IO, UN ALTRO - di Imre Kertész

Creato il 23 aprile 2012 da Ilibri

 Titolo: Io, un altro
Autore: Imre Kertész
Editore: Bompiani
Anno: 2012

Le situazioni moderne riconducono sempre – direttamente o indirettamente – ad Auschwitz: in qualche maniera, Auschwitz è sempre presente in esse”.

Bastano poche ore per leggere questo libro, per immergersi nella sofferenza e sperimentare l’orrore, ma le riflessioni che suscita ti tengono la mente occupata per giorni. Non si tratta solo della denuncia di una tragedia che ha cambiato per sempre l’umanità e che ancora oggi si impone col suo fardello di vergogna, è il senso di vuoto di una società che si trova a dover combattere nemici senza nome, perché il male è una cosa naturale, sa trasformarsi e non scompare mai.

Sosto sulla Potsdamer Platz: lo smorto sole mattutino, un deserto di detriti e polvere – e questo nel cuore della città, nel centro esatto del luogo intorno al quale sorge il muro di cinta d’un tempo. Come dopo massicci, devastanti attacchi aerei, un lieve profumo di fuliggine nella luce mansueta, le strade che conducono verso il nulla, le impressioni sonore e olfattive della primavera del ’45, la malinconia inconcepibile dell’essere rimasti in vita…”.

Il premio Nobel Kertész, dopo essere sopravvissuto al dramma della deportazione e aver assistito ai grandi cambiamenti seguiti alla caduta del muro di Berlino, si ritrova ancora a riflettere sulla propria identità di ebreo e a confrontarsi con sentimenti antisemiti che riaffiorano, perché mai veramente sopiti, nell’Europa Centrale.

Durante i numerosi viaggi a cui si dedica tra il 1991 e il 1995, l’autore sente il bisogno di un appiglio e si interroga sul senso della vita e della morte, trasmettendoci il suo smarrimento tra incontri fugaci, belle descrizioni, ricordi e rimpianti. Le sue pagine sono intrise di obiettività e talvolta sconfinano nel pessimismo, ma giammai scadono nella banalità, nel luogo comune, e sono rese più lievi da numerosi riferimenti a brani musicali e citazioni di grandi narratori.

La meditazione di Kertész, il suo dialogo con se stesso, non cerca risposte né consenso: si accontenta di testimoniare e raccontare. È l’esperienza diretta che fa la differenza, la ferita che il tempo non è riuscito (e non riuscirà) a rimarginare. O forse la sensibilità di chi sa osservare le cose, penetrare gli eventi e guardare al di là di ciò che appare, anche se non è piacevole e richiede coraggio.

Negli ultimi tempi mi mancano i grandi sogni che indicano la via. Dormo invano, e il risveglio è persino superfluo.

Quando ti abbandona un sentimento, ecco il deserto infinito. Quando hai finito di leggere un lungo libro, perdendoti nel suo mondo; quando hai chiuso una relazione amorosa; quando svanisce il pungolo dell’ispirazione – sei senza scopo, desiderio, volontà e altri personali manipolazioni -, d’un tratto comprendi, e vedi il mondo esattamente com’è, per quello che realmente è”.

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