#IoStoConRenzoBossi

Creato il 17 luglio 2012 da Nicola Mente

Il Consiglio Regionale della Lombardia, il famigerato Consiglio Regionale della Lombardia, rischia di diventare una tristissima metafora della prostituzione intellettuale di questo Paese. In queste ultime ora ha destato polemiche l’intervento del binomio Alfano-Berlusconi in merito all’affaire Minetti. La bella consigliera regionale è diventato l’unico capro espiatorio del fallimento del Pdl, e sia il Cavaliere che il suo delfino goloso Angelino non hanno perso tempo per coprirsi di ridicolo con la loro richiesta coatta di dimissioni nei confronti della ventisettenne riminese, cadendo in un triste gioco di ipocrisia e maschilismo. Questo è un lato della faccenda, che rischia però di oscurarne molti altri.

L’assurda richiesta dei vertici Pdl ha infatti scatenato un coro quasi unanime di difesa nei confronti di Nicole, ingiustamente additata come unico capro espiatorio del fallimento politico di un partito, e della sua coalizione. Ogni coro che si rispetti, per risultare degno di tal nome, dovrebbe però sforzarsi di intonarsi con il resto dell’orchestra.  E per intonarsi, dovrebbe conoscere gli spartiti degli altri strumenti. Rovistando tra i pentagrammi, corriamo velocemente a quelle elezioni regionali della primavera 2010, investite da un tornado di polemiche. Molti di voi ricorderanno il vespaio di polemiche seguito alla tristissima vicenda della lista bloccata di Roberto Formigoni, quella arrivata fuori tempo massimo alla presentazione, quella indiziata di aver usufruito di firme false, quella che ha permesso allo stesso Formigoni di rinnovare ulteriormente il mandato, in una sorta di dittatura regionale che rappresenta un caso più unico che raro. Sull’onda del “Minetti ti difendo anch’io”, si rischia di fornire un quadro distorto della situazione, considerando nell’eventualità di dimissioni da parte della regina delle Olgettine una specie di forza popolare che dovrebbe consentire a Nicol di “resistere, e tenere il posto”. Un posto che Nicole Minetti (e tutti i suoi compagni di lista, Formigoni escluso) conquistò in maniera spudoratamente irregolare, nonostante il Tar – con una sentenza ampiamente discussa e discutibile – abbia riconosciuto come lecita ogni procedura, o quasi.

Ora, difendere una donna dagli attacchi subdoli e viscidi da parte di chi ne ha sfruttato prima le qualità, salvo poi buttarla nel cestino, è un conto. Difendere il suo ruolo politico e la sua legittimità, però, è un altro. Evitando di chiarire la questione, e cercando di far coincidere i due pensieri, porta a mio avviso una disinformazione suadente, o quantomeno un’opinione esclusivamente discutibile sulla realtà, al di là della già citata “questione morale”. In quella lista, i candidati (scelti dallo staff Pdl) non presero un voto uno, ma si limitarono a spartire quelli raccolti dal capolista, il pluripresidentissimo Formigoni.

Nonostante questo, nonostante Nicole Minetti non si sia mai occupata attivamente di politica, né prima e né dopo la sua elezione, deve “resistere”, e tenersi il posto. Perché? Perché nessuno si chiede come mai Berlusconi (che non ha nessun ruolo in seno alla Regione Lombardia) non si risparmi nel dare ordini di dimissioni a Nicole? Dovrebbe farlo il suo capogruppo in consiglio, semmai.  Perché tutto questo potere? Quando studiavo storia, mi ricordo che i Re di Francia nominavano i nobili e i funzionari di palazzo a propria discrezione, salvo poi esonerarli  con uno schiocco di dita. Ecco, qui siamo di fronte ad un caso simile, ma nessuno pone l’accento sul particolare (evidentemente non trascurabile): perché Belrusconi, che non ha voce esecutiva sul Consiglio Regionale lombardo, si permette di voler la rimozione di Minetti dall’incarico? Perché, forse, la “candidatura” e l’elezione a zero voti spaccati di Nicole è merito suo? Chissà.

C’è da dire che anche Umberto Bossi chiese (e ottenne) le dimissioni di Renzo “Il Trota” da consigliere regionale: in quel caso, però, la richiesta era dettata da palesi legami sanguigni. Per intenderci, se mio padre mi ordina di fare una cosa, tendenzialmente io obbedisco. Eppure, eppure Renzo Bossi in regione ci è finito tramite campagna elettorale, ed elezione stabilita da 12mila preferenze. Ovviamente è lecito dubitare sull’origine di quei voti e sull’aspetto clientelare della cosa, ma se si dovesse prendere questo sentiero, si sarebbe costretti a trattare così tutti i casi simili, e conteggiarli sarebbe impossibile, in questo paese.

Perché nessuno ha preso le difese di Renzo Bossi, nel momento in cui il padre ha deciso di esautorarlo dal ruolo, incarnando in lui il capro espiatorio dello scandalo di un partito (scandalo peraltro fermo alle indagini preliminari)? Perché nessuno ha proposto un hashtag  #Trotaresisti? Perché forse si tratta di un maschio neanche particolarmente avvenente, con la fama di uno stupido? Perché sfortunatamente Madre Natura non gli ha regalato il corpo e il sorriso di Nicole Minetti? Eppure lui i voti li ha presi, eppure lui ha obbedito e si è fatto da parte. Poi certo, l’abilità politica è quella che è, concordo. Attenzione però: se si sposta il piano del discorso sulle abilità politiche, il parallelismo con Nicole Minetti potrebbe risultare ancor più inquietante.

Sfido chiunque a portare come esempio un’intervista, una mozione, una dichiarazione, un articolo in cui Nicole Minetti venga associata a politiche regionali da lei proposte, o a temi d’attualità, all’infuori dell’annosa questione Bunga Bunga.  In sostanza, vogliamo dire che Berlusconi, nel chiedere le dimissioni della sexy-consigliera, abbia compiuto una mossa meschina e ipocrita? D’accordo. Vogliamo parlare del maschilismo becero che vuole Nicole Minetti esautorata, semplicemente perché donna? D’accordo. Di pari passo, però, credo che se avesse dignità, Nicole si sarebbe già dimessa dall’incarico, come dovrebbe fare chiunque sia stato presente in quella lista bloccata, Formigoni compreso. Perché, se si va avanti così, il processo dovrebbe coinvolgere anche la difesa di  Renzo Bossi, che ha ottenuto quel posto tramite voti raccolti. Raccolti perché è figlio di papà, certo, ma pur sempre raccolti. Altrimenti che facciamo? Ci scagliamo contro tutti i figli di papà? Certo, questa sarebbe un programma nobile, ma assai dispendioso.

In conclusione, ci si può ravvedere su Minetti, sulle sue capacità, sulla sua buona fede, e sulla sua dignità. Siamo qui ad aspettare un solo un passo, un inizio, un segnale. Dopo due anni di incarico, mi sembra lecito. Nel corso politico dell’ex igienista dentale, invece,  non appare la minima traccia di legittimità nel ricoprire il ruolo. Nessuno auspica la galera, nessuno si indigna per le performaces al di fuori dell’aula di consiglio, ci si aspetta solamente una dimostrazione seppur minima di competenza, dato che lo stipendio di Minetti è affare pubblico. Non sei capace? Sei lì per favori extra elettorali? Vieni pagata con soldi pubblici per apparire nel tuo splendore al mare, o per le vie del centro? Non va bene. Si può fare ciò che si vuole, e nessuno si dovrebbe arrogare il diritto di giudicare, finché però si dimostrano capacità nel ruolo in questione. Non si può difendere l’indifendibile. Nicole Minetti a casa. E con lei, ovviamente, tutti quei personaggi presenti in quella lista della vergogna, a cominciare da Roberto Formigoni. Perché per ottenere dignità, c’è bisogno di farne trasparire almeno un po’.



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