“Ho perdonato mia madre”! Così mi ha detto mia cognata, ieri, parlando di questa situazione nuova che stiamo affrontando.
Non so quanto ci sia di vero in questa sua affermazione, se detto semplicemente per scrollarsi la coscienza dal peso della rabbia o da una reale volontà di abbandonare rancori.
Ma queste non sono cose che mi riguardano, però quello che mi chiedo è se il dolore che vediamo stando a contatto con chi soffre modifica le nostre percezioni, i nostri affetti, la nostra rabbia.
Non credo molto a questo buonismo “last minute”, anche se, come dice la mia amica Ifigenia, è sempre possibile per tutti percorrere la via di Damasco. Non credo molto che i sentimenti cambino, cambia il nostro modo di stare vicino a chi sta soffrendo, questo sicuramente, cambiano le prospettive e le priorità; “le persone non diventano migliori o peggiori solo perché malate gravemente”, scrive Veronesi nel suo libro Dell’amore e del dolore delle donne. E’ così, solo che pensarlo mi faceva sentire stronza, invece dopo averlo letto in un libro che parla di dolore e di morte mi rafforza l’idea e mi purifica i pensieri malsani che comunque sento: umani, immaturi?? non lo so, ma veri!
Non mi piace la parola perdono, presuppone un atto di superiorità che tra persone non tollero. Non bisogna perdonare, comprendere, questo sì, smettere di nutrire risentimento, allontanare dai propri pensieri la rabbia, che spesso ci rende insensibili e accogliere il dolore dell’altro non come forma di redenzione personale ma come consapevolezza della nostra caducità, della nostra fragilità, della nostra impotenza.
Capire l’altro, per quello che umanamente è possibile, dare senso alle nostre azioni in questo modo, non con le grandi parole, spesso di circostanza: ” ho perdonato”!! No, io non perdono, forse comprendo!
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