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Io, prima persona plurale.

Creato il 02 marzo 2013 da Ilditomedio @IDMArtBlog

Essere se stessi in un mondo che cambia continuamente. L’errata convinzione di “dovere qualcosa a qualcuno”. Non giudico egoista chi decide di essere l’esatta figura delle proprie idee e convinzioni. Questo è un mondo (o dovrei dire società) nella quale produrre soddisfazione è un vero e proprio lavoro. Soddisfazione per altri. Non per se stessi. Perché “qualcuno” ci ha inculcato l’idea malsana che essere uomini o donne con un proprio carattere (per quanto inusuale o bizzarro o normale o…) è peccato mortale da scontare con la pena capitale della solitudine.

Invece io sono orgoglioso della mia unicità. E ciò non significa che io sia incapace di ammettere i miei errori o le mie mancanze e cambiare strada. O modificarla marginalmente. In ogni dove, in qualsiasi contesto si sentono urlate le parole “libertà”, “diritto”, “volontà”. Per poi non essere in grado neppure di sussurrarle al proprio orecchio. Si santificano i grandi uomini e donne che sono stati capaci di fare della loro unicità ragione d’esistere in una Storia Universale, e non siamo in grado di renderci altrettanto unici nelle più piccole delle nostre azioni, nel più insignificante dei nostri pensieri. Il giudizio (a volte il pregiudizio) ci terrorizza perché è più semplice accondiscendere che turbare. E il turbamento (negli altri) viene prodotto perché le aspettative sono più importanti della realtà dei fatti.

C’è stato un tempo in cui le individualità lottavano per essere tali. Nella loro forma unica. Implicita. Vera. Anche se questa non disdegnava il cambiamento, anche repentino, di fronte a nuove idee, nuove situazioni. Opportunità di mutamento e di crescita. Chi deve temere è chi crede che la “realtà” sia ciò che è nella sua mente. E solo li. Ci sono mille realtà come ci sono mille occhi, mille bocche e mille orecchie con cui sperimentare i fatti. Non esistono verità. Solo dogmi. Semplificazioni che ci tolgono dall’impiccio di pensare ad una realtà multiforme e complessa che ci terrorizza.

A chi, veramente intelligente (nel suo significato primevo), fa paura la complessità e la diversità? La complessità è uno stimolo. Una modalità per ricercare altre vie. Per dare un senso all’insensata esistenza che ci è stato offerto (o dato) di vivere. Io vedo mille mondi paralleli. Vedo colori e luci laddove ci sono suoni. Sento armonie laddove cerco di adattare la sensibilità dei mei occhi alla luce che li attraversa. Voglio che un concetto sia il punto di partenza, non un comodo luogo da eleggere a proprio sacello per raggiungere la quiete eterna.

Non devo piacere. Devo esistere. Ed esistendo scoprirò che milioni di altre individualità non aspettavano altro che mi accorgessi di tutto questo per farmi posto nella loro meravigliosa passeggiata browniana tra picchi innevati e profondità immense. Trattengo il respiro. Ed è poesia lo scoprire che tutto questo è Vita. E allora inizio nuovamente a riempire i polmoni. Tenendo per mano chi temevo mi allontanasse dalla sua esistenza per timore che una differenza – illusoriamente – ci stesse separando.

Libertà, volontà, diritto alla propria individualità, riprenderanno ad essere non solo incerti fonemi sussurrati. Saranno le parole che ci legheranno gli uni agli altri. Resipro. Osservando il mondo con occhi nuovi.

Io, tu (e il mondo) ne abbiamo bisogno.

IDM Dixit.



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