Posted 28 novembre 2012 in L'Iran dentro, Slider with 0 Comments
di Barbara Gianessi
I panni sporchi si lavano in famiglia. É quello che sembra suggerire la Guida Suprema, Ali Khamenei, che mercoledì 21 novembre ha chiesto al Majles, il Parlamento iraniano, di bloccare l’interrogazione parlamentare nei confronti del presidente Mahmoud Ahmadinejad, accusato a marzo di scelte politiche ed economiche discutibili.
La decisione sorprende se si pensa che l’interrogazione, la prima nella storia della Repubblica islamica, era stata vista come una mossa della Guida suprema per mettere alle strette il Presidente, con cui i rapporti sono da tempo caratterizzati da crisi politiche continue. Ora invece Khamenei sembra averci ripensato perché “il Paese ha bisogno di calma” e l’eventuale caduta di Ahmadinejad “avvantaggerebbe i nemici dell’Iran”. Iran che si sente sempre più accerchiato, con la comunità internazionale che sbraita slogan bellicosi brandendo sanzioni “mirate” che affossano l’economia del Paese. A ottobre l’Europa ha chiuso alle importazioni di gas naturale iraniano e ha proibito ogni transazione con banche o istituti finanziari del Paese per costringere Teheran a bloccare il suo programma nucleare. Ma mentre l’uranio continua ad arricchirsi nelle turbine, chi si impoverisce sono gli iraniani, la cui valuta nazionale, il rial, è in caduta libera. L’inflazione incontrollabile ha portato in piazza anche i bazari, i commercianti di Teheran da sempre attori protagonisti della storia del Paese, che i primi di ottobre si sono scagliati contro le politiche economiche del Presidente fino a veri e propri scontri con la polizia.
L’unica risposta sembra quindi essere quella dell’unità nazionale, se non reale almeno apparente. Già perché l’intervento pacificatore di Khamenei, anche se straordinariamente diretto, non sembra volto a ricucire in modo definitivo i rapporti con il Presidente, ma piuttosto a evitare che un eventuale impeachment di Ahmadinejad possa avere effetti destabilizzanti per il Paese. Il Presidente, infatti, potrebbe essere defenestrato da una mozione di sfiducia presentata da almeno un terzo dei 290 membri del Majles e votata dai due terzi del Parlamento. Parlamento che, dopo la sconfitta alle elezioni parlamentari dello scorso marzo, non brulica certo di suoi simpatizzanti.
Ahmadinejad, ingegnere ed ex sindaco di Teheran, è stato eletto per la prima volta nel 2005 con l’appoggio di Khamenei. I rapporti tra i due si sono però incrinati velocemente anche perché il Presidente, non certo famoso per il suo quietismo, sembra spingere sempre più verso un ridimensionamento del potere del clero sciita. Dopo l’Onda verde del 2009, però, quando migliaia di iraniani hanno protestato in piazza contro i brogli elettorali legati alla rielezione di Ahmadinejad, Khamenei ha dovuto riconfermare il proprio appoggio al Presidente per evitare l’implosione del sistema.
Le prossime elezioni presidenziali sono previste per il 14 giugno 2013. Ahmadinejad, giunto al secondo mandato, non potrà più ricandidarsi ma non sembra ancora pronto a scomparire tra i titoli di coda. Infatti il Presidente, che conserva ancora il favore dei centri rurali e delle classi più povere, sembra voglia puntare sull’elezione del suo più fidato consigliere, Esfandiar Rahim Mashaei. Mashaei, la cui figlia ha sposato il primogenito di Ahmadinejad, è duramente criticato dal clero per lo spiccato nazionalismo che ha spesso anteposto ai valori della Rivoluzione islamica. Le candidature per le elezioni presidenziali non sono però ancora state ufficializzate e l’ultima parola spetterà comunque al Consiglio dei Guardiani, organo composto da sei religiosi e sei giuristi che controlla la conformità delle leggi ai dettati islamici e alla Costituzione e che ha il potere di veto sui candidati presidenziali. Fino a quel momento Teheran vuole celare il più possibile agli occhi della comunità internazionale cosa bolle nel pentolone delle alleanze, surriscaldato dalle pressioni internazionali. Questo è possibile anche grazie a un apparato istituzionale macchinoso, basato su due piani paralleli di gestione del potere, in cui organi eletti sono “guidati” da organi legati all’establishment religioso, confondendo i ruoli e i poteri in una grande opera di dissimulazione istituzionale.
Mentre gli occidentali spintonano il Paese sperando di innescare una nuova primavera persiana, le incertezze restano. Quello che è certo è che Khamenei non vuole già dare inizio a una campagna elettorale che ha tutte le carte in regola per rivelarsi altamente infiammabile.