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Io sto con la sposa.
Anzi, per avere più effetto di questi tempi potrebbe tranquillamente essere scritto #Iostoconlasposa.
Fin dal titolo, infatti, questo documentario è una dichiarazione di intenti, una presa di posizione sociale, civile e umana.
Io sto con la sposa, io sto dalla parte dei deboli, di chi non ha voce, e la voce gliela do, la registro, e ve la faccio sentire, anche grazie a voi.
La visione più emozionante e più sentita nella 71esima edizione di Venezia (ne parlai QUI) parte dal basso, parte da 2.617 finanziatori privati che con piccole e grandi donazioni hanno reso possibile la realizzazione del documentario, ma parte ancora prima, parte dalla scelta al di fuori della legge che Gabriele del Grande, Khaled Soliman al Nassiry e Antonio Augugliaro fanno, decidendo di aiutare 5 loro amici immigrati illegalmente in Italia ad arrivare dove vogliono arrivare: in Svezia, dove l'accoglienza e la politica sull'immigrazione e più aperta e tollerante.
Sì, miei cari "gli stranieri ci rubano il lavoro, lasciamoli in mare", molto spesso, anzi, nella stragrande maggioranza dei casi, chi sbarca nelle nostre coste lo fa perchè le nostre coste sono le più vicine, e dopo aver rischiato la vita, dopo aver speso ogni risparmio, ha ancora lunghi chilometri a separarlo dalla sua meta, e deve fare i conti con altri contrabbandieri che li prosciugano del denaro rimanente abbandonandoli magari in mezzo alle Alpi o ancora distanti da dove si erano accordati di arrivare.
Per aiutare questi 5 immigranti (5 perchè se di più gli anni di galera raddoppiano) i registi mettono in atto un piano che ha dello scenografico e del geniale: fingersi, ma neanche tanto, un corteo nuziale, attraversare le frontiere a piedi e di nascosto, dividersi in auto dove a parlare saranno gli italiani e in caso di fermo della polizia fare in modo di passare davvero per festanti e gioiosi invitati a nozze.
Vestiti di tutto punto partono così da Milano, passano per Ventimiglia, arrivano in Francia, poi toccherà a Lussemburgo e Germania, infine Copenhagen e poi la Svezia: 5 giorni per fare tutto, 5 giorni in cui fare i conti con un passato travagliato da cui si è dovuti fuggire, da un presente che mina ogni loro dignità e un futuro del tutto incerto, nelle mani di chi li vuole aiutare e proteggere.
La macchina da presa segue tutto questo, segue la rabbia verso una politica che mette un prezzo e un limite alla libertà di un essere umano, segue la disperazione e l'angoscia per quei giorni in mare, per i morti visti e conosciuti che non si possono dimenticare, segue la gioia che scoppia, la festa non appena un po' di calore umano e casalingo si crea.
Inevitabilmente, la rabbia, la disperazione e la gioia si trasmettono allo spettatore, che è così testimone di un'illegalità, di un documento che vuole smuovere le coscienze e lo spettatore stesso, facendo del cinema il veicolo di informazione, comunicazione e intrattenimento.
Perchè come si diceva, la scelta del tema nuziale è altamente scenografica, e le riprese, la fotografia durante i chilometri di questa testimonianza sono curati come in un vero film, ma non c'è buonismo in quest'impresa, non c'è quel sensazionalismo che molto spesso crea diffidenza, anzi, c'è spazio per balli e feste, come in un film di Kusturica.
La verità emerge, pian piano, ci si affeziona a questi personaggi, si viene trascinati dal giovane rapper Manar Mc o dalle parole piene di intelligenza della sposa, e si finisce per ridere, si finisce in lacrime.
Il cinema è anche questo, i documentari sono anche questo: sono una dichiarazioni di intenti che sfida la legge.
Vederlo proiettato a Venezia assieme ai protagonisti, attorniati da numerose spose, vestite con l'abito del loro giorno più bello perchè parte di quei 2.617 produttori dal basso, ha aumentato ancor più le emozioni che si affollavano dentro.
Ma vederlo, in ogni caso, e in ogni modo, è un piacere e soprattutto un dovere che vi dovreste concedere.
Guarda il Trailer
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