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Iquique, Cile

Da Dbellucci

Il deserto di Atacama e´insieme fuoco e nebbia, di sera, quando il giorno si abbassa e dall’oceano sale un vapore fine che ci lucida ben bene. E´una bella fortuna averlo attraversato in autobus sulla Panamericana, perche´ anche qui ti accorgi di quanto sia, semplicemente, grande. E´un aggettivo che usano molto i bambini. Grande. Come bello, brutto, cattivo, buono e naturalmente piccolo. Pero´ e´ la parola che mi saltava di piu´in mente, guardando le dune e le montagne e le spianate d´oro fuori dal finestrino. Sono entrato in Cile che avevo appena iniziato ¨Se il sole muore¨, di Oriana Fallaci. L´ho letto viaggiando, sotto un sole che non accennava a morire, ed e´ quasi finito. Uno di quei libri che quando li leggo mi fanno venire voglia di non scrivere piu´ una riga limitandomi alle pagine degli altri, che tutto quello che si poteva dire e´stato gia´ detto e anche molto bene. Travolto da questi crisi, nonche´ da tutto quello che mi e´corso davanti in questi giorni, non ho aggiunto una mezza parola alla bozza del nuovo romanzo che porto con me e che e´ fermo a meta´. Un quadernone a righe su cui ho incollato, pagina per pagina, lo stampato di quanto ho scritto fin ora. E rimando e rimando.
Lasciando la Panamericana, siamo arrivati alla citta´ di Iquique, sull´oceano. Te la trovi d´improvviso sotto, allungata come un serpente, stretta come la Liguria tra i monti e il mare. Si scende, lentamente. Il centro e´ unico. Pare di essere in Inghilterra o negli Stati Uniti. Questo perche´ i ricconi del passato che trafficavano con le miniere hanno ben pensato di imbellettare la citta´ con tanto legno, in un luogo dove di legno non c´é traccia. Cosi´ cammini su marciapiede di legno accanto a casa di legno a tinte vivaci. Poco lontano, l’oceano sbatte tanto forte la spiaggia da far tremare le finestre e si alza la nebbia. Abbiamo trovato un posto grazioso dove fermarci, forse il piu´grazioso fino ad ora, gestito da una sonnolenta signora dai capelli bianchi mal tenuti, di poche ma precise parole: ecco, qui, la´, come… (si possono fare delle combinazioni).
Mi avevano parlato di diverse citta´ abbandonate nel deserto, terminata la corsa ai nitrati. Ci siamo andati, visitando quello che resta di Humberstone (il suono e´ quello, probabilmente non si scrive cosi´, ma non ho tempo per controllare). Nonostante i minatori e le loro famiglie se ne siano andati da 50 anni, la citta´ ha ancora una voce molto suggestiva, grazie al vento del deserto che passa tra le baracche e dentro a quello che resta delle officine insabbiate. Proprio li´ c´era una signora anziana, in visita come noi, con altri piu´giovani. Ci ha detto che viveva li´, ad Humberstone, quando ancora la citta´era in vita ed il teatro, la chiesa, la piscina, le case, la scuola… tutto era utilizzato. E ci ha detto che si stava bene, oh, come si stava bene. Che c´era fratellanza e solidarieta´. Che se andavi dal vicino a chiedere una tazza di zucchero non te la rifiutava mica, mentre adesso non si conosce nemmeno chi vive nell’appartamento di fianco.
Insomma, come incontrare nostra nonna. Poi sono andati via. Dalla strada Humberstone pare un luogo inutile, morto. Anche camminandoci, non fosse per il vento. Un vuoto che svolazza nel deserto. Ma e´una fortuna che luoghi simili siano qui. Non voglio pensare quanti barettini e chioschi ci avrebbero infilato da noi. Silenzio, silenzio dappertutto, a parte le lamiere. Com´e´giusto che sia.



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