Di Dino Licci
Ipazia
Nel 332 fu fondata per volere del grande Alessandro Magno una grande città, Alessandria D’Egitto e, su suggerimento di Aristotele, un’immensa biblioteca chiamata “Bruchium”, una vera linfa del sapere per tutta l’antichità. Tanto per avere un’idea di cosa essa fosse, basti pensare che tra i suoi bibliotecari, si annoveravano Aristofane di Bisanzio, Aristarco di Samotracia ed Eratostene, lo scienziato che, più di duemila anni fa, riuscì a misurare con incredibile approssimazione la circonferenza della terra. Se avete letto “In nome della rosa”, il libro di Umberto Eco, vi sarete fatti un’idea dell’avversione della Chiesa per la cultura, la commedia, il sapere soprattutto scientifico. Ora, sulla fine della famosa biblioteca corrono voci poco edificanti che vorrebbero nell’intransigenza clericale la distruzione di questo epicentro della cultura mondiale. La maggior parte degli storici (alcuni invece parlano delle truppe di Giulio Cesare come responsabili del grande rogo) ascrivono a Teofilo, patriarca di Alessandria ormai cristianizzata, la fine della grande biblioteca. Ma ciò che più di ogni altra cosa mi preme ricordare, è la figura di Ipazia, la colta e liberale matematica che fu anche astronoma, filosofa, divulgatrice di cultura, il simbolo vivente della cultura e pertanto invisa alla Chiesa. Figlia del matematico Teone. astronomo e rettore dell’Università di Alessandria, nacque nel 370 d.c. e fu introdotta dal padre allo studio della geometria e dell’astronomia, discipline nelle quali eccelse. Bisogna ricordare che a quei tempi non c’era scienziato che non si dedicasse anche allo studio della “magia” e dell’alchimia, ed Ipazia ampliò le sue conoscenze anche in questo campo studiando le religioni e le filosofie esoteriche egizie ed assiro-babilonesi. Si recò anche a Roma e ad Atene per perfezionare i suoi studi, quindi si dedicò all’insegnamento di quanto aveva appreso, nel Serapeo e la sua casa divenne un vero centro di ricerca e di sapere. Le sue opere andarono quasi completamente perdute dopo il saccheggio effettuato dai crociati nella biblioteca di Costantinopoli, ma quel poco che di suo rimane, è custodito(ironia della sorte) proprio nella Biblioteca Vaticana. Ipazia separava nettamente la religione dalla filosofia ritenendo che la religione fosse una scelta personale mentre la filosofia doveva basarsi sulla ricerca e sulla logica. Viene considerata, dopo Platone e Plotino, una caposcuola del platonismo ma, con l’avvento del cristianesimo, alla ricerca scientifica si sostituirono il misticismo e l’astrologia tanto che la biblioteca d’Alessandria venne distrutta mentre i pagani, i neoplatonici e gli ebrei cominciarono ad essere perseguitati. Con l’editto di Costantino del 313 infatti si cessò di perseguitare i cristiani ma quando Teodosio col suo editto del 380, legittimò il cristianesimo come religione di stato, tutti i templi greci furono bruciati o distrutti e la cultura greca sopravvisse a stento solo a Bisanzio. Quando poi, nel 412 san Cirillo (si fu proprio fatto santo) divenne patriarca di Alessandria, la lotta al saper diventò cruenta e, su istigazione del santo, si formarono gruppetti di picchiatori cristiani, analfabeti, fanatici e violenti, che seminarono il terrore fra i filosofi e gli scienziati definiti eretici. Cirillo si servì di questo “braccio armato” per sbaragliare quelli che riteneva suoi nemici, Ipazia, prima fra tutti. Sulla sua orrenda fine ho quasi timore di scrivere perché ella fu scorticata viva con delle conchiglie taglienti da certo Pietro il Cireneo, che le cavò anche gli occhi con le sue unghie simili ad artigli. Così Ipazia pagò il suo rifiuto di convertirsi al cristianesimo, così Cirillo metteva in pratica i suoi discorsi di amor e pietà! Il film “Agora” finalmente visibile anche in Italia, racconta fedelmente queste vicende ma, prima di chiudere questo breve articolo, vorrei ricordare che fu proprio Cirillo, col concilio di Efeso del 431, contro le tesi Nestorio, che pare fosse ingiustamente accusato di eresia, a promuovere la Madonna Theotokos cioè madre di Dio.