possibili sull'attuale contesto italiano, è possibile porsi una serie di altrettanto infinite domande sull'idea di Italia ed Europa che è opportuno costruire per il futuro; su queste e moltissime altre domande cerca di suscitare qualche elemento di riflessione "Io non mi adeguo", ultima opera del parlamentare "dissidente" Giuseppe Civati.
In un quadro di totale devastazione, negli ultimi mesi le cronache politiche sono riuscite a far perdere ulteriore credibilità ad una larghissima parte dei loro attori: dalla 'sinistra' alla 'destra', fino ad arrivare a coloro che fino a poco tempo fa dichiaravano di essere 'oltre' le divisioni fino ad oggi conosciute.
Il tenore delle campagne elettorali, all'insegna del più fervido "potrò-potremo", si è trasformato in un più timido e condizionato "avrei-avremmo potuto"; nel mentre questo cambiamento d'opinione avveniva, il Paese continuava e continua a sprofondare. Ad una velocità sempre più prepotente e, forse, ormai inarrestabile.
E' ancora lecito e possibile, in questo contesto tragico, credere in una 'visione alternativa' che riesca nell'intento di rivoluzionare o quantomeno migliorare le situazioni attuali?
Il tempo stringe, la necessità di elaborare competenze per scegliere di non adeguarsi costruttivamente è sempre più urgente: quali scelte e quali riflessioni è necessario provare a mettere sul tavolo della discussione?
La scelta di non adeguarsi allo status quo viene attribuita, dallo stesso autore, ad una frase detta da Sandro Pertini nel lontano 1974:
"Sandro Pertini [...] teorizzò il dovere di non adeguarsi di fronte ai fatti [...], anche se questo atteggiamento avesse portato ad un indebolimento del 'sistema'.
Alla domanda: 'Lei riesce, almeno, a farsi capire dai compagni del suo partito?', Pertini rispose: 'Mica sempre. Mi accusano di non avere souplesse. Dicono che un partito moderno si deve 'adeguare'.
Ma adeguare a che cosa, Santa Madonna?[...]"
A distanza di quarant'anni quante cose sono cambiate da questo spirito e/o sentire comune allo schifo di largh(issim)a parte di Italia(ni)? A distanza di quarant'anni, grazie a questo pensiero comune figlio del non adeguarsi, qualcosa è migliorato? Qualcosa si è aggravato?
Quali 'somme' è possibile trarre dal 'conto economico' di quest'ultimo quarantennio?
I risultati sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti: debito pubblico proteso al divorare economia reale, squilibri finanziari senza quartiere, dissesto idrogeologico mai affrontato e prevenuto adeguatamente, corruzione politico-tecnica alle 'stelle', dignità di classe politica e rappresentanti delle Istituzioni percepita come nelle 'stalle', ventennio votato all'esclusivo dominio comunicativo-politico-elettorale-[...] di un omuncolo da strapazzo che ha illuso ed ammaliato a più riprese una consistente fetta del Paese, certa classe politica 'alternativa' al precedente percepita come complice ed 'intimamente' collusa con lo stesso, futuro e prospettive di vita negate per milioni di 'giovani' (under35-40), costretti a fuggire per sperare, disoccupati ed illusi da pensionamenti ritardati di anni ed anni, [...].
Quale bilancio raccontare, alle generazioni che hanno la (s)fortuna di essere giovani oggi?
Quali conseguenze ha prodotto, nel sistema partitico ma non solo, questa estrema volontà di adeguarsi a forme perbeniste e precostituite? Quale futuro esiste, per questa Italia?
Quali visioni alternative mettere in campo, sempre ammesso che non sia troppo tardi per poterlo fare?
Da queste domande il 'dissidente' Civati cerca di costruire un messaggio che, a prescindere da qualunque possibile punto di vista, spinga l'interessato a dichiararsi e dichiarare sempre un sereno e franco 'Non mi avete convinto':
"[...]Non adeguatevi a situazioni che non vi convincono, che non sentite vostre, che vi provocano imbarazzi e preoccupazioni. Alle consuetudine ed alle convenienze. [...] Non adeguatevi all'idea di una politica che vive con freddezza la calda indignazione dei cittadini.[...] Non adeguatevi ad una politica basata sulla sfiducia, [...], che preferisce ripararsi dietro parole complicate, distinguo, sottigliezze.
Che dà del populista a tutti quelli che incontra, ma poi del populismo assume le parole. [...]
Non adeguatevi per cambiare le cose, per guardarle da un altro punto di vista, per tenere viva la fiducia nella possibilità di trasformare quello che vedete: si può.[...]"
Se è possibile farlo, quante competenze e quante vite servono per farlo?
Ammesso che la volontà del singolo non sia assolutamente sufficiente, quali sforzi è opportuno compiere per rendersi al tempo stesso capaci e credibili?
A queste e molte altre domande cerca di rispondere l'autore, mettendo in mostra un punto di vista figlio di situazioni recenti contrastanti e tragicomiche: 101 punti per cambiare, appunto.
Sempre ammesso che ci siano tempi, spazi, competenze ed individualità sufficienti a farlo.
Attraverso un'analisi di un'esistenza parlamentare recentemente convulsa e capace di restaurare gli equilibri antichi, respingendo qualsiasi istanza di cambiamento per colpe molteplici con lo scudo delle 'larghe intese', l'autore cerca di spingere il lettore a cercare di porsi domande.
La capacità di porsi domande è successivamente legittimata dalla necessità di darsi od ascoltare altrettante risposte esaurienti riguardo a propri dubbi od incertezze ulteriori.
Nel seguito, appunto, i 101 punti per cambiare che fanno da 'complementare sfogo' al titolo dell'opera.
Al di là di una spinta innovatrice per definire una visione alternativa degna di tale titolo, è necessario fornire spiegazioni adeguate e chiare sul percorso attualmente in corso d'opera:
"[...]Passato, presente, futuro. Cosa è successo?
Questo è ciò che ci chiedono, continuamente, ancora oggi, tutti o quasi i nostri elettori.
E quindi va spiegato, è necessario, ed è davvero il minimo che dobbiamo loro: una spiegazione. [...]"
Spiegare ciò che ha portato al clima di stallo e costante ricatto attuale, includendo la possibilità di andare poi 'oltre' con i discorsi a svolgere:
"[...] Cosa possiamo fare ora? E' la seconda domanda, e si riferisce alla speranza che comunque, anche in questa situazione, si possa vare qualcosa di buono per il Paese. E se ne potrebbero fare, di cose, o quantomeno potremmo provarci. [...]"
Si potrebbe provare ad avviare qualche frammento di 'visione', al tempo stesso competente ed alternativa rispetto all'attuale tragedia. Da qui, riflessioni attorno alla domanda più importante:
"[...] cosa succederà, poi? Non al Pd, ma alla speranza di un cambiamento. [...]"
Domande e concetti, spesso più ostili al vertice che alla base di una piramide che ambisce (a parole?) a trasformarsi in colonna portante di una società rinnovata.
La possibilità di andare controcorrente è un'opzione che richiede sforzo, coerenza, competenza e solidità morale: in 'virtù di queste virtù', pertanto, è prioritario mettere in circolo positive forme di 'futuro interiore' che sappiano 'contaminare' positivamente tutte le persone interessate a mettersi in gioco per migliorare questa dolorante Italia. E' possibile innescare qualcosa di nuovo e migliore?
"[...]Soltanto se la proposta avrà la stessa forza della protesta, soltanto se al vento che soffia corrisponderanno i mulini che sappiano alimentare qualcosa di nuovo, soltanto se ci crederemo e avremo costanza per insistere fino alla fine, allora le cose potranno cambiare sul serio.
E non ci saranno solo le promesse che annunciano qualcosa che non arriverà mai.[...]"
Quale è l'ingrediente da cui partire, per cercare donne ed uomini dove non li ha mai cercati nessuno?
"[...]Dobbiamo coltivare fin da ora un futuro interiore. [...] Dobbiamo anticipare dentro di noi le risposte, farle maturare, per iniziare a costruirle e a farle entrare nella politica italiana.[...]"
Elementi di riflessione, appunto.
Fondamentali per giudicare operato e coerenza dello scrittore, fondamentale per valutare la credibilità delle protese e la possibilità di convertire le stesse in proposte.
Senza dimenticare che, in fondo alla tragedia, qualcosa può ancora trasformarsi a fondo:
"[...] se chi decide ha deciso/ che ora la guerra è la necessità/ io stringo i pugni e mi dico/ che tutto cambierà/ per ogni vita che nasce/ per ogni albero che fiorirà/ per ogni cosa del mondo/ finchè il mondo girerà [...]"