Ireneusz Iredynski
Ireneusz Iredyński, prosatore, drammaturgo, poeta, sceneggiatore, autore di testi di canzoni, è stato uno degli scrittori polacchi del secolo scorso più interessanti e al tempo stesso più discussi. Nacque il 4 giugno 1939 a Stanisławów (oggi in Ucraina). Figlio di Antoni Iredyński e Aleksandra Ziołecka, probabilmente ebrea, anche se nell’atto di matrimonio figura come cattolica. Di essa si persero le tracce intorno al 1943 e non fu mai ritrovata. Nel 1953, all’età di 14 anni Ireneusz Iredyński si trasferì a Cracovia dove terminò il liceo. Debuttò come poeta a 16 anni con la poesia Podhale d’inverno, pubblicata nel supplemento culturale del quotidiano Dziennik Polski. A 18 anni si trasferì a Varsavia e a 20 entrò a far parte dell’Unione dei Letterati Polacchi, affascinando subito l’ambiente letterario. Aveva già al suo attivo il romanzo poliziesco Il pesce nuota dietro l’assassino e la raccolta di poesie Tutto è accanto, dove nella cornice di un mondo strano, incomprensibile e deformato, il poeta introduce la sua visione di un uomo smarrito ed estraneo, ed esprime la sua ossessione: la ricerca del senso dell’essere dell’uomo contemporaneo.
Era noto per i suoi eccessi, per le sue “prodezze” che a volte sconfinavano quasi nel teppismo. Alcuni lo consideravano uno spregiudicato, altri un genio, un nuovo Dostojevskij. Stefan Kisielewski, pubblicista, prosatore, critico musicale, compositore, nel suo Sillabario del 1990 ha scritto di lui: “Divertente. Un po’ bandito, un po’ pazzo, gran bevitore”. Un altro amico di Iredyński, il poeta Roman Śliwonik, ricorda: “Amava gli scandali. Gli piaceva provocarli. Coloriva come poteva la scialba vita dello scrittore nel periodo del socialismo reale”. Voleva essere un duro, un cattivo, naturalmente non come uno che fa il male in senso fisico o psichico, ma come uno che rivolge insistentemente la sua attenzione al male. Forse temeva che manifestando sia pure per una sola volta i suoi sentimenti, sarebbe crollata per sempre la sua difesa esteriore. Che da quel momento avrebbe dovuto aprire l’anima, e soprattutto il cuore…”Chissà – si chiede un critico letterario – se questa sua descrizione ossessiva del Male, non abbia fatto a favore del Bene più di quanto non abbiano fatto molti moralisti”. “Mi sembra che per vivere senza fede in senso superiore, bisogna avere maggiore coraggio. E così io vivo” – affermava Iredyński. Nelle sue opere toccava il tema dell’eterna incomprensione tra gli amanti, tra uomo e donna. I suoi dialoghi sono pieni di diverbi, nell’amore c’è sempre una spina, mai un idillio. Ebbe due mogli e tre comagne. Un tema frequente è anche l’immaginazione dell’artista, sono anche gli espedienti e la menzogna come rimedio contro la grigia realtà, ciò che troviamo chiaramente espresso nel miniromanzo La giornata di un lestofante del 1962. Iredyński era una persona non gradita alle autorità comuniste che combattevano i “contenuti scorretti”, che cercavano in ogni attività individuale i segni del nichilismo e dell’anarchia, che consideravano la critica della realtà e la severa nonché amara analisi dell’animo umano come rivolta contro il sistema. E fu proprio il miniromanzo La giornata di un lestofante a far infuriare l’allora primo segretario del partito comunista Władysław Gomułka. Durante una seduta plenaria del partito, agitando in aria con rabbia una copia del libro egli gridò: “Quest’uomo vive come scrive!” La figura del lestofante che raggira la gente era stata erroneamente interpretata da Gomułka come un elogio del nichilismo e del cinismo.
Una parte importante della sua creazione è costituita dai suoi drammi. Il primo lavoro per la scena risale al 1961 e fu Martirio con prova. Il titolo stesso rivela l’autoironia e il sarcasmo dello scrittore. Questo lavoro è un fedele ritratto della generazione dei ventenni di allora, dei giovani artisti coetanei di Iredyński. Egli non risparmiò loro niente. Diceva: “Siete dei vanesi e degli istrioni. Così vivete, questi sono i vostri principi. Il peggio è che non fate i vanesi soltanto dal sarto durante la prova, ma nella vita”. Si può dire che egli sia rimasto fedele a questo tema in tutta la sua creazione. Gli fu affibbiato perfino l’appellativo di “indagatore di un unico tema”. In effetti fonte della creazione era per lui il suo tempo, i suoi protagonisti erano i conoscenti, i coetanei, la generazione cui egli stesso apparteneva. Naturalmente li ritraeva in differenti periodi della vita. I suoi eroi vivevano e invecchiavano assieme a lui. Qui ci fu un’eccezione. Due volte Iredyński si lasciò trascinare dalla storia. Una volta nel dramma Rappresentazione natalizia-moderne, del 1962, che riportò un grande successo al Theaterforum di Berlino. Con il sarcasmo che gli era proprio, Iredyński in questo dramma si riallaccia agli anni dell’ultima guerra mondiale nel personaggio dell’antico re ebreo Erode, nelle vesti del capo degli aguzzini in un campo di concentramento. In Discesa agli inferi (1964) invece, protagonista è il criminale hitleriano Bormann. Servendosi delle voci che circolavano attorno a questo personaggio, lo scrittore lo colloca nella foresta brasiliana, dove assieme ad altri criminali nazisti aspetta lo scoppio di un’altra guerra mondiale, questa volta atomica, che lo riporti al potere e alla celebrità. Dopo la prima di questo dramma qualcuno chiese all’autore se credeva nella Catarsi – potenza purificante dell’arte. Iredyński rispose: “La parola catarsi aveva senso quando l’arte era strettamente imparentata con la religione o la magia. Oggi in relazione all’arte è una parola priva di significato”. Cos’era dunque l’arte per Iredyński? „L’arte – egli dice – esprime qualcosa soltanto alle persone sensibili. Per gli altri esistono soltanto dogmi e pregiudizi. Lo scrittore deve rendersi conto della esiguità dei propri sforzi nel mondo odierno, ma ciò nonostante deve continuare a fare il suo dovere. Ognuno di noi crede che ciò che scrive sia necessario a qualcuno. E così deve essere”.
Nel 1965 fu arrestato per un presunto ma forse infondato tentativo di violenza carnale ai danni di una diciannovenne. Nel processo fu condannato e trascorse tre anni in prigione. Scontata la pena continuò a scrivere, pubblicando tra l’altro il romanzo Manipolazione (1975) favorevolmente accolto dalla critica, numerosi radiodrammi e altri drammi, rappresentati sia in Polonia che all’estero. Uno di questi – I terroristi -, messo in scena nel 1972, è stato da me tradotto in italiano.
Morì il 9 dicembre 1985 a Varsavia gravemente malato di pancreatite acuta causata dall’alcolismo. Nel libro Fotografie (2002)dello scrittore Janusz Anderman, i cui protagonisti sono persone realmente incontrate dall’autore, troviamo questa descrizione del funerale di Iredyński:
“Nel 1985 era morto Ireneusz Iredyński. Il suo funerale si svolse secondo un copione che avrebbe potuto scrivere lui stesso…Aveva chiesto che alla sua morte venisse cremato. Ciò avvenne nell’unico crematorio allora esistente, a Poznań. Due suoi amici presero in consegna l’urna e poiché c’era ancora tempo prima della partenza del treno, si diressero là dove si può immaginare, per rendere il dovuto omaggio al defunto. Un paio d’ore dopo a causa del loro comportamento era dovuta intervenire la polizia, e solo per miracolo evitarono il peggio giurando e spergiurando ubriachi che in quel misterioso vaso c’era un loro amico”.
Nel 2010 la casa editrice di Varsavia Warszawska Firma Wydawnicza ha iniziato la pubblicazione in più volumi delle opere di Iredyński, segno questo dell’interesse tuttora vivo dei lettori per questo scrittore, interesse che vorrei contribuire a suscitare anche in Italia con questo mio post a lui dedicato.
Paolo Statuti
5 poesie di Ireneusz Iredyński nella mia versione
Due
Ecco noi due indifesi nel toccarci
nelle grotte dei pronomi incrostati santi
così rigidi nelle parole così audaci nei lombi
e le aureole pesanti come mercurio
A volte c’è un attimo vibrante di silenzio
dopo di esso non c’è il mercurio ma argento vivo
e gocce di sudore sui capezzoli ci pendono
siamo scossi dal silenzio come dalla febbre
E subito un’improvvisa paura perché vediamo l’attimo
in cui nelle croste delle parole cercheremo qualcosa.
Bisogna difendersi con lo stile dello struzzo
e quindi stringersi E più non temere
I Greci
Ma i Greci amavano il corpo…
UN PROFESSORE DELLA GALIZIA
Lodare il corpo come una scultura
moltiplicare gli aggettivi
ogni parte denominare
dunque utilizzare la magia
appropriarsi di ogni parte
con i palmi descrivere
che è il dito rosato dell’alba
che i seni come colline
che il ventre come scudo splende
i piedi alati
le labbra come ciliegia dolci
Sotto una nube di sudore
sul letto di sangue
urto di muscoli
insieme col ritmo della terra
e le epidermidi ardono
come magnesia rosata
Infine è già il vuoto
e in questo vuoto brillano
patine leggere
la stagnola e il soffione
Poi di nuovo sono i corpi
e i muscoli turgidi
le viscere si torcono
il sangue scorre come mercurio
I Greci amavano
E da noi già escono
smunti trasparenti
coi martelli nelle mani
per farci a pezzi
come le sculture greche
per farci a pezzi
per farci a pezzi
per
I cavernicoli
Negli occhi di lei un quadro:
un cervo che sprizza un geyser castano
un rinoceronte con un ghiacciolo sulla fronte
un torrente un grande pesce con le scaglie vibranti
un mammut sull’acqua lento di brama
Negli occhi di lei un quadro di molti elementi
ecco il tronco del corpo del nemico sul falò crepita
il marito batte sulla roccia incidendo il cerchio solare
sta allo sbocco delle caverne e guarda
tutti gli elementi che le sono c o n t r o
Il sole tramonta La donna sta in un’aureola
il brontolio di un orso dal folto del bosco
i figli di lei aspetta un randello alzato
il petto sporco pende pesante come gonfio di latte
ed ecco ha sussurrato: il mondo ed è sparito il sole
sulla terra chiamata la luna di magia è entrata
Nel chiarore fosforeo il mondo rosso per un attimo
per rinascere scuro e materiale
ma non più lo stesso
Ecco hai sussurrato Il mondo rosso per un attimo
per rinascere
ma non più lo stesso
Medioevo
Alla Canossa del tuo ventre
striscio pentito assai
Evito i castelli dove mi tentano
altri portoni e portici
Ma io serpeggio
per stare sotto il portone del tuo castello
nell’abito del penitente
Le grazie chiedere
della pietà
La cima di Canossa incoronata
con la stella dell’ombelico
Sapere che ti amo
Nella camera assopita
le tue mani così grate
il duetto delle dita
quelle scarpe rovesciate
la mia veste sul divano
è sapere che ti amo
Sulle ruvide pareti
l’ombra nostra con le ali
labbra ansiose di segreti
terra e ciel così irreali
tutto ciò che sospiriamo
è sapere che ti amo
Come in estasi son io
nella testa quel torpore
delle ciglia il luccichio
della pelle l’aspro odore
e la musica che udiamo
è sapere che ti amo
I due volti immersi stanno
nella notte ancor calata
tante cose ci accadranno
ma sfinita eppur rinata
oggi so che non è vano
se ti amo come t’amo
(C) by Paolo Statuti