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Dopo The reluctant fundamentalist, sono andata a vedere un altro film in lingua originale con i sottotitoli... ma italiano!
Io sono Li è infatti ambientato in buona parte a Chioggia e i protagonisti sono in parte cinesi (sottotitolati per evidenti motivi), in parte chioggiotti (anch'essi necessitanti di sottotitoli!).
In un certo senso, questa doppia necessità è una metafora del film, che mette una di fronte all'altra due comunità lontanissime, ma entrambe accartocciate su se stesse, sulle proprie regole e i propri pregiudizi.
Protagonisti ed elementi scatenanti delle idiosincrasie di queste due comunità sono Shun Li (Zhao Tao), una donna cinese che da una fabbrica tessile romana viene spedita a Chioggia a lavorare in un'osteria per pagare i suoi debiti e consentire a suo figlio di venire in Italia, e Bepi (Rade Sherbedgia), "il poeta", un pescatore di origini slave che vive da trent'anni a Chioggia e ha un casone in laguna.
Intorno a loro si muovono e si agitano le rispettive comunità. Quella cinese in cui pochi uomini governano le sorti dei molti altri, veri e propri schiavi appesi al filo della speranza, soprattutto donne trattate come oggetti, ma ricche di sogni e di pensieri non sempre espressi. E quella chioggiotta che si incontra in osteria per bere un'"ombra" e mangiare le canocchie e il pesce fritto e parlare di quello che accade nella città-isola, cercando di interpretare in maniera semplice e spesso semplificata un mondo che si è fatto ormai troppo complesso e dove i soldi ormai si fanno senza fatica anche se in modo poco chiaro, come ostenta il bullo Devis (Giuseppe Battiston).
In questo mondo in cui il tempo sembra scorrere lentissimo e ripetitivo, Shun Li e Bepi si incontrano, si aprono, si raccontano, si fanno compagnia in modo disinteressato e sincero. Ma non saranno capiti da nessuno, non dai cinesi che preferiscono un'esistenza sottotraccia, non dai chioggiotti che pensano che il mondo finisca nella loro isola.
Bellissima ed emozionante la fotografia di Luca Bigazzi, in sintonia con le musiche e con l'atmosfera smorzata di questo racconto, come il tai-chi che la coinquilina di Li pratica sulla spiaggia. Non c'è una parola di troppo, i silenzi e gli sguardi sono parte fondamentale della storia, come accade nella vita. Non tutto è spiegato, molto resta avvolto nel mistero come questa città sommersa dall'acqua e dalla nebbia.
Delicato, poetico, vero, gentile.
Un soffio di bellezza e di tristezza da cui vale la pena farsi accarezzare.
Bravo Andrea Segre.
Voto: 4/5
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