C’è chi ha fatto del lamento uno stile di vita.
Ci si lamenta della vita privata e di quella pubblica, dei politici, e dei parenti, del proprio capo, dei colleghi, del tempo, della sfortuna…
So bene che ci sono persone che hanno ottimi motivi per lamentarsi, ma in genere sono quelle che non lo fanno. Dignitosamente tacciono, si rimboccano le maniche e spesso distribuiscono sorrisi anche quando la loro vita scorre in mezzo all’urgano.
Il lamento è un abile strumento per colpevolizzare il prossimo, sottolineare le mancanze altrui, scaricare responsabilità e screditare chi non condivide le nostre idee. Spesso, chi sa non fare altro che lamentarsi è l’ultimo a proporre soluzioni.
Quante volte leggo sui social critiche, insulti e sfottò a politici, imprenditori, scrittori e personaggi pubblici di ogni settore, che appaiono più motivati da cattiveria e invidia che da questioni reali.
Il modo migliore per non essere oggetto di questi lamenti gratuiti è restare immobili, non esporsi, non fare. Accontentarsi e lasciare che siano altri a scegliere, per poi puntare il dito se non condividiamo le loro decisioni.
Proporre nuove idee è sempre un rischio. Ma è grazie alle idee che il mondo ha continuato a girare fino ad oggi. Galileo fu condannato come eretico per aver confutato la teoria geocentrica, ma senza toccare casi estremi, anche l’epoca moderna è piena di “non funzionerà” che hanno avuto successo. Quando Steve Jobs mise sul mercato l’Ipad ricevette critiche feroci di gente che diceva «non è un computer né un telefono, non serve a nulla, ne venderà quattro…». Le ultime parole famose.
Dopo essermi lamentata di chi si lamenta (giuro poi non lo farò più) con questo post vorrei proporre e invitare a proporre.
C’è ovunque gente che ha ottime idee e non riesce a farle conoscere.
Perché non provarci? In piccolo certo, un piccolo che magari può diventare grande, se i grandi aiutano.
Partiamo dalla cultura, un settore cruciale per il nostro Paese e troppo tempo trascurato: «La cultura è il nostro ossigeno. Per le menti, e per la crescita dell’economia» ha detto il ministro ai beni culturali Dario Franceschini in un’intervista al Corriere della Sera in cui ha precisato che «Noi dobbiamo puntare sulla storia, l’arte, il talento, la bellezza, l’intelligenza, la creatività». Facciamolo, dunque.
Probabilmente molte idee saranno irrealizzabili, ma tentare non costa nulla.
Per cominciare la caccia alle buone idee, ho creato l’hashtag #IoPropongo da divulgare in Twitter e attraverso il quale lanciare le proposte. Con un tweet, un post sul proprio blog, un’immagine, un video. Facciamo sentire la voce di chi ama la cultura. Potremo non essere molti, ma se il volume è alto il messaggio prima o poi arriva.
L’ idea
#IoPropongo di partire dalla scuola, perché quando un edificio cade a pezzi è meglio raderlo al suolo e ricominciare dalle fondamenta.
Rendiamo la scuola un luogo dove si impara davvero. Come? Sperimentando in modo pratico e coinvolgendo i protagonisti del mercato culturale, nazionale e non.
I professori oggi si sentono troppo spesso abbandonati e demotivati. Da soli non sono in grado di far ripartire il sistema scuola. Troviamo risorse umane e competenze specifiche da schierare al loro fianco. Perché la squadra ha più possibilità di vincere del singolo.
Oltre al denaro ci vuole il talento. Ci sono decine di scrittori, intellettuali, artisti e professionisti di ogni arte e mestiere che potrebbero dare lezioni concrete ai nostri studenti. Investiamo su di loro. Non lasciamo solo a iniziative di volontari, come quella, senza dubbio straordinaria, dei Piccoli Maestri, la responsabilità di portare la cultura dentro alle scuole.
Organizziamo queste attività in modo sistematico e ripetiamole spesso. Non è una soluzione, ma un primo passo:
- scrittori che leggano libri e propongano giochi di scrittura;
- musicisti che creino canzoni con gli alunni e le suonino o le cantino con loro;
- scienziati che conducano esperimenti e spieghino la matematica dandole un senso pratico (quante volte facendo le equazioni ci siamo domandati il perché di quel supplizio apparentemente inutile?)
- Cuochi che cucinino con gli studenti e insegnino loro, in modo divertente, non solo una ricetta, ma i principi di una materia ostica come la chimica (chiedete allo stellatissimo chef Ferrian Adriá quanta chimica c’è tra i fornelli);
- Scultori e pittori che raccontino la storia dell’arte (che non va abolita) mentre rivelano i segreti dei grandi maestri del passato e delle loro botteghe e li facciano provare ai ragazzi sulla tela o sui materiali da modellare.
- imprenditori che “giochino” con le classi alla gestione di un’attività;
- Attori che raccontino le grandi opere del teatro facendole recitare, che insegnano l’arte della comunicazione organizzando momenti di improvvisazione. E si potrebbe andare avanti all’infinito.
Eraldo Affinati, scrittore e professore illuminato, in un’intervista dello scorso settembre spiegava come nelle scuole dove si concentrano ragazzi ripetenti, spesso provenienti da famiglie disagiate, il gesto pratico ha consentito di avanzare nella scolarizzazione:
Oggi l’atto della lettura in senso tradizionale è difficile. Per far leggere libri ai ragazzi bisogna trasformare un compito scolastico in un’esperienza conoscitiva. In Elogio del Ripetente racconto come sono riuscito a far leggere Se questo è un uomo alla mia classe. Ho deciso di far venire tutti i ragazzi alla libreria della stazione Termini di Roma per comprare ciascuno la sua copia del libro. Già il fatto di essere lì era una piccola rivoluzione perché molti ragazzi non erano mai usciti dalle borgate.
Di professori con l’autorevolezza, l’esperienza e le capacità di Affinati non ne esistono tanti. Vanno formati. Coinvolgiamo i nomi noti della cultura, facciamoli uscire dai loro uffici ed entrare in aula, gli altri seguiranno.
Li dobbiamo pagare? Sì, certo. Educare è una missione ma anche un lavoro. Una responsabilità. Uno stato che investe in cultura è uno stato che pensa al futuro, ben consapevole del valore del proprio passato. Il nostro Paese lo merita.
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