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Non ho ancora letto Mirador. Irène Nèmirovsky, mia madre, scritto qualche anno fa da una delle due figlie della scrittrice, Elisabeth Gille, e solo ora pubblicata in Italia da Fazi. Ma che tempesta di emozioni che scatena la storia di Irène e delle sue figlie.
Lei è l'esule russa che in Francia si è affermata con la forza delle sue parole. L'ebrea che dopo l'occupazione nazista non fa niente per mettersi in salvo, benché non le manchi la possibilità. L'arresto avviene un pomeriggio di luglio del 1942, nemmeno un mese dopo segue la morte ad Auschwitz.
Dopo che anche il padre è stato catturato, le figlie riescono a scappare, trascinandosi dietro una pesante valigia piena di carte. Dentro ci sono capolavori come Suite francese, che saranno scoperti solo anni e anni più tardi.
Elisabeth si salva, viene affidata a una coppia di amici della famiglia, fa la sua vita. La madre è un ricordo confuso, una persona che si congeda da una bambina a nemmeno cinque anni, un rimpianto e forse anche un rancore. Perché Elisabeth non le ha mai perdonato la rassegnazione con cui è andata incontro alla morte, senza tentare nemmeno un passo per salvarsi.
Passerà quasi una vita, perché Elizabeth ritrovi sua madre, raccontando una donna che in pratica non ha mai conosciuta. Di lei - e del padre - racconta questo la sorella Denise (Elisabeth nel frattempo è morta di cancro) in un'intervista alla giornalista Brunella Schisa:
Per decenni abbiamo continuato a pensare che fossero vivi, liberati dai russi e forse affetti da un'amnesia che gli impediva di tornare a noi. Abbiamo fatto di tutto per non ammettere la realtà. E, quando siamo state costrette ad accettarla. Elisabeth non ne ha voluto più parlare. Il prezzo del suo equilibrio era la rimozione...
Davvero, ci sono biografie che non sono solo biografie. Sono vite che si incontrano, o che meglio ancora si incontrano di nuovo. Talvolta riescono addirittura a essere degli straordinari atti di riconciliazione.
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