Iringa
La strada per Iringa corre dritta sull'altopiano, poi d'un tratto comincia a salire sulle colline e senza accorgetene arrivi a quasi 1600 metri. Adagiata su una serie di rilievi arrotondati, la città sembra una serie infinita di baracche di lamiera che foderano ogni superficie senza lasciare spazi liberi e anche il centro ha solo poche case con strutture in muratura a più piani. Una gigantesca
favela attraversata da strade con gli ondulati ammucchiati gli uni sugli altri e quasi impossibili da raggiungere se non a piedi. Sulla collina più alta domina la cattedrale. L'Hotel MR è un po' malandato, ma la sua posizione centralissima vicino alla stazione degli autobus, permette di partecipare alla intensa vita di quartiere e al fervore del vicino mercato. Qui puoi avere un'idea realistica dell'Africa di oggi. Povertà e confusione, ma anche una enorme serie di attività varie che nascono e si sviluppano affastellate le une alle altre, in una miscela di tradizione e modernità assolutamente viva. I banchi di alimentari, frutta, verdura, riso e cereali traboccano di prodotti; poi, la serie infinita di banchi ricoperti di mucchi di merci poverissime, ciabatte, vestiti, giocattoli, magliette, scarpe di plastica, utensili già vecchi, attrezzi agricoli, pentolame acciaccato, tutta roba cinese che ingolosisce una folla di compratori, magari a loro volta venditori poco vicino.
Dalle lamiere delle baracche invece sulla strada, fanno capolino attività più complesse, saloni di bellezza, fotocopiatori, scuole di computer, improbabili consulenti di investimenti e telefonini, tanti telefonini, telefonini dappertutto, in particolare uno in mano ad ogni persona che passa, siano essi Hehe con il mantello e il machete al fianco o grassi pelati e incamiciati di bianco, dall'aria da
businessmen dei poveracci. Il bar dell'albergo, che essendo probabilmente di proprietà mussulmana, non serve birra, ha una terrazza che dà direttamente sulla via principale ed è uno straordinario punto di osservazione della vita che scorre sotto di te. E' come stare al cinema. Ecco che passa un matrimonio; davanti, un camioncino con gli altoparlanti che suona musica africana a tutto volume; il cassone è tutto gremito di ragazzi e ragazze che cantano vestiti a festa, quasi tutte con parrucche barocche e truccatissime; dietro, la camionetta con la sposa a bordo, vestita di bianco che sprizza felicità e dispensa sorrisi alla folla. Tutti i mezzi al seguito, macchine sgangherate, moto o camioncini sono ricoperti di nastri e ritagli di stoffa colorata. Il corteo passa tra gli applausi degli astanti, poi si allontana lungo il mercato. Il café Zanjabil, dall'altra parte della strada è affollatissimo; serve al banco una sorta di thé al
latte in grandi bicchieroni, allegato a una specie di
samosa indiano.
C'è la coda, deve essere davvero buonissimo per come se lo sorbiscono di gusto dopo aver buttato qualche moneta sul bancone, appoggiati al palo della luce con gli occhi socchiusi di piacere. Ragazzi, fa i soldi a palate quel tizio, a volte ci vuol poco per gli affari, una posizione giusta, all'angolo di due strade principali, roba buona e giù grana come se piovesse. Il padrone grassoccio sta in un angolo appollaiato su un trespolo come un marabù dalla testa spelacchiata, crogiuolandosi con soddisfazione nell'andirivieni tumultuoso del locale. Già te lo immagini alla sera, nel retro, su un materasso unto, mentre conta le banconote bisunte raccolte nella giornata. Poi passa un camion carico di militanti del partito di governo. Bandiere gialloverdi che garriscono all'aria. Tra pochi giorni ci saranno le elezioni e l'opposizione sta rimontando e il partito agricolo tradizionale fondato da Nyerere, per la prima volta se la vede brutta. In fondo al viale in un ampio spiazzo ci deve essere stata una specie di festa dell'Unità, coi banchetti che, a vedere dal fumo, invece delle salamelle danno banane fritte e costine di montone alla griglia. Dai megafoni escono slogan preelettorali. Chissà se promettono di abbassare le tasse? Scende la notte, di colpo, come sempre all'equatore, ma il fervore e la confusione non diminuisce di intensità. Di tanto in tanto qualche corriera sgangherata che va verso la stazione, intasa la strada ed è subito circondata da stuoli di gente, venditori di anacardi, bevande e frutta.
La temperatura è quasi piacevole e non ci sono neppure zanzare in giro. Mi tocca ingollare una Mirinda al gusto di chewing gum, veramente disgustosa, ma è la bevanda preferita qui. Ognuna delle signorine steatopigie sedute distrattamente al bar, con le lunghe unghie laccate e le parrucche castane di treccioline fitte, ne sorbisce una simile, mentre si balocca con l' i-phone; deve essere la bibita di moda. Chissà che lavoro fanno? Poi entra un tizio grasso con l'occhio porcino, in camicia bianca e pesanti aloni sudaticci. Ha un anello d'oro vistoso e orologio pesante. Butta lì qualche parola alle ragazze; due suggono dalla cannuccia un ultimo sorso, poi si alzano con aria annoiata ed escono in strada dove una Toyota bianca le aspetta col motore acceso. Quasi quasi me ne vado in camera; faccio lo slalom tra le macchie della moquette slabbrata e mi butto sul letto, l'aria condizionata non serve, tanto non funziona, così come il piccolo televisore in bianco e nero, appoggiato al tavolinetto traballante. La voce cantilenante del muezzin, mi sveglia prima delle cinque, tra il susseguirsi dei chicchirichì che arrivano dalle baracche dietro le buganvillee rosse e le siepi di agavi.
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