Duecentomila cristiani (ma anche altre minoranze) sono in fuga, cacciati dai miliziani islamisti che crocifiggono, decapitano e lapidano i nemici. In queste ore mi giungono pure notizie ufficiose di efferatezze indicibili su donne e bambini (speriamo non siano vere). Considerando questo martirio dei cristiani che sono marchiati come “nazareni” senza diritti, braccati, uccisi, con le chiese bruciate e la distruzione di tutto ciò che è cristiano, la voce del Vaticano e del Papa - di solito molto interventista e vigoroso - è stata appena un flebile vagito. Neanche paragonabile rispetto al suo tuonare cinque o sei volte «Vergogna! Vergogna! Vergogna!» per gli immigrati di Lampedusa, quando peraltro gli italiani non avevano proprio nulla di cui vergognarsi perché erano corsi a salvare quei poveretti la cui barca si era incendiata e rovesciata mentre erano in mare. Ha ragione Giuliano Ferrara. Che di fronte all'orrore che si sta consumando nella pianura di Ninive, il Vaticano abbia partorito, giovedì (in grave ritardo oltretutto), una semplice “nota” di padre Federico Lombardi dove, a nome del Papa, si chiede alla «comunità internazionale» di porre fine al «dramma umanitario in atto» in Iraq, è quel minimo sindacale che ha l'unico obiettivo di salvare la faccia. Anche perché è ben più di un «dramma umanitario» e nulla si dice su cosa bisognerebbe fare. Inoltre - osserva Ferrara - «nulla, nella dichiarazione freddina, viene detto su chi siano i responsabili di questi “angosciosi eventi”. Non un accenno alle cause che hanno costretto le “comunità tribolate” a fuggire dai propri villaggi». Ormai la forza con cui Giovanni Paolo II difendeva i cristiani perseguitati è cosa passata e dimenticata. E anche la limpidezza del grande discorso di Ratisbona di Benedetto XVI - che era una mano tesa all’Islam perché riflettesse criticamente su se stesso - è cosa rimossa. Quella dell'attuale pontificato è una reticenza sconcertante di fronte a dei criminali sanguinari con i quali - dicono i vescovi del posto - non c'è nessuna possibilità di dialogo perché nei confronti dei cristiani loro stessi han detto «non c'è che la spada». Una reticenza che è ormai diventata consueta nell'atteggiamento di papa Bergoglio, che non pronuncia una sola parola in difesa di madri cristiane condannate a morte per la loro fede in Pakistan o in Sudan (penso ad Asia Bibi o a Meriam), che si rifiuta perfino di invitare pubblicamente a pregare per loro, che quando c'è costretto parla sempre genericamente dei cristiani perseguitati e arriva ad affermare, come nell'intervista a La Vanguardia del 13 giugno: «I cristiani perseguitati sono una preoccupazione che mi tocca da vicino come pastore. So molte cose sulla persecuzione che non mi sembra prudente raccontare qui per non offendere nessuno». Per non offendere chi? I criminali sanguinari che crocifiggono i «nemici dell'Islam»? Non è sconcertante? Ci sono migliaia di innocenti inermi in pericolo di vita, braccati e laceri, in fuga dagli assassini e Bergoglio si preoccupa di «non offendere» i carnefici? Perché tutti questi riguardi quando si tratta del fanatismo islamista? Perché nemmeno si osa nominarlo? E perché si chiede alla comunità internazionale di mettere fine al "dramma umanitario" senza dire come? Oltretutto il papa poteva seguire l'esempio di Giovanni Paolo II. Ci aveva già pensato questo grande pontefice infatti a elaborare la nozione di «ingerenza umanitaria», venti anni fa: quando si deve impedire un crimine contro l'umanità e non vi sono più altri mezzi diplomatici è doveroso, da parte della comunità internazionale, un intervento militare mirato e proporzionato che scongiuri il perpetrarsi di orrori incombenti. Bastava a Bergoglio ripetere questo principio che è stato già recepito a livello internazionale. D'altra parte che di questo ci sia bisogno lo dicono i vescovi di quelle terre: «Temo che non ci siano alternative in questo momento a un'azione militare, la situazione è ormai fuori controllo, e da parte della comunità internazionale c'è la responsabilità di non aver fatto nulla per prevenire o fermare tutto questo». Lo ha dichiarato Bashar Matti Warda, l'arcivescovo di Erbil che si trova in prima linea, immerso nel dramma. È troppo comodo - da parte di certi cattolici - lanciare generiche denunce contro l'Occidente, contro il «silenzio colpevole» (di chi?), quando da anni fra i notabili cattolici si evita accuratamente di denunciare i fanatici islamisti con nome e cognome, quando si ha cura solo di sottolineare che il loro non è il vero Islam (che com'è noto è rose e fiori), quando non si richiama mai energicamente il mondo islamico al dovere di rispettare le minoranze cristiane e si evita di chiedere un intervento concreto della comunità internazionale per mettere fine al massacro. Del resto Bergoglio non solo non ha chiesto ingerenze umanitarie, ma nemmeno ha lanciato operazioni di soccorso umanitario o iniziative di solidarietà a livello internazionale che coinvolgessero il vasto mondo cattolico. Tardiva è stata anche l'attivazione della diplomazia. Domenica scorsa, all'Angelus, non ha detto una sola parola sulla tragedia in corso e ha perfino taciuto sull’iniziativa della Chiesa italiana che ha indetto una giornata di preghiera per il 15 agosto a favore dei cristiani perseguitati. Anche pregare per i cristiani perseguitati è «offensivo» verso i musulmani? Quantomeno quella dei vescovi italiani sarà una vera e seria preghiera cristiana. E non capiterà di rivedere l'imam che, invitato in Vaticano per l'iniziativa di pace dell'8 giugno scorso con Abu Mazen e Peres, ha scandito un versetto del Corano dove si invoca Allah dicendo «dacci la vittoria sui miscredenti». Quasi un inno alla “guerra santa” islamica nei giardini vaticani. Un incidente inaudito. Alla preghiera indetta dalla Cei non accadrà. Ora ci si aspetta almeno che il Papa, prima o poi, si associ all'iniziativa dei vescovi, magari replicando la preghiera in piazza San Pietro per la pace in Siria che, come ricordiamo, combinata con la diplomazia, qualche buon effetto lo ebbe. Auspicabile sarebbe anche un'attivazione di tutta la cristianità per iniziative di aiuto e di solidarietà ai perseguitati. Ma pare proprio che non sia questa l'aria. Sembra di essere tornati indietro allo smarrimento dei cupi anni Settanta, alla subalternità ideologica dei cristiani, a quel buio che fu dissolto solo dall'irrompere del grande pontificato di Giovanni Paolo II.
Duecentomila cristiani (ma anche altre minoranze) sono in fuga, cacciati dai miliziani islamisti che crocifiggono, decapitano e lapidano i nemici. In queste ore mi giungono pure notizie ufficiose di efferatezze indicibili su donne e bambini (speriamo non siano vere). Considerando questo martirio dei cristiani che sono marchiati come “nazareni” senza diritti, braccati, uccisi, con le chiese bruciate e la distruzione di tutto ciò che è cristiano, la voce del Vaticano e del Papa - di solito molto interventista e vigoroso - è stata appena un flebile vagito. Neanche paragonabile rispetto al suo tuonare cinque o sei volte «Vergogna! Vergogna! Vergogna!» per gli immigrati di Lampedusa, quando peraltro gli italiani non avevano proprio nulla di cui vergognarsi perché erano corsi a salvare quei poveretti la cui barca si era incendiata e rovesciata mentre erano in mare. Ha ragione Giuliano Ferrara. Che di fronte all'orrore che si sta consumando nella pianura di Ninive, il Vaticano abbia partorito, giovedì (in grave ritardo oltretutto), una semplice “nota” di padre Federico Lombardi dove, a nome del Papa, si chiede alla «comunità internazionale» di porre fine al «dramma umanitario in atto» in Iraq, è quel minimo sindacale che ha l'unico obiettivo di salvare la faccia. Anche perché è ben più di un «dramma umanitario» e nulla si dice su cosa bisognerebbe fare. Inoltre - osserva Ferrara - «nulla, nella dichiarazione freddina, viene detto su chi siano i responsabili di questi “angosciosi eventi”. Non un accenno alle cause che hanno costretto le “comunità tribolate” a fuggire dai propri villaggi». Ormai la forza con cui Giovanni Paolo II difendeva i cristiani perseguitati è cosa passata e dimenticata. E anche la limpidezza del grande discorso di Ratisbona di Benedetto XVI - che era una mano tesa all’Islam perché riflettesse criticamente su se stesso - è cosa rimossa. Quella dell'attuale pontificato è una reticenza sconcertante di fronte a dei criminali sanguinari con i quali - dicono i vescovi del posto - non c'è nessuna possibilità di dialogo perché nei confronti dei cristiani loro stessi han detto «non c'è che la spada». Una reticenza che è ormai diventata consueta nell'atteggiamento di papa Bergoglio, che non pronuncia una sola parola in difesa di madri cristiane condannate a morte per la loro fede in Pakistan o in Sudan (penso ad Asia Bibi o a Meriam), che si rifiuta perfino di invitare pubblicamente a pregare per loro, che quando c'è costretto parla sempre genericamente dei cristiani perseguitati e arriva ad affermare, come nell'intervista a La Vanguardia del 13 giugno: «I cristiani perseguitati sono una preoccupazione che mi tocca da vicino come pastore. So molte cose sulla persecuzione che non mi sembra prudente raccontare qui per non offendere nessuno». Per non offendere chi? I criminali sanguinari che crocifiggono i «nemici dell'Islam»? Non è sconcertante? Ci sono migliaia di innocenti inermi in pericolo di vita, braccati e laceri, in fuga dagli assassini e Bergoglio si preoccupa di «non offendere» i carnefici? Perché tutti questi riguardi quando si tratta del fanatismo islamista? Perché nemmeno si osa nominarlo? E perché si chiede alla comunità internazionale di mettere fine al "dramma umanitario" senza dire come? Oltretutto il papa poteva seguire l'esempio di Giovanni Paolo II. Ci aveva già pensato questo grande pontefice infatti a elaborare la nozione di «ingerenza umanitaria», venti anni fa: quando si deve impedire un crimine contro l'umanità e non vi sono più altri mezzi diplomatici è doveroso, da parte della comunità internazionale, un intervento militare mirato e proporzionato che scongiuri il perpetrarsi di orrori incombenti. Bastava a Bergoglio ripetere questo principio che è stato già recepito a livello internazionale. D'altra parte che di questo ci sia bisogno lo dicono i vescovi di quelle terre: «Temo che non ci siano alternative in questo momento a un'azione militare, la situazione è ormai fuori controllo, e da parte della comunità internazionale c'è la responsabilità di non aver fatto nulla per prevenire o fermare tutto questo». Lo ha dichiarato Bashar Matti Warda, l'arcivescovo di Erbil che si trova in prima linea, immerso nel dramma. È troppo comodo - da parte di certi cattolici - lanciare generiche denunce contro l'Occidente, contro il «silenzio colpevole» (di chi?), quando da anni fra i notabili cattolici si evita accuratamente di denunciare i fanatici islamisti con nome e cognome, quando si ha cura solo di sottolineare che il loro non è il vero Islam (che com'è noto è rose e fiori), quando non si richiama mai energicamente il mondo islamico al dovere di rispettare le minoranze cristiane e si evita di chiedere un intervento concreto della comunità internazionale per mettere fine al massacro. Del resto Bergoglio non solo non ha chiesto ingerenze umanitarie, ma nemmeno ha lanciato operazioni di soccorso umanitario o iniziative di solidarietà a livello internazionale che coinvolgessero il vasto mondo cattolico. Tardiva è stata anche l'attivazione della diplomazia. Domenica scorsa, all'Angelus, non ha detto una sola parola sulla tragedia in corso e ha perfino taciuto sull’iniziativa della Chiesa italiana che ha indetto una giornata di preghiera per il 15 agosto a favore dei cristiani perseguitati. Anche pregare per i cristiani perseguitati è «offensivo» verso i musulmani? Quantomeno quella dei vescovi italiani sarà una vera e seria preghiera cristiana. E non capiterà di rivedere l'imam che, invitato in Vaticano per l'iniziativa di pace dell'8 giugno scorso con Abu Mazen e Peres, ha scandito un versetto del Corano dove si invoca Allah dicendo «dacci la vittoria sui miscredenti». Quasi un inno alla “guerra santa” islamica nei giardini vaticani. Un incidente inaudito. Alla preghiera indetta dalla Cei non accadrà. Ora ci si aspetta almeno che il Papa, prima o poi, si associ all'iniziativa dei vescovi, magari replicando la preghiera in piazza San Pietro per la pace in Siria che, come ricordiamo, combinata con la diplomazia, qualche buon effetto lo ebbe. Auspicabile sarebbe anche un'attivazione di tutta la cristianità per iniziative di aiuto e di solidarietà ai perseguitati. Ma pare proprio che non sia questa l'aria. Sembra di essere tornati indietro allo smarrimento dei cupi anni Settanta, alla subalternità ideologica dei cristiani, a quel buio che fu dissolto solo dall'irrompere del grande pontificato di Giovanni Paolo II.
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