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Io sono la storia e non sempre la cosa mi piace

Creato il 08 giugno 2012 da Sirinon @etpbooks

 

E’ questo un esperimento itinerante nel tempo e nello spazio. Attinente la vita privata e la storia, quella ufficiale.

Vissuto in forma di pietanza teatrale dove al posto dei personaggi ruotano le occasioni, gli spunti, le indicazioni. Tutte quelle cose che se anche pervenute con intento diverso poi, setacciate dal filtro personale, diventano briciole della mia storia e un frammento della Storia. Il dubbio che mai verrà sciolto né in questo né negli Atti successivi (ben tre saranno, come ogni opera che voglia considerasi tale e questa lo è perché la Vita è l’Opera più grande della quale siamo protagonisti) è quello di sapere se sia stato o meno il momento adatto. D’altronde il saperlo lascerebbe quell’odor di presunzione che ci farebbe indovini, cosa che – fortuna nostra – non appartiene alle umane virtù.

 

Si apra dunque il sipario mentre, all’apparire della scena, una voce fuori campo presenta i personaggi.

 

atto04
Lo spunto spento (1975, Certosa di Garegnano)

“Di che vi meravigliate? Di che stupite, se fu mio maestro un sogno e sto tuttavia temendo nelle mie ansie di dovermi svegliare e trovarmi ancora una volta nel mio chiuso carcere? E se pur ciò non avvenga basta il sognarlo soltanto, perché così sono giunto a sapere che tutta la felicità umana infine passa come un sogno...

(da “La vita è sogno” di Pedro Calderón de La Barca)

 

Ciò che fece crescere allora (2004)

Di che stupite

se é mio compagno un sogno.

Di che stupite.

 

Di che stupite

se è lui che regge il timone

e non io timoroso del risveglio

là dove l’ultimo dolce inganno

stanco s’abbranca agli stralli.

 

Di che stupite

Se al giorno falsi e cortesi

arrangiamenti si strappano

alla felicità notturna.

Se l’intimo nel buio s’appalesa,

se al sogno porgo la matita

ma non per disegnar quello che siete

ma quelli che vorrei.

 

Di che stupite

se al sogno è data la maestria

per far che sia ciò che sarebbe.

Se a questo attingo il rigor mio

nel disegnar quel che mi resta.

 

Lo spunto d’oggi, casuale

“Mi rendo conto che la mia vita corre ad un ritmo folle, e questo non mi piace affatto: non ho intenzione di contrarre quella "malattia della fretta" che ho sempre detestato, quindi mi sono ripromess(?) di regolare il mio passo entro la fine dell'anno, in modo da renderlo più umano. Non sopporto che il tempo mi viva, anziché il contrario.”  (da una persona amica che mi scrive in PM)

 

La constatazione 

Il presente è uno dei pochi concetti che per essere definito necessita di due relazioni: il passato ed il futuro. E non di una soltanto come l’opposto o il contrario.

 

La tesi

Qualunque sia la vita condotta e da condurre (essendo quella in itinere, inafferrabile ma unicamente vivibile) essa attraversa la storia. L’impronta che vi si lascia non è unicamente definita dalla fortuna di aver determinato il suo corso quanto la coscienza di averlo fatto.

atto03
E per averne coscienza occorre rendersi conto che intorno al trascorrere dei  giorni passa con lo stesso ritmo la storia: quella dell’uomo, della terra, dell’universo e, quale che sia l’adottabile unità di misura del tempo, anche la storia di quello spazio talmente grande da superare l'umana comprensione (se non per ipotesi o frutto d'immaginzione) che per difetto è stato codificato come infinito. L’infinito che per essere tale almeno deve mancare dell’inizio ... o della fine. Ed il fatto di averlo codificato nel linguaggio appare quasi un controsenso come se si cercasse di adattare il contenuto alla scatola e non viceversa. E l’intenzione di racchiudere nei mezzi finiti i concetti più grandi del finito portano in sé - ad esempio - il germe della relazione tra noi e il tempo (il concetto di tempo rapportato alla vita è la rappresentazione di una frazione di qualcosa di infinito). Quello che ci è concesso (da un dio piuttosto che non da un naturale deterioramento biologico).

 

I pilastri

Esisteva un tempo, finito ed umano tanto da essere codificato come storia,Anche se nel suo sviluppo temporale, essendo dotata di un inizio e, volendo, di una non-fine, potrebbe assurgere al livello di extra-umano ovvero arrivare a fare parte di quell’insieme di concetti la cui estensione è determinata dal dubbio. La mancanza di certezza infatti sul dato che renda certa la sua fine o meno fa sì che per speculazione statistica  possa essergli attribuita l’assenza di fine. In caso contrario, dopo di essa l’inesistenza del nulla.

La presenza di questi concetti  interferisce con tutti gli altri. Per quella caratteristica che non gli appartiene, ovvero la definibilità. Ecco perché, ad esempio, il ricorso ad attribuzioni assolute, manifesta unicamente l’incapacità della coscienza a gestire una determinata situazione, una determinata sensazione o passione o pensiero, o dolore. Quando si concede l'attributo di “infinito”  a dolore o gioia cosa dunque si esprime se non l’incomprensione delle sensazioni stesse e, soprattutto, l’abbandono di se stessi ad altro come barca ingovernabile? Tutto ciò che ci appartiene ha nel proprio DNA il senso del finito.

 

Effemeridi

 “C'è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è l'etica; parlo dell'Infinito”. (Jorge Luis borges)

“Forse, laddove possibile, sarebbe bene lasciare che le cose facessero il loro corso. Standole a guardare con placidità, consapevoli dei limiti di volta in volta imposti dal proprio ruolo. Che è quello, molte volte, dello spettatore impotente ed inerme. Altre, quello della comparsa o del figurante nella recita d'altri” (da http://digitoergosum.com/ansia-di-controllo-qualcuno-suggeriva-let-it-be)

 

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L’attimo sfuggente

E’ quello della quiete, quando si avverte che qualcosa è divenuto ed altro ha da venire. Una sorta di subcoscienza del presente intermedio tra due azioni. Che non è immobilità. E’ solo attesa, ovvero quello stadio di quiete fisica che è necessario per concentrare tutte le forze sulla comprensione. Spesso resta ai margini della scena non visto, non ascoltato. Errore grave: è uno dei protagonisti. Serve a ricongiungere come spesso la voce del narratore fuori campo fa, due scene diverse. Offre una chiusura per gli eventi passati e ne forgia l’incastro affinché il gesto, quello futuro, possa incunearvisi a perfezione perché il continuum della storia non ammette incastri precari.

 

L’innominato

E’ ciò che volenti o nolenti è, è stato e sarà. E’ il nostro impatto con la storia e nella storia. Quel luogo indesignabile e improgrammabile in cui la propria orma calca l’epoca vissuta, vivente e vivenda. Che così diviene quel presenzialismo obbligato al quale altri poi daranno valenze diverse e noi il peso che vorremo.

 

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La percezione

E’ quella che connota la presenza. E’ quella per cui oggi la realizzazione di un capolavoro offre gloria vasta nello spazio e limitata nel tempo al contrario di ieri dove si poteva pensare ad una sorta di immortalità seppur racchiusa nell’enclave autoctona delle proprie valli. E’ un personaggio subdolo questo per la capacità di proiettarci in un divenire che ormai viaggia su fibra ottica dove il bello spesso  si consuma nel tempo di un sospiro (il dolore arriva; è esperienza gratuita che non richiede impegno. E’ indispensabile d’altronde perché determina, come tutte le cose, il proprio opposto). Devi star prontoche in breve non resterà traccia … cambiano i linguaggi, i sistemi operativi, oggi invecchiare è cosa di mesi, settimane talvolta. La percezione dunque come una saetta corre sulla scena, sale e scende dal palco, incalzata e inseguita da altre consorelle, lampi di flash, applausi e via.

 

La scena

Due palchi opposti ed in mezzo la platea. L’uno sul quale si vive il tempo, l’altro sul quale il tempo ci consuma. Sopra la platea foglie di gelso in bianco e nero legate a fili trasparenti che scenderanno ad ogni spostamento da un palco all’altro immobili a cogliere la fessura del presente. Foglie che risaliranno se andremo al palco ove si vive il tempo come portate via da un vento di tempesta; foglie che si poseranno sul pubblico presente quando saremo sul palco ove il tempo ci consuma, depositati come polvere da prendere a calci.

 

 

Si dissolve il faretto puntato al centro del proscenio, mentre il buio annega l’aprirsi del sipario e la scoperta delle scene iniziali

(continua ... ovviamente)


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