di Silvia Padrini
Ahmadinejad è sconfitto. Il sesto presidente della Repubblica islamica iraniana è stato abbandonato dai propri elettori in modo consistente e diffuso. Anche il seggio di Teheran – città che ha guidato in passato come sindaco- non gli ha risparmiato la delusione. Molti consensi sono stati invece guadagnati dalla Guida Suprema religiosa Ali Khamenei. Le ultime elezioni del Majlis – il parlamento iraniano – vedono il ritorno alla ribalta del fedelissimo di Khomeini, protagonista ed erede della rivoluzione islamica del ’79. L’ayatollah Khamenei si può considerare come storia recente dello stato persiano che cammina: è stato Presidente dall’81 all’89 a fianco di Khomeini, sostituendolo poi nel ruolo di Guida Suprema al momento della sua morte nell’89.
Khamenei è, dunque, un personaggio sempre presente nella politica della Repubblica islamica. Lo stesso Ahmadinejad è stato a lungo sostenuto dall’ayatollah. I due, prima fedeli alleati, si sono allontanati in concomitanza delle elezioni del 2009, dopo le quali l’ex presidente Ahmadinejad ha perso molti elettori, a causa dei brogli e della torbida campagna elettorale che ha coperto di fango l’intero sistema politico.
Nonostante l’attuale divergenza tra i due personaggi, questo cambio di guardia non rappresenta una trasformazione significativa per il paese: entrambi i concorrenti, infatti, sono conservatori (Ahmadinejad è espressione dei Pasdaran, mentre Khamenei degli Ajatollah più radicali) e non paiono avere un’idea troppo discordante di politica. In particolare – ed è ciò che si chiedevano tutti nel mondo – le questioni cardine del momento, ossia le armi atomiche e l’attacco a Israele, non paiono destinate a subire significativi cambiamenti di rotta.
È curioso notare come l’ayatollah Khamenei nel 2005 abbia emanato una fatwa che sentenziava che la produzione e l’uso di armi nucleari sono proibiti dall’Islam. Il pronunciamento è stato anche citato pubblicamente durante una conferenza della IAEA a Vienna. Nei prossimi mesi si capirà se l’attuale presidente abbia intenzione di rispettare la suddetta fatwa o, piuttosto, di appoggiare la linea dura in politica estera propugnata da un ormai debolissimo Ahmadinejad. Alcuni analisti sostengono che la politica del 73enne Khamenei potrebbe rivelarsi addirittura più estrema di quella portata avanti da Ahmadinejad. Per quanto riguarda Israele, al momento i piani di attacco non sono stati smentiti, né lo stato ebraico ha dato cenni di “rilassamento”. Mentre Obama ascolta i dubbi di Nethanyahu sulle relazioni difficili in area mediorientale, molti politologi -in primis Noam Chomsky- sostengono che la comunità internazionale non condivide l’immagine dell’Iran come “minaccia imminente” proposta dagli Stati Uniti.
Il quadro politico iraniano ha ora tutti gli occhi della comunità internazionale puntati addosso. Gli sviluppi saranno da seguire con attenzione, ma certamente una partita è stata già persa da tutti: il banco di prova delle elezioni è passato con un’insufficienza piena. Con i due maggiori rappresentanti dell’opposizione agli arresti domiciliari e un dato ufficiale di affluenza alle urne poco verosimile (65%), anche queste elezioni nella Repubblica Islamica si possono, amaramente, considerare poco meno di una farsa.