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Iran, prigione di Ghezelhesar: 3000 detenuti in attesa del patibolo…

Creato il 16 marzo 2016 da Nopasdaran @No_Pasdaran

اعدام-در-خیابان

Tremila (lo ripetiamo con i numeri 3000): questo il numero di detenuti che aspettano la morte nella prigione di Ghezelhesar presso Karaj. Un vero e proprio “campo della morte“, volendo riportare la definizione usata dalla fonte dell’informazione, ovvero l’ONG Iran Human Rights (IHR).

L’IHR ha da poco rilasciato il suo report sullo stato dei diritti umani in Iran nel 2015. Un report senza appello, molto simile a quello rilasciato da altre ONG quali Nessuno Tocchi Caino e dallo stesso inviato ONU per i diritti umani in Iran, Ahmed Shaheed.

Nel 2015, per la cronaca, almeno 200 delle 969 persone impiccate in Iran, provenivano dal carcere di Ghezelhesar. La maggior parte dei detenuti e di quelli in attesa del patibolo, e’ stata condannata a morte per reati legati al traffico di droga. Una condanna emessa anche per casi di spaccio non gravi e che non hanno visto alcuno scontro a fuoco. Condanne, quindi, in piena violazione di ogni minimo standard internazionale.

Eppure, come denunciano gli attivisti da tempo ormai, l’Occidente continua a rendersi complice diretto di queste condanne a morte, sovvenzionando l’Iran per la lotta al narcotraffico per mezzo dell’agenzia delle Nazioni Unite UNODC. Sovvenzioni date senza alcuna condizione relativa al rispetto dei diritti umani e al diritto del detenuto di avere un giusto processo.

La parte più drammatica di questa triste storia, e’ accaduta nel Maggio del 2015. Il 21 Maggio 2015, infatti, alcuni detenuti di Ghezelhesar hanno manifestato pacificamente nel cortile del carcere, chiedendo un intervento diretto della Guida Suprema Ali Khamenei, per ridurre le loro condanne (Iranhr.net). Nelle cinque settimane seguenti, più di 70 prigionieri che avevano preso parte alla protesta pacifica sono stati impiccati (in gruppi che variavano da 11 a 17 detenuti nello stesso momento). Addirittura, il 31 Maggio 2015, in un tentativo di posporre la loro esecuzione capitale, 13 prigionieri hanno accoltellato un altro detenuto, anche lui prossimo all’esecuzione (quando un detenuto condannato a morte per reati di droga viene condannato per omicidio, l’esecuzione capitale per il traffico di droga viene posticipata).

Notare che molti condannati a morte per reati di droga sono sunniti, una minoranza da sempre schiacciata in Iran e socialmente costretta ai margini, soprattutto nelle regioni di frontiera. Per molte di queste persone, il traffico di droga e’ la sola attività di sussistenza possibile.

Tra i detenuti che hanno perso la vita nel carcere di Ghezelhesar, l’IHR ricorda Mahmood Barati, un insegnate iraniano. Mahmood, che non aveva commesso alcun reato alle spalle, era anche padre di un bambino di 3 anni. Arrestato nel 2006 con l’accusa di traffico di droga e’ stato condannato a morte in base ad una falsa testimonianza. Nonostante il falso testimone abbia – per ben due volte – ritirato la sua testimonianza, le autorità hanno deciso di non liberare Mahmood e di mandarlo al patibolo lo stesso (ovviamente dopo averlo torturato per estorcergli una falsa ammissione di colpevolezza). Mahmood Barati e’ morto con una corda legata al collo il 7 settembre del 2015…

Ci chiediamo dove sia l’Occidente davanti a questo dramma e soprattutto dove sia la diplomazia italiana, teoricamente in prima fila nella promozione della Moratoria Internazionale contro la Pena di Morte. Teoricamente…



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